CAPITOLO QUINTO

Siena, palazzo Spannocchi, salone Strozzi.

RIFORME E PRIVILEGI
(1859-1872)

1. "Lasciate il Monte com'è"

Dopo la pacifica rivoluzione dell'aprile 1859, che segnò la fine del governo lorenese in Toscana, Carlo Corradino Chigi, già Capo di Stato Maggiore a Curtatone, dove aveva perso un braccio combattendo contro gli austriaci, fu nominato gonfaloniere di Siena. Chigi, che faceva anche parte del gruppo dirigente della Società della Strada Ferrata, comunicò di avere accettato la nomina con un manifesto del seguente tenore: "Concittadini, il volere del superior Governo mi ha incaricato del disimpegno dell'ufficio di vostro gonfaloniere. L'ammirazione mia per il vostro contegno calmo e severo di questi giorni, mi ha impedito di ricusarmi. Tale difficile carica Voi, continuando nel contegno medesimo, saprete rendere leggera. 28 aprile 1859" 1

Fabio Iacometti, Carlo Corradino Chigi, in "Bullettino senese di storia patria", XIX (1912), pp. 3-22 e Guido Pignotti, Carlo Corradino Chigi, Siena,Ticci, 1949, p.139.

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La carica di gonfaloniere, per il Chigi, fu leggera anche cronologicamente, dato che il 28 giugno con un decreto governativo fu nominato al suo posto Tiberio Sergardi, che faceva parte di una commissione creata per raccogliere offerte di denaro a favore della guerra d'indipendenza. A questa richiesta il Monte rispose con uno stanziamento mensile di 5000 lire e Tiberio Sergardi, che poi diventerà deputato e presidente della banca, fu riconfermato gonfaloniere per il quadriennio 1860-1863. Nel discorso per la rinnovata investitura - dopo le elezioni svoltesi nel novembre del 1859, dove egli prevalse con 253 voti sugli altri candidati - segnalò la "libera scelta dei cittadini" per la rappresentanza municipale, tolta dall'"arbitrio della sorte" 2

ACS, Pre-unitario 458 (4 genn. 1860).

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Scelte più libere, e soprattutto non condizionate dai secolari privilegi del ceto nobiliare, erano richieste anche per la nomina dei deputati del Monte.
Siena, la Galleria Peruzziana nella Rocca Salimbeni.
A tal proposito lo stesso Ricasoli, capo del governo toscano e ministro dell'Interno, nel maggio 1860 invitò il Comune di Siena a studiare "qualche riforma" per il Monte dei Paschi, "onde metterlo a livello coi progressi della civiltà, procurandone il più utile svolgimento, col migliorarne segnatamente il sistema delle cautele ipotecarie 3

N. Mengozzi, Il Monte, cit., IX, p.9.

. Questa richiesta segnalava già in modo evidente la mutazione del clima politico-sociale, nel quale l'ingerenza governativa sul Monte tendeva a diminuire, mentre Comune da una parte e Deputazione dall'altra rivendicavano con maggior decisione del passato le loro prerogative sull'antica istituzione bancaria. I problemi conseguenti all'unificazione italiana rallentarono però l'iter dell'auspicata riforma, voluta soprattutto da un selezionato gruppo di borghesi liberal-moderati. Il Comune nominò un'apposita commissione, che doveva studiare il progetto di riforma e di cui furono chiamati a far parte il già ricordato Policarpo Bandini e due esperti di diritto: Valerio Castellini, docente nell'Ateneo senese, e Carlo Passeri, avvocato.
I tre si misero al lavoro, ma nel frattempo un'altra questione di vitale importanza per il futuro del Monte dei Paschi si profilava all'orizzonte e coinvolgeva direttamente il Comune di Siena. Si trattava del progetto presentato in Parlamento dal ministro Pepoli, relativo all'istituzione di una nuova forma di esercizio del credito fondiario, che favorisse l'economia nazionale mediante la vantaggiosa offerta di capitali all'investimento agricolo, secondo modelli già sperimentati fuori d'Italia, dove si era riusciti infatti "a mobilizzare il credito in favore della proprietà immobiliare a mezzo di un 'intermediario' fra il proprietario fondiario richiedente il prestito e il risparmiatore intenzionato ad offrirlo per impiegare le proprie disponibilità. Questo intermediario - un Istituto di credito fondiario - per un verso si addossava tutti i rischi delle operazioni di mutuo [...]; per un altro procedeva, con l'autorizzazione dello Stato, alla emissione di proprie 'cartelle' per un ammontare equivalente al totale dei mutui concessi e al loro collocamento diretto sul mercato finanziario" 4

Armando Sapori, Il Credito fondiario del Monte dei Paschi, p. 4 (dattiloscritto in AMPaschi).

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Per attuare questo progetto era stato già avviato un accordo fra il Ministero del Tesoro e un potente gruppo finanziario franco-italiano, che aveva chiesto la concessione in esclusiva d'esercitare in Italia il credito fondiario e il credito agrario. Oltre l'opposizione nazionalistica dell'opinione pubblica, il progetto incontrò anche la resistenza di due antiche istituzioni che da tempo praticavano, anche se in forme diverse e forse antiquate, il credito fondiario: il Monte dei Paschi di Siena e la Cassa di risparmio delle Provincie Lombarde. A difesa del Monte si mosse il Municipio senese, che in una Petizione al Parlamento italiano del 31 luglio 1862 ricordava come "la Banca fondiaria senese, conosciuta sotto il nome di Monte dei Paschi" aveva tanto allargato le sue operazioni da raggiungere, all'indomani dell'unificazione del regno, un "ingente" credito di ventidue milioni ed era così in grado, "coi vistosi suoi avanzi, di supplire alle spese della sua amministrazione; sussidiare con generosi soccorsi pecuniarj gli stabilimenti di beneficenza; far fronte a diversi aggravi temporarj e permanenti, ma tutti utilissimi alla nostra città; e tenere in serbo un capitale per aumentare il suo patrimonio; e supplire alle perdite che possono verificarsi [...] Ciò posto - continuava la Petizione - è indubitato che la concorrenza di altra Banca fondiaria, la quale, per legge presentata al Parlamento italiano, sarebbe circondata di privilegi che il Monte non ha, e in specie quelli sul metodo delle garanzie ipotecarie per gli imprestiti e sulla esecuzione contro i debitori morosi, è indubitato, dicevasi, che i depositanti le somme ne farebbero il ritiro; e l'amministrazione del Monte sarebbe nella dura necessità di ripetere dai debitori le somme mutuate; e dovrebbe cessare da quelle elargizioni, che fanno prosperare gli istituti di beneficenza e servono inoltre al lustro ed al decorso dell'intera città" 5

Petizione del Municipio di Siena al Parlamento italiano a favore del Monte dei Paschi di detta città, Siena,Tip. Sordo- Muti, 1862, pp. 7 e sgg.

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Per tutte queste ragioni il Comune senese chiedeva che il Parlamento estendesse anche al Monte i privilegi che, in deroga al diritto comune, erano stati proposti per la novella Società di credito fondiario e agricolo.
Invito a esporre la bandiera italiana, 25 maggio 1859.AMPaschi, Mostra.
Alla fine di settembre del 1862 il decimo Congresso degli scienziati italiani, riunito a Siena, intervenne nella questione del Monte, proponendo la riforma dei suoi statuti prima che il Parlamento approvasse la convenzione sul credito fondiario. Anche il giornale fiorentino "La Nazione" scese in campo a favore del Monte, "società fondiaria di proprietari" rispetto alla "società fondiaria di capitalisti" che il Ministero voleva creare. "Facciamo il confronto - scriveva l'articolista de "La Nazione" - dando ai due istituti, che rappresentano ognuno un sistema diverso, armi uguali, e vedremo in questo modo quale di essi convenga di più all'Italia; perché le istituzioni devono accomodarsi ai bisogni del paese, non questi a quelle [...] Banche di proprietari antiche, e tuttora fiorenti, noi ne conosciamo diverse; il Monte, ad esempio, e la Banca di Pomerania; altrettanto non possiamo dire di quelle di capitalisti" 6

Il Monte dei Paschi di Siena, in "La Nazione", 16 ott. 1862.

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Invito a concedere sussidi "ai giovani volontari che si arruolano per la guerra italiana", 5 maggio 1859.AMPaschi, Mostra.
Altri giornali, come "Il Pungolo" di Torino e il "Giornale delle arti e delle industrie" di Milano, pubblicarono articoli sul Monte dei Paschi, definito da ambedue "gloriosa istituzione italica", capace di rendere importanti servigi, soprattutto alla Toscana, ma con un solo peccato, "quello cioè di non essere in mani abbastanza democratiche" 7

"Giornale delle arti e delle industrie", 17 dic. 1862.

