CAPITOLO TERZO

Bernardo Strozzi detto il Cappuccino, Il tributo della moneta, 1630 ca. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.

UN MONTE "BEN REGOLATO"
(1760-1814)

1. Avanzi e prestanze

I magistrati del Monte dei Paschi avevano fatto presente al governo l'aumento delle richieste di prestito e quindi la necessità di "vendere tanti Luoghi di Monte quanti possono convenirsi per il vantaggio e buona economia" del Monte stesso, trovatosi in difficoltà dopo un prestito di tremila scudi al Monte Pio, "ad effetto che il medesimo potesse proseguire nelle sue impegnagioni a sollievo dei miserabili. Da questo ne è avvenuto - insistevano i magistrati senesi - che la nostra cassa si trova presentemente esausta e che perciò sia ridotto quasi necessario l'uso della suddetta grazia che nei passati mesi poteva essere soltanto volontario, all'effetto di potere con sicurezza corrispondere ai creditori di questo Monte i frutti e i depositi che potessero essere ritirati; di poter continuare a soccorrere il Monte Pio in caso di occorrenza, e di non abbandonare i bisognosi in mano di quelli che con troppa sete procurano di profittare delle altrui necessità, o all'avara ingordigia degli ebrei dannosi alla città, a segno che i sovrani predecessori di S.M.I. sono stati costretti proibire loro con severissime leggi l'imprestar denaro; al qual fine è stato principalmente eretto questo Monte" 1

AMPaschi 462 (2 genn. 1759) e 1506, n. 28.

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La risposta del Botta Adorno fu quella già accennata relativa alla richiesta di un puntuale rendiconto sullo stato attivo e passivo del Monte. Fu inviato a tal proposito a Siena un commissario "con tutte le facoltà necessarie", accompagnato da un computista, "acciò esaminasse e formasse con sicurezza e chiarezza il vero stato dell'amministrazione del Monte" 2

Ivi, 1507, n. 53 (29 mar. 1759).

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A questa revisione seguì - come è stato accennato - l'autorizzazione governativa all'aumento dell'emissione dei Luoghi fino alla somma di 25mila scudi. Così il Monte si procurò sufficienti mezzi per far fronte anche a richieste straordinarie di mutui, come quelli fatti alla Deputazione dell'Abbondanza e al Collegio di Balìa. Questo ottenne a interesse 12 mila scudi per il restauro "della strada senese dalla porta al confine pontificio ed il mantenimento di essa per anni nove" 3

Ivi, n. 47 (5 sett. 1759).

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Una richiesta straordinaria fu anche quella rivolta al popolo toscano dal Consiglio di reggenza il 4 dicembre 1760: per festeggiare le nozze dell'arciduca Giuseppe doveva essere messo insieme un "conveniente donativo" di centomila scudi. A Siena toccò una quota di diecimila scudi e la Balìa chiese al Monte dei Paschi di contribuire, prelevando denaro dai suoi "avanzi", cioè dalla sua riserva patrimoniale. Il Maestrato del Monte però rifiutò, appellandosi a un rescritto del 17 ottobre 1634, sollecitato dall'allora provveditore Biringucci. Il rescritto ordinava di sospendere la distribuzione degli avanzi in base all'art. 47 dello statuto del Monte, pubblicato nel 1624: "Ogni cinque anni riveduta la ragione del Monte, secondo il disposto, e letta in pubblico Conseglio, se si trovarà esservi avanzo per cagione di quei due terzi di scudo per cento, che di più pagaranno i debitori di quello che riceveranno dal Monte per ciascun Luogo i compratori, detratte prima le spese, farà il Maestrato per pubblico bando intendere a ciascuno che vi pretenda havere azzione o ragione alcuna, per qualsivoglia cagione, etiam di sopravanzo pagato più di quello che ha sentito di danno il Monte, dentro al termine di giorni quindici habbia fatta la sua domanda dinanzi al Maestrato, dal quale gli sia amministrata piena e sommaria giustizia, e trovatolo creditore lo faccia subbito pagare; ma passato il detto termine, quelli che non saranno comparsi s'intenda che habbino consentito alla distribuzione come si dice più da basso, né sopra i detti avanzi sia ammesso alcuno a potere più domandare [...] E tutto quello che per causa di detti avanzi rimanesse, non vi essendo altra ragione in contrario, s'applichi a opere pie per l'amor di Dio" 4

AMPaschi 3 (3 nov. 1624).

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Pochi mesi dopo, nel marzo 1761, grazie anche al ministro Pompeo Neri, fu l'Università di Siena a usufruire degli "avanzi" del Monte, essendo considerato l'Ateneo una sorta di opera pia, che avrebbe ottenuto 200 scudi all'anno "per servire di sussidio - come recita l'ordinanza governativa - agli stipendi di quelli che dovranno ammaestrare nelle scienze la gioventù del paese; e che tale assegnazione si riproponga ogni nove anni per la conferma, affinché, se mai le condizioni del Monte variassero, si possa opportunamente provvedere alla sua indennità" 5

Ivi, 1508, c. 62v.

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A parte la questione degli "avanzi", il ricorso ai prestiti del Monte fu, nell'ultimo lustro della Reggenza, assai frequente. Con sicure garanzie la stessa Balìa chiese un prestito di duecento scudi allo scopo di mantenere contenuto il prezzo del pane. Tre anni dopo alla stessa Abbondanza, che doveva fare provviste di grano in previsione di un'altra annata di carestia, furono prestati dal Monte ottomila scudi e furono nominati due commissari per garantire il reintegro del debito con gli utili ottenuti negli anni fertili.
Altri prestiti furono concessi alla Deputazione delle strade per 3500 scudi nel maggio 1762 e per 17.000 scudi nel maggio 1765, questi ultimi destinati alla riparazione della strada per Grosseto. Anche per la bonifica di un padule nei pressi di Siena il Monte prestò complessivamente 1000 scudi. Il padule, detto Pian del Lago, è un bacino lacustre distante circa tre chilometri dalla città, nel quale si raccolgono le acque di una boscosa Montagnola. Esteso per 624 ettari, solo una porzione di 130 ettari era allora allagata e raggiungeva nella massima depressione una profondità di tre metri. Questa porzione era il lago vero e proprio, dove abbondavano le tinche e che veniva appaltato ad alcuni pescatori dai proprietari locali, riuniti in una Congregazione. Già nel 1369 questa "Congregazione degli interessati a Pian del Lago" aveva ottenuto di fare alcuni lavori per bonificarlo e togliere così le malefiche esalazioni, che provocavano pericolose febbri malariche.
Carmela Ceccherelli, Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, copertina delVI volume de Il Monte di N. Mengozzi, Siena, 1900.AMPaschi, Mostra.
Dopo la caduta della repubblica senese il padule venne però quasi del tutto trascurato, finché nel 1715 il gesuita Francesco Raffaelli, rettore del Collegio Tolomei, presentò al governo un progetto per il totale prosciugamento del lago. La grandiosa villa di Santa Colomba, che il Collegio aveva ricevuto in dono dal granduca Cosimo III, si trova infatti presso la Selva del Lago e il rettore del Tolomei s'impegnava a cedere il suo progetto di bonifica a condizione che i frutti resi dal terreno bonificato fossero destinati almeno per un decennio al Collegio. Quella proposta non fu accettata e solo nel 1764 fu presentato un altro progetto, che la Congregazione dei proprietari fece giudicare dal celebre scienziato Leonardo Ximenes. Avuta conferma della sua fattibilità, la Congregazione cedette al presentatore del nuovo progetto Francesco Bindi Sergardi il terreno palustre di circa 97 ettari, ma lo fece a condizioni assai onerose per il nobile senese, che tuttavia, per l'ansia di cominciare presto i lavori, poco si curò di definire attentamente il contratto. Egli, come notò il Pecci, "dié quindi principio ai lavori di così ardua impresa e vedremo poi se anderà avanti, attesoché le spese e le difficoltà saranno molte". Le previsioni pessimistiche del Pecci furono tutte confermate e l'incauto Bindi Sergardi si trovò a dover chiedere vari prestiti al Monte dei Paschi, con i quali tuttavia non riuscì a evitare la bancarotta.
Per il Bindi come per gli altri debitori morosi l'art. 33 dello statuto del Monte stabiliva che i frutti non riscossi, passati diciotto mesi, dovessero essere messi "a capitale". Il "frutto moratorio" era, cioè, il compenso dell'interesse perduto dall'istituto. Quell'articolo, però, era sempre stato interpretato in modo tale da non penalizzare troppo i debitori e tale mite interpretazione fu ribadita in una relazione del 12 febbraio 1765 scritta dal provveditore del Monte Giovanni Venturi Gallerani e da Giovanni Antonio Pecci, che allora faceva parte del Maestrato. Dato che il Monte - osservarono i due relatori - "era stato sempre in grado fino dalla sua erezione, di poter corrispondere con tutta puntualità, non solamente dei frutti ai Montisti, ma delle sorti ancora, che ad essi era piaciuto di ritirare, di restituire tutti i depositi che erano stati sciolti, di pagare i suoi salariati, e soffrire le spese ordinarie e straordinarie, così non poteva dirsi che si fosse dato il caso immaginato dal detto capitolo 33, e per conseguenza che il contegno fino allora tenuto potesse esser soggetto alla taccia di disattenzione e trascuratezza. Ed anzi essi credevano che si fosse uniformato benissimo alla retta giustizia per la ragione che, non potendo il Monte dei Paschi utilizzare, se non per ragione di danni che soffrisse, non avendone sofferti né soffrendone, mancavagli il titolo per conseguire detta usura sopra dei frutti maturati in capo a mesi diciotto" 6