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Con gli stessi argomenti della "Nazione", invece, il conte Giovan Battista Castellani difese la banca senese e il suo ordinamento in un polemico pamphlet contro l'istituto di credito fondiario proposto dal Ministero. "Il Monte dei Paschi di Siena - scrive Castellani - fu istituito nel 1624, sotto Ferdinando II dei Medici con un primo capitale di 200 mila scudi. Fu grande sollievo ai mali prodotti dalla caduta della Repubblica senese; tenendone ferme le basi, modificò col variare dei tempi i propri statuti; estese poco a poco le sue operazioni; sopravvisse a tutte le mutazioni politiche e ai pericoli da cui fu minacciato nel primo impero francese; fu prima Banca fondiaria in Europa; è sola adesso in Italia. Il Municipio di Siena, che ne ha la tutela, elegge la direzione e gl'impiegati del Monte. La prima è composta di otto nobili ch'entrano in carica quattro per anno e hanno voto decisivo. Il provveditore, che ha voto consultivo, e gli altri impiegati sono adesso inamovibili e confermati dal Governo. Ogni anno la sua amministrazione è riveduta dalla Corte dei Conti e il suo bilancio consuntivo dalla Prefettura e dal Municipio di Siena. Il Monte di Pietà e la Cassa di risparmio hanno amministrazione separata, ma dipendono dalla medesima direzione del Monte, che li coadiuva e n'è coadiuvato. L'abbondanza del danaro gli è assicurata dalle pubbliche amministrazioni delle provincie di Siena e Grosseto, che per legge devono affidargli i propri capitali col diritto di ottenere prestiti estinguibili a piccole rate, da 158 Comunità della Toscana che si dicono capitolate col Monte e che godono dello stesso vantaggio, e dai proprietari privati delle stesse Comunità che hanno in esso una fede senza misura, e che per dargli tempo d'impiegare il loro danaro, che diventa fruttifero dal giorno dell'impiego, si rassegnano spesso a perdere il frutto finché arrivi quel giorno. Per determinare il valore dei fondi che gli sono offerti in ipoteca, il Monte prende per base la rendita imponibile assegnata dal catasto, la capitalizza al 5 per cento, sottrae dalla cifra che risulta il debito esistente e presta due terzi della somma che rimane. Tiene conto tuttavia della ubiquità dei terreni, e di circostanze al tutto eccezionali. Non esige prima ipoteca, ma solamente piena garanzia. Stipula sempre di poter esigere la restituzione dei mutui a volontà; ma di questo diritto non si valse che un'unica volta nel 1848, chiedendo ai debitori un ventesimo, che, mutatesi tosto le circostanze eccezionali, pochi ebbero tempo di pagare. Perciò i debitori del Monte sono sicuri da padre in figlio di non soffrire molestia per la restituzione del capitale. D'altra parte i creditori hanno lo stesso diritto contro di lui di farsi pagare a volontà, ed esso li paga a vista: e i debitori hanno la facoltà di estinguere il debito a piacimento con qualunque benché minima somma. Ha il privilegio dell'esecuzione mobiliare per esigere i frutti. Ha facoltà di variare l'interesse, e lo variò più volte; pei debitori il minimo fu nel 1701 del 3 e un terzo; il massimo nel 1818 del 3 e due terzi; l'ordinario è l'attuale del 4 e mezzo; per i creditori fu quasi sempre il mezzo per cento meno, col quale mezzo per cento il Monte sopperisce a tutte le spese, fa molti avanzi, dà larghi aiuti. Infatti esso spende annualmente negli impiegati appena ventimila lire, e alla Deputazione non paga che lire 2436; di avanzi ha più di un milione, che tiene a maggior garanzia dei suoi creditori; in aiuti ad istituti pii, alla città ed allo Stato diede in 20 anni più di mezzo milione. Ha 1702 debitori, e mentre il suo credito era di 6 milioni nel 1840, ammonta adesso a 22.741.139 lire italiane.
Dacché cominciossi a parlare ed a scrivere in Italia sul credito fondiario, da qualche giornale fu consigliato al Monte dei Paschi di riformare i propri statuti. Non è temerità il ritenere che certi consigli siano stati dettati da un pensiero malevolo, onde screditare un'antica istituzione, per ardere incenso all'istituzione nascente" 8

Sul progetto ministeriale di un Istituto di credito fondiario ed agricolo. Osservazioni di G[iovan] B[attista] C[astellani], Firenze, Barbera, 1862, pp. 31-33.

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Poco dopo - il 20 novembre 1862 - Castellani ribadì le sue idee in un altro opuscolo, il cui titolo divenne "la parola d'ordine degli avversari alle riforme sostenute dal Comune di Siena: Lasciate il Monte com'è". Questa seconda pubblicazione era stata sollecitata e finanziata dallo stesso provveditore del Monte Francesco Bindi Sergardi, preoccupato del fatto che il Comune di Siena, dopo molte discussioni, stava ormai approvando il nuovo statuto, dove, oltre l'applicazione del sistema di ammortamento ai prestiti di lunga scadenza e l'emissione di cartelle e obbligazioni fondiarie chiamate "fedi di deposito", si stabiliva "l'abolizione di ogni preferenza di casta nella collazione degli uffici ed impieghi di quello stabilimento" 9

[Cesare Bartalini], Sul riordinamento dei Monti Riuniti di Siena. Rapporto della Commissione municipale e Statuto e regolamento dei detti Monti Riuniti discussi e approvati dal Municipio di Siena e pubblicati a cura del medesimo, Siena,Tipografia Sordo-Muti, 1862, p.21.

. Ciò voleva dire che i nobili senesi avrebbero dovuto rinunciare ai loro antichi privilegi.
Scheda Tematica
Scienziati a congresso