Ivi,1509,n.48.

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Sanzionata così la consuetudine di non applicare la capitalizzazione degli interessi passivi a carico dei debitori morosi, si accettò anche di prestare denaro senza pretendere alcun interesse, come era già avvenuto nel 1762 col Monte Pio per una somma di 250 scudi. L'ente prestatore richiese però che "i pegni i quali si facessero con i denari del Monte dei Paschi si tenessero specialmente obbligati allo stesso Monte dei Paschi, e colla condizione che quando fossesi posta assieme la detta somma, dovesse quella restituirsi al medesimo Monte" 7

AMPaschi 466 (13 sett. 1762).

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Il Botta Adorno non si contentò di questa condizione posta dal Monte dei Paschi e, preoccupato per i continui scompensi del Monte Pio, ordinò un'ispezione su di esso, al termine della quale scrisse al camarlengo la lettera seguente: "Essendomi stato reso conto del bilancio dell'amministrazione del Monte Pio di cotesta città per l'anno 1761 a tutto agosto 1762 [...] ho avuto luogo di osservare della negligenza nell'amministrazione predetta, specialmente nella soverchia valuta che si dà ai pegni dagli Stimatori e nella poca premura e diligenza che si usa dai ministri nell'esigere dai debitori. Comunico pertanto a V.E. Ill. ma le osservazioni qui annesse a fine che si compiaccia farvi attenzione e avvertire seriamente i ministri del Monte, incaricandoli di usare maggior diligenza e premure per l'avvenire nelle funzioni dei loro respettivi impieghi" 8

AMPio 194, c. 42 (13 ag. 1763).

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Chi invece usò molta diligenza nelle funzioni del suo ufficio fu il provveditore del Maestrato delle strade Bellisario Bulgarini, che - fra il 1763 e il 1765 - migliorò percorribilità e aspetto di molte vie e piazze cittadine, facendo demolire tettoie, panche e altri ingombranti ostacoli per la circolazione delle carrozze e ordinando che tutte le macellerie fossero concentrate nella strada detta "di beccheria".
Per affrontare le spese di questo trasferimento l'Arte dei macellai ricorse al Monte dei Paschi, ottenendo un prestito di trecento scudi. Altri 350 scudi furono concessi alla Conversazione degli Uniti detta "del Casino" per l'acquisto della vecchia sede della Mercanzia alla Croce del Travaglio 9

AMPaschi 468, c. 17 (6 sett. 1764).

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L'improvvisa morte a Innsbruck del granduca Francesco III III, che era diventato imperatore col titolo di Francesco I, costrinse l'Opera del Duomo di Siena a chiedere un prestito al Monte per organizzare una degna celebrazione funebre. I senesi, però, come gli altri toscani, non si afflissero più di tanto, confidando nella fine di una Reggenza sempre mal sopportata e nell'arrivo di un nuovo e giovanissimo granduca, che si era sposato da qualche mese con l'Infanta di Spagna Maria Luisa
In effetti il diciottenne Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, appena arrivato a Firenze nel settembre 1765, licenziò dalla Corte tutti i lorenesi insieme col maresciallo Botta Adorno, fissando per ogni venerdì, giorno di mercato, un'udienza a chiunque avesse voluto parlargli. Anche se non riuscì a impedire - come avrebbe voluto - che Giuseppe II, il suo fratello maggiore divenuto imperatore, facesse portare a Vienna quasi tutto il denaro rimasto nelle casse del Granducato, Pietro Leopoldo affrontò con decisione la crisi economica toscana e le conseguenze di una carestia, che per alcuni anni incise pesantemente sulle fasce più povere della popolazione.
Da Stefano Bertolini - che era stato nominato Auditore generale di Siena nell'aprile 1760 con una lettera da Vienna, dove lo si qualificava come "sujet d'un mérite reconnu, laborieux, actif, vigilant, éclairée, intelligent, versé dans la jurisprudence et dans les affaires économiques du gouvernement" 10

ASF, Segreteria di Finanze ante 1788, 659 (cit. in Aurora Savelli, Una politica per lo Stato nuovo: l'elezione di Stefano Bertolini ad Auditore Generale dello Stato di Siena nel 1760, in "Bullettino senese di storia patria", CIII 1996, p. 300).V. anche Giorgio Giorgetti, Stefano Bertolini: l'attività e la cultura di un funzionario toscano del secolo XVIII (1711-1782), in "Archivio storico italiano", CIX (1951), pp. 84-120.

- il giovane granduca, un mese dopo il suo arrivo in Toscana, ricevette una relazione dove, al capitolo "Dell'economia civica" si legge: "I principali rami dell'economia civica dipendono, e nell'economia e nel contenzioso, da quattro Magistrati civici, e sono il Monte dei Paschi, il Monte di pietà, i Conservatori, la Biccherna. Ferdinando III creò un Monte, a cui intanto diede il nome di Monte de' Paschi in quanto per sicurezza furono obbligate le rendite regie de' pascoli di Maremma; e come questi Luoghi di Monte passano agl'eredi e successori, perciò si dicono Monti non vacabili. La negociazione del Monte è attiva e passiva. Esso riscuote dai debitori il frutto di tre e un terzo per cento, e non paga ai creditori che il due e due terzi: sicché il Monte ha il profitto di due terzi di più per cento. I debitori poi hanno il vantaggio di poter estinguere il debito, saldati i frutti, con pagare anche una sola piastra per volta in conto della sorte. Soprintende a questo Monte un magistrato civico composto di otto residenti, di un provveditore, di un camarlingo, di un bilanciere, tutti gentiluomini senesi, e di altri ministri di cancelleria e di zienda. Di più premendo troppo conservare al Monte la confidenza pubblica, il che dipende dalla scrupolosa osservanza de' suoi stabilimenti vi è a tal effetto un'altra speciale Deputazione Civica formata d'altri [otto] gentiluomini senesi che si chiamano i Deputati sopra gl'ordini del Monte, quali pure hanno il loro cancelliere. Questo Monte viene giustamente reputato un capo d'opera di regolamento economico per i vantaggi essenziali che ne derivano specialmente negli urgenti pubblici bisogni. Il magistrato civico del Monte di Pietà è formato degl'istessi otto componenti il magistrato del Monte de' Paschi. Ha però i suoi ministri separati di zienda, e di cancelleria. L'Auditore Fiscale o sia Giudice Camerale ritiene una delle tre chiavi della cassa quando vi sono denari oltre lire 3500. Si ricerca la sua permissione per far pegni oltre lire 350. Approva gl'imprestiti passivi che fa il Monte, ed assiste alla lettura del bilancio annuale" 11