Controversie sullo Statuto

Nel 1862 si tenne a Siena la decima edizione delle laiche, riformistiche e patriottiche Riunioni scientifiche italiane, che erano state varate a Pisa ventitré anni prima. Tra gli argomenti dibattuti, il futuro assetto del Monte dei Paschi: del quale veniva sancito l'inizio di un'era nuova, borghesemente illuminata.
Le Riunioni scientifiche italiane, come furono denominate a partire dalla prima, che si tenne in Pisa nel 1839 e adunò, tra stranieri e italiani, un quattrocento partecipanti, furono concepite per dare risalto e forza attrattiva agli intellettuali, pressoché tutti docenti universitari, di sentimenti patriottici. Il significato politico che di fatto rivestirono era sottinteso ma non per questo meno percepibile. Furono un'iniziativa che mirava a favorire ed estendere un'egemonia laico-scientifica nella formazione del ceto dirigente che avrebbe prima guidato il processo risorgimentale e avrebbe dovuto quindi occuparsi della cosa pubblica o orientarne la gestione, applicandovi le necessarie competenze professionali. Evidente ne era la funzione di laico contrappeso, se non di contrasto, rispetto alla corrente neoguelfa e ancor più ai lacci papalini. Gregorio XVI le condannò da subito e il cardinale Luigi Lambruschini, segretario di Stato di idee assolutistiche e ferrea intransigenza, vietò espressamente agli scienziati di fede cattolica di aderire a un programma che ai suoi occhi appariva una dichiarazione di guerra contro il dominio ecclesiastico sui saperi. Anche la geografia che gli itineranti congressi disegnano era stabilita con l'intento di coinvolgere varie città in un lavoro che non voleva restringersi a separate élites. E in ogni città, insieme a temi di carattere generale, venivano trattate questioni più legate alle vicende del luogo, alle sue tipiche risorse naturali o alle esperienze storiche maturate. La dinamica policentrica delle riunioni era influenzata da una visione cattaneana, certo più praticabile all'indomani del raggiungimento, sia pure non pieno, dell'unificazione del Paese. L'Italia delle cento città sarebbe stata attraversata da un vento di nuove idee con un rito che provocava un utile grado di nazionalizzazione dei problemi. Il riformismo liberale del granduca aveva fatto sì che la Toscana diventasse regione privilegiata di tali peregrinazioni. Dopo l'esordio pisano, che registrò la presenza di Leopoldo II in persona, Carlo Alberto convocò una seconda edizione in Toscana l'anno successivo. E poi di seguito Firenze nel 1841, Padova nel 1842, Lucca nel 1843 e così via.
Pietro Aldi, bozzetto per l'Incontro a Teano tra Vittorio Emanuele II e Giuseppe Garibaldi, particolare.
Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Carlo Ernesto Liverati, Ritratto di Francesco Puccinotti.
Collezione privata.
Il X Congresso, che poté dirsi formalmente nazionale, si svolse a Siena e nel fitto ordine del giorno fu inscritto anche il Monte dei Paschi che allora doveva affrontare spinosi dilemmi circa il suo futuro. Per la prima volta una banca così radicata in un territorio, anzi in una terra, era spinta a discutere riforme statutarie che mettevano in gioco la sua identità e il sistema di relazioni che si era andato definendo nei secoli. è da credere che il sostegno accordato in eccezionale misura dalla Deputazione del Monte sia stato avvalorato da un obiettivo molto politico e non solo da sentimenti patriottici: inserire la questione della banca in coordinate nazionali, sottraendola, almeno un po', alle estenuanti diatribe da municipio. Oltretutto il Congresso si sarebbe svolto in parallelo agli accesi confronti sul nuovo statuto e il nuovo regolamento del Monte in agenda nei lavori del Comune. Il 5 dicembre 1861 gli amministratori della banca stanziarono un sussidio di ventimila lire per gli organizzatori dell'aulica kermesse. In 225 raccolsero l'invito e numerose furono le pubblicazioni preparate e offerte per l'occasione. Nell'elenco compaiono, tra gli altri, i nomi di Graziadio Isaia AscoliGraziadio Isaia Ascoli, Enrico Mayer, Tommaso Pendola, Cosimo Ridolfi, Marco Tabarrini, Giovan Pietro Vieusseux, Pasquale Villari. Nutrito lo stuolo dei senesi.
Copertina dell'opuscolo del conte Giovan Battista Castellani in difesa del Monte dei Paschi.
Collezione privata.
Aprendo i lavori, il 14 settembre, il presidente Francesco Puccinotti, storico della medicina, fisiologo, medico legale, amico e corrispondente di Giacomo Leopardi, tra gli intellettuali di fiducia del granduca, non dimenticò di rendere omaggio alle antiche repubbliche quali anticipatrici del moto risorgimentale, quelle repubbliche che "combattevano - disse - vigorosamente contro i despoti interni e gli stranieri, difendevano la libertà propria e quella insieme della nazione". Un vero e proprio inno a Siena l'urbinate Puccinotti declinò all'inizio del suo discorso, gonfio di ambizioni letterarie. Vi trovavano la dovuta menzione Sallustio Bandinie la sua antiveggente teoria del libero commercio, vi erano rammentati Vittorio Alfieri e le sue "lunghe dimore" in una città per eccellenza ghibellina: "Forse questi monti con folte ad aspre selve esemplavangli la libertà e la fortezza della vegetante natura: forse la Lupa stemma dei senesi rammentavagli Roma libera: forse egli traea pure diletto dal vedere entro il Duomo di Siena venerato ancora dal popolo sopra un altare quel Cristo, che i repubblicani recavansi seco alla battaglia di Montaperto, e le antenne del carroccio che tolsero ai vinti: forse l'antica architettura della città, annerita dal tempo e di forme sì semplici che grandiose e severe, confacevasi alla fiera anima di quel grande nemico di tutti i Re; dalla quale vorrei pure udire qualche accento di meraviglia, se vivesse oggi, che all'Italia sia toccato finalmente un Re galantuomo". La brusca correzione filomonarchica era un ottimo artificio per passare all'illustrazione dei principi di una filosofia civile di ispirazione platonico-cristiana. Uno dei protagonisti delle controversie attorno al Monte fu Alberto Rinieri de' Rocchi - autore di uno studio Sugli stabilimenti di credito pubblico in Siena -, non solo cattedratico di economia politica ma anche consigliere comunale: indossava l'abito giusto per fare da trait d'union tra i dibattiti scientifici dei convenuti e le discussioni politiche cittadine. Noto per le sue posizioni ultraconservatrici - in tutto degne di quelle dell'antenato Antonio, padre della Giulina amata da Stendhal - sul problema Monte tenne un atteggiamento di accorta mediazione, cercando di assorbire e per taluni aspetti di neutralizzare i pareri più esigenti. La soluzione varata in sede municipale per gli elementi propriamente economici "non segnò [...] una netta cesura col passato - ha scritto Giuseppe Conti -, anzi mantenne sostanzialmente intatto l'ordinamento vigente".
Copertina dell'opuscolo a sostegno della candidatura di Giovan Battista Castellani.
Collezione privata.
Fu assai meno drastica di quella prospettata a nome della classe di economia politica e statistica da un liberale moderato quale Giovanni Battista Giorgini, all'epoca del Congresso deputato del primo Parlamento italiano e docente nell'ateneo senese di istituzioni di diritto civile, famoso in quanto genero di Alessandro Manzoni, marito della figlia Vittoria e premuroso ospitante della di lei sorella Matilde, aggredita dalla tisi, a Siena deceduta in giovane età. In coerenza con la sua opzione fortemente unionista, Bista - nomignolo affibbiato al professore - si dichiarò favorevole alle due riforme ritenute essenziali per rendere l'operatività del Monte omologata al contesto nazionale, e oltre: l'"ammortizzazione a minime rate" dei prestiti ottenuti dai debitori e l'emissione di "lettere di pegno", di cartelle fondiarie cioè, altro miglioramento da introdurre negli istituti di credito sul modello della francese Società Frémy. Era saggio, secondo la commissione a nome della quale riferì Giorgini, che il Monte anticipasse con (relativa) autonomia quanto veniva richiesto dalla riforma in preparazione, abbandonando una linea di chiusa e impaurita difesa. Rinieri esordì sulla negativa e non poté far a meno di nascondere una discreta consonanza con la tesi immobilista energicamente propugnata da Giuseppe Lombardo Scullica, un'autorità in materia, professore di finanza all'Università di Torino, e sintetizzata da uno slogan fin troppo chiaro: "Il Monte dei Paschi lasciamolo com'è".
Siena, cerimonia del giugno 1861 nel giardino della Lizza.
Siena, Archivio Fotografico Malandrini.
Ma ritenne opportuno ammorbidire le sue più intime convinzioni sul merito con un'adesione gattopardesca ai mutamenti necessitati. Nelle sedute ufficiali il Monte non ebbe - basterà sfogliare il Diario per rendersene conto - uno spazio eccessivo. Le analisi furono proposte in toni misurati. L'intervento più drammatizzante e retoricamente giocato fu quello del deputato fiorentino Giuseppe Panattoni, che con calcolata ironia mise in caricatura le manovre della concorrenza mascherata, le "invasioni di imprese speculative", quasi che "i capitali andassero in cerca di chi abbisogni di opere pie, di prestanze e così via".
Copertina dell'opuscolo diGiovan Battista Castellani del 20 novembre 1862. AMPaschi, Mostra.
Il finale dissenso di Rinieri - manifestato con il suo voto contrario, l'unico registrato, nella somma assemblea cittadina - avverso il progetto messo a punto in Comune, verté fondamentalmente su una rottura che non aveva nulla a che fare con le disquisizioni scientifiche. Ed era la cancellazione del privilegio concesso ai soli nobili di amministrare le fortune dell'istituto: "Voler tolti alla nobiltà - scrisse con non celata amarezza in una lunga e contorta memoria di resa -, soltanto perché nobiltà si denomina, gli uffici che essa esercita con lode per sé, e con vantaggio per il pubblico, è dare nell'assurdo e nell'ingiusto, per affettato amore di eguaglianza". A suo parere la "forma mista di sorte e di scelta" della procedura con la quale veniva selezionata la rappresentanza comunale doveva continuare a sussistere perché, tutto sommato, aveva dato buona prova. La borsa dalla quale si estraevano i nomi da sottoporre a voto segreto doveva continuare a essere fonte del potere. Per condurre la battaglia non si era esitato a ricorrere a personaggi del tutto estranei alle vicende senesi.
La questione era squisitamente classista. Le schermaglie del Congresso svanirono presto e la scena fu occupata da animosi personaggi come il conte Giovan Battista Castellani, nativo di Cividale del Friuli, esule in terra toscana dopo un ambiguo curriculum di diplomatico sostenitore della causa veneta, autore di due pamphlet (commissionati dal provveditore della banca e invocati con simpatia da Rinieri), uno dei quali dal titolo altisonante identico a quello lanciato da Scullica: Sul Monte dei Paschi di Siena. Lasciate il Monte com'è. Osservazioni.
Copertina dell'opuscolo del Comune di Siena in difesa del Monte dei Paschi, 31 luglio 1862. AMPaschi, Mostra.
In esso il futuro deputato della Sinistra - nell'ottobre 1865 sarebbe stato eletto nel collegio di Montalcino nonostante una feroce propaganda di stampa che aveva ritirato fuori i suoi spregiudicati contatti con gli austriaci e le intese sottobanco con i clericali - si collocava tra "gli interpreti di tutta la possidenza toscana, e delle intelligenze più elette", avversario di "stolte improntitudini" e di "quello spirito di progresso che fa attentare alle più belle istituzioni della patria senza vergogna e senza rimorso". Quando - dieci anni dopo - il Consiglio comunale di Siena esaminò con filologico puntiglio lo Statuto del Monte si sarebbe registrata una disputa assai significativa. Si doveva scrivere che il Monte "appartiene" a Siena o che era "proprietà" del Comune? Dirlo "proprietà" non era una formula azzardata? "Temo che la parola proprietà - fece osservare un consigliere (Foschini) potrebbe allarmare i creditori del Monte. Ritengo perciò che gioverebbe di evitarla". E così fu.
Tra tanto clamore di polemiche argomentazioni, che attestano il primo insorgere del complicato equilibrio da conseguire - per la banca senese e per tanti altri istituti analoghi - tra dinamiche nazionali e domande locali, finiva il Monte ancien régime. Cominciava una fase guidata dalla nuova borghesia risorgimentale. Roma era desiderata e temuta al di là delle alate parole che aveva pronunciato il 28 settembre 1862, a chiusa del X Congresso il segretario Valerio Castellini, docente di istituzioni di diritto romano: "Dolenti di separarsi, deh! Venga sollecito il giorno in cui possiamo di nuovo, e tutti, incontrarci, e in Roma, e molto innanzi l'Undecimo Congresso; ed in un momento ben più solenne e memorando; accorsi con tutta Italia, e plaudenti, ed ossequiosi, intorno al Re eletto a ricomporre la patria italiana in Campidoglio".
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2. Fazioni in lotta

Rispondendo a un velenoso articolo pubblicato nella "Provincia", un giornale di tendenza liberale, che uscì a Siena dal marzo al luglio 1862 e che aveva definito il Monte "un'anticaglia, un anacronismo, un'arca di Noè, un istituto che non ha ragione di esistere, ch'è in decadenza, che è prossimo al suo colpo di grazia", Castellani si chiede se era possibile che l'autore di quell'articolo fosse "l'oracolo del Municipio senese" e continua: "La disposizione dello statuto del Monte, che fu sempre osservata, in forza della quale il provveditore e i membri della Deputazione devono essere nobili senesi, urta il sistema nervoso dello scrittore della 'Provincia'. Dopo averci fatto sapere con modo pomposo e con frase infelice, che il progresso delle idee ha abolito nella coscienza dei popoli, poi di fronte alle leggi, ogni privilegio di casta, dichiara, con un linguaggio tutto suo proprio, che questo sistema è un pezzo d'archeologia, una sorgente di danni e pericoli. Ammette che i nobili senesi sono (è sua frase anche questa) inappuntabili per probità; ma in generale, sebbene veli il concetto, li dichiara ignoranti, mentre sostiene che il loro ufficio esige molte cognizioni, e ch'è d'importanza altissima; e chiedendo l'abolizione del privilegio, proclama che trattasi nientemeno che del cardine fondamentale del Monte. Singolar cosa e mirabile in vero, che trovandosi da due secoli il vizio nel cardine fondamentale del Monte, nessuno se ne sia accorto prima dello scrittore della 'Provincia'! Singolar cosa che con questo vizio del cardine, il Monte abbia sempre proceduto di bene in meglio!"10

Sul Monte dei Paschi cit., p. 6.

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Un'Appendice chiude l'opuscolo con queste parole: "Fin dal 1859 un basso intrigo fu ordito contro il Monte dei Paschi da pochi ambiziosi pei quali il sacro amore della patria è sacra fame dell'oro, allo scopo unico di alterarne l'interna amministrazione onde porvi le mani o specularvi altrimenti. A tal fine occorrendo provare che il Monte aveva bisogno di una riforma, e non esistendo un mezzo di prova, si profittò per farlo nascere della legge del 15 marzo 1860 sull'affrancazione dei livelli. Questa doveva far crescere notabilmente le ricerche di danaro, ed esaurire ben presto i depositi del Monte. Siccome per altro il Monte avrebbe potuto soddisfare a tutti i bisogni coll'elevare la misura degl'interessi a favore dei depositanti che sarebbero accorsi più numerosi, occorreva impedire ch'esso abbracciasse tale espediente. Perciò fu usato un raggiro sì completo e sì abile, che alla domanda d'aumentar l'interesse, ripetuta per tre volte dalla Direzione del Monte, non fu dato corso, anche a costo di violare lo statuto nella rinnovazione delle cariche; e per tal modo si ottenne lo scopo voluto, e il danaro mancò. Allora si cominciò a gridare altamente che l'istituzione del Monte dei Paschi non corrispondeva ai bisogni del paese, che era d'uopo riformarla, che dovevasi portarla (come oggi suol dirsi) all'altezza dei tempi; allora fu ricorso al Governo della Toscana; e questo, meno per proprio convincimento che per liberarsi da domande importune, autorizzò il Municipio di Siena a propor le sue idee. Trovasi una conferma del fatto nel non essere stata concessa al Monte la facoltà d'aumentare l'interesse che dopo più di due anni, quando cioè l'accorta consorteria non aveva più dubbio di riuscire all'intento suo; e trovasi una prova del maligno rifiuto in ciò, che appena ottenuta una tale facoltà, in poche settimane il Monte poté fare prestiti per più di mezzo milione, come avrebbe potuto farli se gli fosse stata concessa quando la chiese.
Così si racconta; ma noi diciamo che questa storia non può essere vera, perché non crediamo che in Siena possa darsi l'intrigo che si vuol mettere in campo; e soprattutto perché il Municipio di Siena non può essere mancipio di un partito, non può prestarsi all'intrigo, non può trattare i pubblici affari senza prenderne cognizione profonda, non può tradire il proprio mandato.
Si narra che il Municipio credesi nel pieno diritto di riformare e di mutare gli statuti del Monte in base a una officiale della Prefettura di Siena del 29 maggio 1860; e che anzi si ritiene investito di una vera podestà costituente, in modo da non sentirsi obbligato a provare coi fatti la necessità o d'una riforma generale, o di ogni singola riforma speciale; e si adduce in conferma ch'esso ha deliberato e delibera prescindendo da qualsiasi prova in proposito; si narra di più, ch'esso avrebbe respinta una proposta tendente a ottenere l'adesione delle Comunità capitolate; si narra per giunta ch'esso si crede investito di poteri quasi sovrani; e si spinge l'audacia perfino ad asserire che discutendo l'articolo relativo all'approvazione superiore dello statuto da esso immaginato, abbia votato a pieni voti la clausola: in quanto e ove occorra.
Tutto ciò dev'essere falso e malignamente immaginato. Infatti la officiale del 29 maggio 1860 non diede facoltà al Municipio di Siena che di fare uno studio con tutta la diligenza per verificare se il Monte fosse suscettibile di uno svolgimento maggiore, e se potesse migliorarsi il sistema delle cautele ipotecarie. Questa raccomandazione è ben lungi dal dare poteri di riforma, e tanto meno dal dare un'autorità costituente [...] Il Monte dei Paschi, non limitando le sue operazioni al territorio senese, ma avendole estese a quasi tutta la Toscana, dovrebb'essere sottratto dalla tutela del Municipio di Siena"11

Ivi, pp. 24-26 e 34.

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La discussione sul riordinamento del Monte si aprì nel Consiglio comunale il 15 ottobre 1862 con una relazione del professor Valerio Castellini, che a proposito dell'opuscolo del suo quasi omonimo Castellani parlò di "libello diffamatorio contro il Comune"12

ACS, Comunità 1814-65, 461 (verbale del 22 nov. 1862).

e che, insieme con gli altri due membri della Commissione incaricata di approntare il nuovo statuto del Monte, rilevò - secondo una nota "riservatissima" diretta al prefetto - "grandissimo disordine dell'attuale amministrazione del Monte, dovuto in parte alla grande inettezza [sic] degli attuali preposti [...] e più specialmente agli atti innumerevoli di favore, che con danno della moralità e degli interessi del Monte, le Deputazioni hanno sempre tollerati a benefizio di quelli fra i debitori che appartengono alla casta" 13

ASS,Gabinetto di Prefettura 22 (13 mar. 1863) e Donatella Fabbri, Siena nel primo decennio post-unitario, in "Bullettino senese di storia patria", CII (1995), pp. 301-302.

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L'eterogeneo raggruppamento liberale, che il Castellani aveva definito un'"accorta consorteria" formata da "pochi ambiziosi", riuscì nel suo intento e il nuovo statuto del Monte fu approvato dal Consiglio comunale con diciotto voti favorevoli e solo uno contrario, quello di Alberto Rinieri de Rocchi, professore di economia politica nell'Università di Siena. Per spiegare la sua opposizione, Rinieri scrisse che, secondo lui, il Monte non avrebbe dovuto diventare - come il nuovo statuto prevedeva - una cassa di credito fondiario, "il di cui scopo è di rendere mobili i titoli del credito ipotecario e la cui funzione consiste semplicemente in farsi mallevadrice di questi titoli di fronte a coloro, in mano dei quali pervengono". Tutto ciò sarebbe stato "contrario alla natura della nostra istituzione patria, la quale si fa prestatrice direttamente di numerario, che consegna con una mano, mentre con altra mano lo ha ricevuto dai depositanti, che possono ad ogni momento ridomandarlo" 14

Sul progetto municipale per la riforma del Monte dei Paschi di Siena. Osservazioni del prof. Rinieri de Rocchi, in N. Mengozzi, Il Monte cit., IX, p. 717. Sul Rinieri de Rocchi v. Giovanni Pavanelli, L'economia politica all'Università di Siena (1840-1870), in L'istituzionalizzazione dell'Economia politica nelle Università italiane (1754-1900): continuità e discontinuità, Milano, F.Angeli, 1988, pp. 210-216.