ASF,Consiglio di Reggenza 308 (cit. in A. Savelli, Una politica cit., pp. 332-333).

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A Siena il Monte dei Paschi, dopo essere intervenuto con nuovi prestiti all'Abbondanza e alla Balìa, fu autorizzato ad aumentare di altri 25.000 scudi il suo capitale ricevibile e negoziabile, portando così da 275.000 a 300.000 scudi la vendita dei suoi Luoghi. "E vuole inoltre S.A.R. - recita il relativo motuproprio del 19 ottobre 1765 - che, a fine di facilitare i mezzi a ciò che non manchi al detto Monte il danaro per supplire alle domande, sia liberamente permesso a tutti i luoghi pii, tanto ecclesiastici che laicali, di potere ivi impiegare il loro danaro nelle forme solite praticarsi da detto Monte" 12

AMPaschi 469 (25 ott. 1765)."Per motu proprio del presente granduca lo stato del Monte de' Paschi di questa città, da dugentosettanta- cinquemila à stato accresciuto a trecentomila scudi, e per sussistenza e mantenimento del medesimo Monte ha confermato il granduca tutte le sicurezze e obligazioni contratte fin da quel tempo che negl'anni 1624 fu eretto, siccome ha tolto di mezzo la legge dell'ammortizzazione per gl'ecclesiastici e luoghi pii che vi vorranno impiegare danari" (Giornale Sanese cit., pp. 207-208).

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Quel motuproprio era stato preceduto da un'accurata ispezione sul Monte del senatore Francesco Maria Gianni, che poi svolse un importante ruolo di consigliere per tutte le riforme economiche varate dal granduca Pietro Leopoldo. A riprova della considerazione in cui era tenuto l'istituto senese, Gianni stese il progetto di un "Monte di traffico per la Maremma senese" come appendice del Monte dei Paschi, per ovviare alla difficoltà che molti coltivatori del territorio maremmano avevano di dare un'idonea mallevadoria per ricevere prestiti. A questo fine Francesco Maria Gianniprospettava un frazionamento dei latifondi posseduti da comunità e luoghi pii laicali, facilitandone il passaggio in proprietà a chi avesse intenzione di coltivarli e rendendone commerciabile il valore con la mediazione di un istituto di credito. Anche se il progetto di un nuovo Monte rimase sulla carta, l'idea di agevolare l'usufrutto o la proprietà a chi avesse intenzione di coltivare fu in seguito messa in pratica dal governo, che intanto, con un decreto del 21 ottobre 1765, ordinò al Monte di prestare all'Ufficio dei fossi e delle coltivazioni di Grosseto 6000 scudi "al solito interesse del 3 e un terzo per cento sotto l'obbligo generale di tutti i fondi ed entrate del predetto Uffizio".
Ancora più incisiva per l'auspicata soluzione dei problemi della Maremma fu la proposta di separare l'amministrazione della provincia superiore dell'antico Stato senese dalla provincia inferiore, comprendente i capitanati di Massa, Grosseto, Sovana e Arcidosso, per un totale di 55 comunità e 45 comunelli.
La proposta fu criticata dalla Balìa, dal Monte dei Paschi, da tutte le corporazioni delle arti e dalla comunità israelitica. Tali critiche furono raccolte in un memoriale, che - per quanto riguardava il Monte - insisteva sulla difficoltà e sui rischi dell'esazione dei crediti in un territorio che sarebbe stato soggetto a una giurisdizione diversa da quella dell'istituto senese, il quale avrebbe potuto così essere indotto a limitare le sue sovvenzioni in quell'ambito territoriale.
L'autonomia della provincia inferiore fu comunque decretata col motuproprio del 10 dicembre 1766 e il Giovanni Antonio Pecci scrisse che al "giovinetto granduca, non esperto nella cognizione de' di lui Stati", quella riforma doveva essergli stata consigliata "da certi vecchioni che gli stavano attorno" e che gliela avevano suggerita "per fini particolari" 13