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"È vero - continuava, in polemica coi presentatori del nuovo statuto - che si ha cura di avvertire come la prosperità cui il Monte è salito è tutta opera di fortuna, senza alcun merito di uomini [...] Ma bisognava pur considerare che ciò che sembra fortuna alle nostre corte vedute, non è che una manifestazione di leggi arcane; e fino a tanto che non fosse dato sostituire cause certe e intelligibili, non avremmo ragione di negare che in questa che dicesi fortuna avesse parte l'azione operosa, onesta, disinteressata, di quegli uomini che ne furono i ministri"15

Sul progetto municipale cit., p.718.

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Proprio questo tipo di azione era rivendicata dal provveditore Bindi Sergardi, che fino al suo forzato collocamento a riposo nel marzo 1864, si batté strenuamente contro il nuovo statuto e contro l'abolizione delle prerogative nobiliari sul Monte, tanto che il prefetto di Siena parlò di "meschina congiura del nobilume reazionario", geloso di quel "santuario", fino ad allora "vietato all'intelligenza onesta e operosa"16

Lettere del prefetto di Siena, maggio 1863, in Archivio Centrale dello Stato, Ministero dell'interno 342, fasc. 26059/33-44 e ASS, Gabinetto della Prefettura 22, Affari di Gabinetto 1863, n. 7 (in G. Conti, La politica cit., pp. 218 e 223).

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Un regio decreto del 14 maggio 1863, "vedute le varie deliberazioni del Municipio senese" abolì "il privilegio degli iscritti al grado di nobiltà della città di Siena, di doversi nominare esclusivamente fra loro la Deputazione del Monte dei Paschi della detta città".
Abbandonata la denominazione di Monti Riuniti, ognuno dei quattro organismi legati al Monte dei Paschi - e cioè Monte Pio, Cassa di risparmio, Credito fondiario e Credito agricolo - ebbe un'amministrazione separata. Fu stabilito infine che almeno la metà degli utili fosse destinata ad aumentare il patrimonio del Monte, mentre il resto poteva essere "erogato in opere di beneficenza e di pubblica utilità per la città di Siena".
Altri due regi decreti stabilirono la nomina a provveditore di Giovan Bernardo Alberti e la possibilità della simultanea residenza nel Consiglio comunale e nella Deputazione del Monte 17

AMPaschi 19, n. 123.

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Il rinnovamento istituzionale e le trasformazioni di alcuni suoi moduli operativi permisero all'istituto senese di soddisfare le esigenze di nuove categorie di risparmiatori e speculatori, che andavano formandosi dopo l'unificazione nazionale. In particolare - come ha osservato Armando Sapori 18

A. Sapori, Il credito cit., p. 25.

-"i nuovi strumenti del credito fondiario, i nuovi titoli quali le cartelle fondiarie, i nuovi sistemi dell'ammortamento obbligatorio" erano intesi a soddisfare le richieste di un mercato più vasto e articolato dove - per esempio - gli acquirenti dei beni demaniali e di quelli ecclesiastici sequestrati e posti in vendita dal governo, gli imprenditori edili, i proprietari di immobili e di terreni urbani potevano trovare credito a un tasso modesto e possibilmente uniforme.

3. Le Casse affiliate e il Credito fondiario

"Con la veduta di favorire più estesamente le classi meno agiate" il regio decreto del 25 febbraio 1863 concesse l'apertura di "casse affiliate [...] in tutti quei luoghi in cui fosse creduto utile [...], lasciando perciò giudici di tale opportunità i rispettivi municipi, col riserbarne ad essi l'iniziativa". Agli stessi municipi era demandata la scelta degli impiegati "e, conseguentemente, la garanzia della loro gestione di fronte alla cassa madre, assumendo essa, a sua volta, l'onere di retribuirne l'opera adeguatamente, nonché il carico e il rischio del collocamento dei capitali raccolti".
In base a tale decreto il Comune di Chianciano chiese l'affiliazione al Monte dei Paschi e l'Affiliata fu aperta nella cittadina termale il 9 aprile 1865 con un cassiere e uno scrivano. Un mese dopo, nel palazzo della Pretura, che era di proprietà comunale, fu inaugurata anche l'Affiliata di Asciano, seguita poi, fino alla fine del XIX secolo, da altre diciannove Casse affiliate, trasformatesi successivamente in vere e proprie Filiali dell'istituto senese 19

Gino Mugnaini, Un secolo di vita. Cento candeline per le Filiali di Chianciano e Asciano, in "Il Monte. Notiziario aziendale", IV (1965), n. 4, pp. 18-19.

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Attestato relativo alla concessione di sussidi del Monte alle famiglie povere dei volontari, 9 agosto 1866.AMPaschi, Mostra.
"L'azione di queste Affiliate fu molto importante, - ha scritto Romolo Camaiti - oltre a raccogliere dal 1865 al 1874 quasi 400mila lire di risparmi [...] permisero la costituzione delle Succursali del Credito agricolo, le quali dal 1870 si assunsero il servizio di soccorrere la proprietà e l'industria agraria, cosicché fu possibile impiegare più facilmente i risparmi sul posto stesso ove erano stati raccolti, cosa che, d'altro lato, costituì un mezzo per agevolare l'aumento dei risparmi stessi" 20

R. Camaiti, La dinamica territoriale del Monte dei Paschi di Siena negli ultimi cento anni, in "Il Monte. Notiziario aziendale", VI (1967), n. 1, p. 19.

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Dopo che il Parlamento aveva respinta la convenzione diretta a istituire in Italia il credito fondiario attraverso una Società anonima, il governo si rivolse ad alcuni istituti di credito perché si assumessero quell'incarico, ripartendosi il territorio nazionale. La Cassa Centrale di risparmio di Milano, il Monte dei Paschi e il Banco di Napoli risposero positivamente e con la convenzione del 4 ottobre 1865 s'impegnarono a esercitare il credito fondiario rispettivamente nell'Italia settentrionale, centrale e meridionale. L'anno seguente anche l'Opera Pia San Paolo di Torino per il Piemonte e la Cassa di risparmio di Bologna per l'Emilia e le Marche aderirono all'iniziativa.
Cesare Bartalini, che fu a lungo segretario generale del Monte da quando tale carica fu istituita nel maggio 1875, così rievocò - dopo molti anni - la nascita del servizio di Credito fondiario: "I vecchi come me ricordano benissimo che nel 1866 all'invito del ministro Cordova affinché il Monte dei Paschi assumesse il Credito fondiario per l'Italia Centrale, offerta stata respinta da quei parrucconi che amministravan la Cassa di risparmio di Firenze, fu dapprima detto di no anche dal Monte dei Paschi [...] Ma la stampa di quei tempi, e non ultimi fra i giornalisti senesi l'umile scrivente, tanto gridò, tanto fece, che nel Consiglio comunale fu deliberato di rispondere al Ministro di sì [...] E fu la fortuna del Monte, sino allora appena conosciuto in Toscana, con 16 milioni circa di depositi e poco più di mutui; con un patrimonio di men che tre milioni e ricavando dalla sua gestione men di centomila lire all'anno di utili. Col Credito fondiario poté salire a circa 60 milioni di depositi, 10 milioni di patrimonio e 600 mila lire di utili annui e, quel che interessa, acquistare fama in tutta Italia e fuori [...] La legge pel Credito fondiario d'Italia e la convenzione relativa [...] fu preparata e concordata fra i delegati dei quattro Istituti ed il ministro Cordova al Palazzo vecchio di Firenze. Fatto e concordato il testo della convenzione, il presidente del Consiglio La Marmora dette un pranzo ai delegati nell'Albergo La Stella d'Italia. Rappresentavano il Monte dei Paschi il sig. Lodovico Bellugi e l'avv. Mazzi, ed era loro segretario l'avv. Cesare Bartalini" 21

Il Monte dei Paschi e le sue Sezioni per l'esercizio del credito, in "Gazzetta di Siena", 4 ag. 1901.

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In tre anni il Credito fondiario senese concesse un milione e mezzo di mutui ipotecari. "Se si pensa - commentò ancora Bartalinii - che al Monte dei Paschi occorsero 250 anni per giungere a 28 milioni di mutui ipotecari, il Credito fondiario può dirsi abbia fatto miracoli" 22

[C.Bartalini]Sul riordinamento cit., p.68.

. Tanto più che la crisi di sfiducia precedente la guerra nel maggio 1866 aveva costretto il governo all'introduzione del corso forzoso, con la conseguenza del temporaneo rinvio di ogni emissione di cartelle fondiarie, che avrebbero seguito la sorte degli altri titoli italiani, tutti in pauroso declino. Non solo: il credito fondiario in cartelle fu ostacolato, almeno fino al 1870, dall'emissione di speciali "obbligazioni ecclesiastiche", che potevano essere conteggiate al valore nominale per l'acquisto delle terre del patrimonio della Chiesa confiscate dallo Stato.
In seguito alla dichiarazione del corso forzoso, il Monte dei Paschi fu autorizzato a emettere "buoni di cassa" per un valore di 500mila lire nei tagli di 10, 25, 50, 100 e 200 lire, poi ritirati in seguito alla legge 30 aprile 1874 23

Adolfo Miní, La carta moneta italiana 1746-1960 con commento storico, Palermo, Ed. Ingrana, 1967, p. 310.

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Cesare Bartalini, in "La Gazzetta di Siena", 24 settembre 1911. BCS, Giornali senesi 51.
Dopo le decisioni di ammettere depositi di denaro per somma illimitata e di concedere la possibilità di compiere operazioni da qualunque provincia toscana, senza obbligo di capitolazioni, nel maggio 1869 la Deputazione del Monte, "considerando la convenienza di abbandonare il sistema di contabilità, che da tanto tempo era in vigore presso i Monti Riuniti, per attuarne uno, che fosse più spedito, che offrisse maggiori guarentigie di esattezza, e meglio corrispondesse alla necessità del sindacato; considerando che il sistema di scrittura a partita doppia o per bilancio, era l'unico che maggiormente stabilisse l'ordine, e che offrisse la conoscenza degli affari in ogni tempo" 24

AMPaschi 678, n. 90.

, stabilì di usare detto sistema, ossia il "sistema bilanciante", in ogni ramo d'amministrazione dei Monti Riuniti.Da parte dei proprietari mutuatari si continuò a preferire il vecchio credito col mutuo a contanti, come il provveditore del Monte spiegò più tardi nella sua relazione al Rendiconto della gestione 1879: "Sono note abbastanza le difficoltà comuni a tutti gli Istituti assuntori dell'esercizio del Credito fondiario nel nostro paese, e che ne avversarono in tanti modi l'impianto ed un più sollecito sviluppo; ma non sono forse note del pari o almeno apprezzate nel loro giusto valore quelle tutte speciali della zona territoriale assegnata al nostro Monte, e che hanno più decisamente influito nella scelta di quella linea di condotta che da taluno è stata giudicata troppo meticulosa. Una di queste difficoltà, per esempio, consisteva in ciò: che nella regione alla quale sono circoscritte le sue operazioni esistevano altri Istituti di credito di buona reputazione, segnatamente Casse di risparmio che funzionavano già per più rispetti come il Credito fondiario, ma mutuando a contanti anziché a cartelle, e così offrendo, fino al pareggiamento del valore venale con quello nominale di quei titoli, vantaggio per lo meno uguale senza alcun danno rilevante dei mutuatari.
Repertorio degli accreditati, copertina. AMPaschi, Cassa di risparmio 1874.
E siccome il saggio del danaro nel perimetro prefisso alle operazioni del Monte è stato per molti anni assai più elevato che in altre regioni d'Italia, così riusciva impossibile (anco se non vi fossero stati ostacoli di altra natura), conseguire il pareggiamento od almeno un notevole avvicinamento fra il valore nominale e quello commerciale della cartella fondiaria, senza di che l'estensione delle operazioni di cui essa è lo strumento essenziale non poteva essere che un platonico desiderio. Quindi sintantoché perdurasse un tale stato di cose, l'amministrazione del nostro Istituto si trovò stretta al bivio: o di continuare nel sistema dei mutui diretti e preferiti dai mutuatari, fino a che pel miglioramento del saggio delle cartelle, e pella maggiore conoscenza dell'indole della nuova Istituzione non divenisse possibile un vero e non artificioso sviluppo di questa; oppure di renunziare assolutamente alle operazioni di mutuo a contanti per trincerarsi esclusivamente in quelle a cartelle. Ma in questo caso senza alcuna fondata speranza di conseguire l'intento, perché l'alto frutto del danaro avendo per contrapposto inevitabile il basso prezzo delle cartelle, una tal condizione di cose toglieva a questa forma di mutuo il requisito essenziale della convenienza per chi dovesse ricorrervi. E d'altronde il Monte non poteva neppure tentare di far discendere a più basso livello quella ragione di frutto, prima che le condizioni generali del mercato lo rendessero possibile. Giacché, allontanando i depositi, oltre a privarsi dei mezzi indispensabili per altre specie di operazioni avrebbe implicitamente renunziato anco al modo più acconcio per un felice avviamento di quelle a cartelle; alla possibilità cioè di dare per il primo l'esempio della fiducia in quei titoli, con l'aiutare i mutuatari nell'ardua impresa di convertirli in contanti. Quindi se l'Istituto per coerenza al proprio scopo non poteva né doveva fare incetta di capitali a un saggio eccedente quello normale, per non sottrarli ingiustamente ad altre Istituzioni tendenti ed operanti allo scopo medesimo, non poteva né doveva neppure respingerli adottando una misura di frutto inadequata; perché così si sarebbe messo da sé, e senza giusti motivi, nell'impossibilità di aiutare la propria clientela, in un periodo di tempo, e in circostanze tali per il paese, da reclamare il concorde e simultaneo concorso di tutti gl'Istituti facenti il servizio del credito. Per cui, una volta riconosciuta l'impossibilità di spingere a forza e mantenere con artifizi titoli di credito su di un mercato non disposto a riceverli per troppo scarsa conoscenza di essi, per insufficienza di capitali disponibili e per la sfiducia e confusione generate da molteplici anormalità finanziarie e politiche, era un dovere per l'Istituto nostro di continuare a operare in quel modo che, framezzo a circostanze siffatte, era il solo possibile per esso e il più vantaggioso per la sua clientela, in attesa che questa, per solo impulso di mutate e più favorevoli condizioni potesse volgersi spontanea al Credito fondiario"25

Monte dei Paschi di Siena, Rendiconto della gestione 1879, Siena 1880, pp. 15-16.

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Queste parole venivano pronunciate alla fine di un lungo periodo di depressione, dal 1874 al 1879, nel quale le attività industriali e commerciali - e di conseguenza il credito - subirono una pesante contrazione. L'istituto senese riuscì però a contenere i danni della sfavorevole congiuntura e in particolare riuscì, con una prudente condotta, a svolgere una discreta attività proprio nel settore del credito fondiario, che in dieci anni di esistenza concesse 135 mutui per circa sei milioni e mezzo di lire su fondi rustici, solo 31 mutui per circa mezzo milione su fondi urbani e 84 prestiti per oltre cinque milioni su tutti e due i tipi di fondi. Le risorse del Monte erano soprattutto destinate, come si vede, alla proprietà terriera, evitando così di giovare agli speculatori, che proprio in quegli anni si gettarono nel tumultuoso mercato delle aree fabbricabili 26

Cfr. Lucia Bonelli Conenna, Il credito fondiario e la sua funzione economica e sociale prima degli anni '80, in "Quaderni storici", mag.-ag. 1976, pp. 613-638.

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Scheda Tematica
Le invettive di Cecco Angiolieri

L'altra faccia della moneta

"Così è l'uomo che non ha denari / com'è l'uccel quand'è vivo pelato": rampollo di una famiglia di banchieri (che potevano fregiarsi dell'altisonante titolo di campsores domini papae), Cecco Angiolieri è il capostipite della rivolta generazionale contro l'ordine mercantile e finanziario, contro il "dio quattrino".
Quando voleva dimostrare che Siena vanta illustri e potenti banchieri, attivi su scala europea fin dai primi decenni del Dugento, lo storico Armando Sapori racconta che invitava l'amico ospite nella sua città natale a fare una breve deviazione dal corso per leggere la lapide che tramanda il nome di Angeliero di Solafico - avo del celebre Cecco - all'altezza del numero civico 23 della via ora intitolata al poeta e un tempo fiera del solenne toponimo di via degli Alberghi del Re, raccorciato d'abitudine in via del Re. Sulla facciata di casa Fondelli, nella lapide murata in alto, al nome di Angeliero era accostata la qualifica altisonante di campsor - banchiere, cambiavalute - del pontefice Gregorio IX e una data: 1234. I banchieri senesi furono tra i primi a essere incaricati di funzioni così delicate presso la Camera apostolica, per conto della quale raccoglievano, tra l'altro, i tributi necessari all'organizzazione delle crociate, manovrando grosse somme di denaro e incassandone il lucro ottenuto coi cambi. E poi potersi dire campsores domini papae dava un prestigio inestimabile. Sembra per giunta che i banchieri senesi fossero tra i preferiti: erano citati come validi soci di Angeliero - mercatores senenses - in un diploma datato 7 aprile 1233 con cui veniva rilasciata quietanza per ogni somma riscossa o pagata su mandato della Curia in Inghilterra o in Francia. Un altro documento attesta che nel 1235 l'intraprendente Angeliero riesce a recuperare, non senza fatica, un cospicuo credito dal vescovo di Utrecht. Gente sveglia e agguerrita, che si muoveva con piglio in un quadrante naturalmente europeo.
Anche il babbo di Cecco, pure lui Angeliero, faceva il banchiere e di un'attitudine fin troppo guardinga nel maneggiare il denaro: ampia eco risuona nei versi dello scapestrato figlio, che fu dunque viziato rampollo d'una nobile famiglia guelfa. Nato attorno al fatale 1260 della vittoria ghibellina di Montaperti, combattente a Campaldino con Dante, Cecco forse - la notizia non è certa - trascorse a Roma presso il cardinal Petroni un soggiorno durante il quale avrebbe dovuto farsi le ossa per esercitare un ruolo degno di una famiglia celebre e rispettata. La mamma Lisa era una Salimbeni. Non gli mancavano appoggi e contatti. Stando all'autoritratto che lui stesso ha affidato a una sequenza di sonetti che continuano a dar grattacapi ai filologi, Cecco però non stette al gioco e preferì darsi a una dolce vita che, turbinosa e inquieta, traspare da una miriade di multe e di sanzioni collezionate per le ragioni più varie, al punto che lasciò nei guai i sei figli, costretti come furono a rinunciare all'eredità per non sborsare l'ingente somma inevasa dal padre e richiesta dal Comune.
Ma che tipo era davvero Cecco, il capostipite per antonomasia dei giovani poeti che si ribellarono al nuovo ordine mercantile e finanziario? Le sue irriverenti rime hanno avuto una ricezione non univoca. Chi le ha prese per divertiti spezzoni autobiografici, chi le ha iscritte tra le prove esemplari della tradizione giullaresca, chi vi ha rinvenuto il disagio di un autore che anticiperebbe pose degne di un già romanticheggiante spleen. Fu un angosciato deraciné in rivolta o un letterato che si compiacque di farsi un beffardo autoritratto caricaturale? Un umorista, come pretese il D'Ancona, anche se di umor nero, o semplicemente un burlesco che amava le iperboli, come propose Pirandello? Fatto è che la sua rabbia di poeta maledetto fa tutt'uno con la fama di una città che ospitava tanti bei tipi dediti alle ricerche più strane, "fanatichi e lunatichi", attratti da sogni grandiosi, incantati dall'irrefrenabile vanitas stigmatizzata da Dante.
Siena, lapide nella casa del banchiere Angeliero, costruita nel 1234, quando era esattore delle decime per papa Gregorio IX.
La vena di indignazione gridata da Cecco sembra talvolta sgorgare dall'autentica e diretta esperienza di una condizione di miseria. Farne un "puro letterato" peccherebbe, secondo Gianfranco Contini, di un'unilateralità non meno fuorviante di quella seguita da chi ne ha fatto un Villon in formato ridotto. La parodia in chiave di espressionistica dialettalità sovrasta quella dei codici letterari stilnovistici. Cecco aveva familiarità con il mondo della moneta, aveva avuto modo di verificare in famiglia il prestigio che dava, aveva capito che era diventata un simbolo di status e non solo un mezzo. La moneta era già ai suoi tempi un fine, e invogliava a un'avida, febbrile, mai paga accumulazione. "A poco a poco la liquidità - spiega Giorgio Ruffolo -, da mezzo strettamente legato al fine dello scambio di merci, diventò fine a se stessa: una merce in se stessa, con un prezzo rappresentato dal tasso d'interesse, intascato dal mercante che l'aveva trattenuta". Il mercante si era fatto banchiere. La moneta era diventata una merce per tentare la fortuna.
Statuto della Mercanzia, giugno 1472 - gennaio 1473. ASS, Mercanzia 6, c. 1r.
Taluni dei sonetti di Cecco riflettono questa mentalità trionfante con appuntito e amaro acume di moralista: "In questo mondo chi non ha moneta / per forza è necessaro che si ficchi / un spiedo per lo corpo o che s'impicchi, / se tanto è savio che curi le peta". è uno dei suoi attacchi, al solito tra il sentenzioso e lo strafottente. Dove dichiarato è il suo disprezzo per le maliziose chiacchiere, le peta, della gente. Ma chi è ricco s'intestardisce ad accumulare ancora moneta, l'"argento, che fa l'uom poeta". E qui si coglie un'ironica allusione alla distanza per Cecco incolmabile tra la spregevole, e comoda, fama conquistata col denaro e la gloria duramente acquisita per personali meriti letterari. Una rivendicazione polemica, che scopre anche un'orgogliosa coscienza dei (bistrattati) valori intellettuali. Un uomo senza denari, si lamenta Cecco, è come un uccello pelato vivo: "Così è l'uomo che non ha denari / com'è l'uccel quand'è vivo pelato; / li uomin di salutarlo li son cari: / com'un malatto sel veggion da lato". Insomma chi non ha soldi è esposto all'indifesa fragilità di un uccello spennato vivo e tutti evitano di salutarlo, ne stanno alla larga come avesse una malattia contagiosa. Cecco pesca le sue similitudini dalle consuetudini della campagna, dalla condizione delle povere bestie trattate o usate con cinica ingordigia, cacciate per diporto. Non altrimenti accade all'uomo, che si vede coperto di complimenti solo quando ha "la sua borsa ben fornita" e tutti allora gli si rivolgono dicendogli che è meglio del pane: "Tu se' me' che 'l pane!": uno dei detti proverbiali che spesso ricorrono in versi che così hanno una colorita inflessione popolaresca, un teatrale andamento dialogico. Le conquiste amorose dipendono anch'esse dal maledetto denaro, che degrada i rapporti tra persone a rapporti d'interesse. Se una donna non mi guarda più è perché - confessa Cecco (sgomento o sarcastico?) - son discepolo di Povertà, tremenda e possessiva dea. Non mi capitava quando avevo la riverita dignità del fiorino: "Quand'èi denar', non me solea venire, / poi ch'aveva en borsa la gran degnitate, / ciò è 'l fiorin, che fammi risbaldire / ed a mia donna mi tol la viltate, / quando non dice che me vol servire". Il fiorino aveva il magico potere di rendermi baldanzoso e di dissolvere ogni senso di inferiorità verso la donna che si rifiutava di soddisfare la mia voglia di piaceri. Con crudo realismo - manierato quanto si vuole - Cecco dipingeva irato i tristi retroscena di una società dominata dall'insaziabile sete di denaro: l'altra faccia della moneta.
Vai alle referenze bibliografiche

4. Il Credito agricolo

Pur non essendo contagiata dalla "febbre edilizia", che percorse molte città italiane dopo l'unificazione, anche Siena vide mutare qualcosa nel suo antico volto medievale durante il decennio 1871-1880. Protagonista di questi cambiamenti fu certo il Monte dei Paschi, che per la necessità di rendere più grande e più degna la sua sede nella Rocca Salimbeni - comprata a un'asta del 20 ottobre 1866 per 60.743, 77 lire 27

AMPaschi 677, n. 33.

- acquistò i palazzi Tantucci e Spannocchi e affidò all'architetto Giuseppe Partini l'incarico di scoprire nuove facciate nell'antica Rocca e nel palazzo Spannocchi e di aprire poi di fronte a esse una piazza, chiusa da tre lati e ornata col monumento all'insigne economista senese Sallustio Bandini 28

Sul lavoro del Partini e sulle polemiche che seguirono v. Massimo Marini, Intervento in Piazza Salimbeni, in Giuseppe Partini (1842-1895) architetto del Purismo senese, Firenze, Electa, 1981, pp. 154-156.V. anche Monte dei Paschi di Siena, Ricordo della inaugurazione del monumento all'arcidiacono Sallustio Bandini, Siena,Tip. Dell'Ancora, 1880.

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I sussidi del Monte dei Paschi permisero anche di ricostruire la Fonte Gaia nel Campo, di completare il restauro della facciata del duomo, di inaugurare il nuovo Ospedale psichiatrico e di dotare di sale degne dei documenti ivi conservati l'Archivio di Stato, nel continuo sforzo di collegare armoniosamente credito e cultura, profitto e beneficenza, amministrazione del denaro e incremento dei lavori pubblici.
Tutto ciò non bastava, però, a risolvere i problemi d'una città, dove ancora non era stato avviato un serio processo di crescita delle forze produttive e dove una sostanziosa parte della classe dirigente era ancora legata ai sistemi del precapitalismo agrario. Il 4 giugno 1871, nel non sospetto giornale "Il libero cittadino", portavoce della dominante "consorteria" dei monarchici liberali, moderati e anticlericali, uscì un articolo intitolato L'osare a tempo in materia d'industrie locali, che metteva il dito su varie piaghe. "Qui in Siena - scriveva l'anonimo articolista - si è manifestata una seria crisi industriale e manifatturiera, crisi che va ogni giorno a prendere maggiori proporzioni [...] Sinora calcolansi 150 operai licenziati dai capi-officina, dagl'intraprenditori di lavori murari, dai manifatturieri e dagli esercenti di ogni specie [...] Ci si annuncia altresì come imminente il licenziamento di molti altri operai e la sospensione di non pochi lavori importantissimi [...] Abbiamo trovato, nello svolgere la storia industriale di Siena, che la nostra città non abbondò mai di banche, di credito e di capitali, quanto oggi che difetta di lavoro [...] Come mai è difetto di lavoro in una città dove funzionano due banche fondiarie, una banca nazionale, due banche agricole, tre banche popolari, una Cassa di risparmio, in tutto nove (dico nove) istituti di credito? Dove il solo Monte dei Paschi dispone di 28 milioni di lire? Dove la sola Banca Popolare in pochissimi anni ha raccolto oltre mezzo milione di lire in azioni, oltre 300.000 lire in depositi e conti correnti? Dove le emissioni degl'istituti di credito senesi veri e propri hanno posto o stan per porre a benefizio del mercato un milione e mezzo di lire? Dove un solo istituto pubblico fa in un solo anno un avanzo netto di 300.000 lire e potrebbe farne d'assai maggiori? [...] Trovato dunque che in Siena i capitali abbondano, fa d'uopo per noi concludere che il nostro paese si trova nelle condizioni di Tantalo, che in mezzo alle acque moriva di sete, con questa differenza, che per lui era un'astensione coatta, e per noi senesi un'astensione volontaria [...] Sono gli uomini, che disgraziatamente mancano fra noi, quelli uomini prudenti sì, ma non gretti; coraggiosi, ma non audaci; ingegnosi e capaci di tener dietro al movimento generale del credito e della produzione e di cogliere tutte le occasioni possibili a prò del paese [...] Finché Siena avrà a capo di pubbliche amministrazioni uomini che tentennano ogni giorno fra il sì e il no; che non sanno o non vogliono conoscere i benefizi de l'associazione e rifuggono fino dal nome di Società industriale, Siena sarà sempre priva di lavoro e vedrà i suoi operai costretti a vagabondeggiare sulle vie o a bussare alla porta del Pio Ricovero di mendicità [...] Se si sapesse o si volesse osare d'impiegare anche una sola metà degli avanzi annui del Monte dei Paschi, della nostra Cassa di risparmio e degli utili delle emissioni cartacee locali già avvenute o da avvenire, nell'acquisto di azioni di Società industriali, di società di lanificio, setificio ed enologia (che ben presto sorgerebbero in Siena quando vi fosse la certezza di quel potente aiuto), nelle imprese di pubblici lavori, nel riattamento delle case dei rioni più poveri, nella costruzione dei magazzini generali, nella fondazione e nel mantenimento di scuole commerciali, di arti e mestieri, di colonie agricole, di stazioni agrarie, non credereste forse che ne risentirebbe vantaggio tutto il paese e prima gl'Istituti iniziatori?" 29

"Il libero cittadino", 4 giu. 1871.

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Buono agrario del Monte dei Paschi, 1870.
Queste critiche del più diffuso giornale senese giungevano in un momento delicato della vita politica della città, in cui si era ormai ricomposto il gruppo dei monarchici costituzionali dopo la scissione del 1867 e si formava il Fascio operaio in opposizione alla Società di mutuo soccorso fra gli operai, messa sotto tutela dalla borghesia. Il primo gruppo si era diviso, in occasione delle elezioni politiche del 1867, fra monarchici liberal-conservatori e monarchici liberal-progressisti, dichiaratisi in un volantino propagandistico "partito dell'avvenire". La vittoria arrise ai conservatori, che riuscirono a portare alla Camera il loro candidato Policarpo Bandini. Poco dopo, però, il gruppo si ricompose, pur riconoscendo sempre al suo interno due diverse tendenze, come rivelò "Il libero cittadino" nel 1869: "La frammassoneria e, in minori proporzioni, il mazzinianesimo formano le due sezioni del Partito liberale e progressista, che dà segni di vita in Siena. Aggiungasi a questi la grande setta (ed è la maggiore di tutte) dei liberali inerti e che vivono del dolce far nulla, ed avremo l'intiero partito liberale del nostro paese... Dunque frammassoni e mazziniani - arcades ambo - rappresentano oggi in Siena il partito liberale, contro il quale combatte accanitamente, in file compatte e serrate, con abilità pari all'audacia, il paolottismo, il clericume e i suoi aderenti" 30

"Il libero cittadino", 25 apr. 1869 (cit. in Bruna Talluri, La politica italiana nei giornali senesi 1861-1882, Milano, La Pietra, 1993, p. 79). I "paolotti" erano gl'iscritti alla Società SanVincenzo de'Paoli e con tale nome venivano indicati dagli avversari politici i cattolici zelanti e bigotti.

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Vittorio Zani, Ferdinando III, copertina del VII volume de Il Monte di Narciso Mengozzi, Siena, 1909.AMPaschi, Mostra.
Vittorio Zani, piatto posteriore della copertina del VII volume de Il Monte di Narciso Mengozzi, Siena, 1909.AMPaschi, Mostra.
Alle elezioni politiche del gennaio 1872 l'unico candidato liberale Tiberio Sergardi, il vecchio avversario politico di Policarpo Bandinii, fu eletto con 360 voti, quasi la metà di quelli espressi su un totale di circa 1500 aventi diritto al voto. Sull'altro versante, i "democratici" senesi facevano sentire la loro voce, pur esprimendosi con toni assai variegati, attraverso alcuni giornali che si occupavano soprattutto dei grandi temi della politica nazionale e internazionale, senza riuscire però a dar corpo, sul piano locale, a un'efficace azione di stimolo e di rinnovamento.
Lettera di Giuseppe Garibaldi all'Esattore di Roma, 26 novembr 1875.AMPaschi, Mostra.
La grave sciagura che il 26 febbraio 1870 colpì la Società operaia di Siena per il crollo della sala dove erano riuniti circa trecento soci, con la morte di sei di essi e il ferimento di altri centocinquanta, suscitò nell'opinione pubblica un'ondata di solidarietà 31

"Il gen. Giuseppe Garibaldi, presidente onorario della Società Operaia Senese, l'8 marzo 1870, da Caprera, rivolse un caloroso appello 'implorando la generosa assistenza di tutte le Società operaie italiane a tanta sciagura'" (Alberto Tailetti, La Banca Popolare Senese nel suo primo centenario (1865-1965), Siena 1965, p. 47).

e riaprì un dibattito politico, che - dopo il Congresso di Rimini del 1872 - portò allo sviluppo del Fascio operaio senese, d'ispirazione bakuninista. Nel luglio 1873 il Fascio trovò appoggio nel nuovo giornale "Il risveglio", che nel primo numero dichiarò: "Vi diciamo francamente e senza ambagi che siamo socialisti e intransigenti nel fine" 32

"Il risveglio", 6 lu. 1873.

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Mentre solo una debole eco di questi fermenti, che agitavano il proletariato urbano e qualche intellettuale, giungeva agli orecchi di chi avrebbe dovuto avviare per tempo coraggiose riforme sociali, banchieri e imprenditori italiani si apprestavano a sopportare i disagi della "lunga depressione". In questo periodo il Monte dei Paschi - "vecchio istituto cui non si addicono i perigliosi ardimenti della fervida gioventù", come disse il suo presidente 33

Monte dei Paschi di Siena, Rendiconto della gestione 1875, Siena 1876, p.9.

- riuscì non solo a superare la crisi, ma ad aumentare l'utile di bilancio assumendo l'esercizio del Credito agricolo attraverso la Cassa di risparmio 34

Cfr.Filippo Virgilii, L'espansione economica del Monte dei Paschi nel terzo secolo della sua attività, in Per il terzo centenario del Monte dei Paschi di Siena (1625- 1925), Siena, Lazzeri, 1925, pp. 41-48.

e rinnovando il proprio statuto, cui portò il suo contributo anche l'economista Luigi Luzzatti, allora segretario generale del ministero dell'Agricoltura.