Ivi,p.215.

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Riguardo alla separazione giurisdizionale della provincia inferiore, il Monte dei Paschi ne fu escluso e la sua cassa fu fatta depositaria degli indennizzi conseguenti al distacco della Maremma.
Nella stessa cassa del Monte - ma a disposizione del granduca - entravano 4000 scudi a rate trimestrali versati dall'Appaltatore generale, istituito nel 1740 per raccogliere varie entrate, comprese quelle della Dogana dei Paschi.
Nei primi giorni di dicembre al camarlengo di quella Dogana fu ordinato di passare al Monte 8000 scudi "per potersene fare imprestito - si legge nel diario del Pecci - a quelli che ne avranno bisogno, colle debite cauzioni, e il sovrano si è contentato riceverne il solo frutto di scudi due e due terzi per cento a anno, e da restituirgli detta somma in anni otto, alla ragione di scudi mille per anno, e tutto ha operato il principe perché mosso a compassione de' bisognosi per comprar grano e perché in detto Monte non erano più danari da potersene fare imprestito. [...] Ma di questa somma soli 3000 devono ridondare in profitto di detto Monte, perché altri 3000 devono passare nell'altro Monte de' Pegni, detto il Pio, e gl'altri 2000 devono servire per fare accomodare la strada da Radicofani a Bagni di San Cassiano" 14

Ivi,pp.214-215.

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Carmela Ceccherelli, piatto posteriore della copertina del VI volume de Il Monte di N. Mengozzi, Siena, 1900. AMPaschi, Mostra.
Anche per agevolare la liquidazione dell'Abbondanza si pensò che la cassa più sicura potesse essere quella del Monte. Furono proprio due membri della Balìa - Antonio Piccolomini e Angelo Malavolti, amici e seguaci di Sallustio Bandini - a stendere un rapporto dove si proponeva l'abolizione dell'Abbondanza, osservando "che non potesse sovvenirsi alla necessità del pane e della farina che con accordare a chiunque il diritto di vender questi due generi, senza alcuna limitazione di prezzo, di gravezza, di luogo, di tempo, di qualità. E perché crediamo - ribadivano i due relatori - che nella sola libertà possa sussistere l'abbondanza del genere, così asseriamo che sia impossibile conciliare il bene di questa libertà con alcuna restrizione, sì per il numero delle botteghe, sì per qualunque altro vincolo, a cui si volessero soggetti i venditori di questi generi" 15

ASS, Balàa 918 (lettera del 26 genn. 1766).

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L'auspicio di una radicale modifica del sistema annonario fu espresso anche dalla classe popolare. Nel luglio 1766 il governo fu informato che "sedici persone del popolo minuto di Siena, qualificatesi per capitani delle Contrade, avevano firmata e spedita al Principe una supplica, con la quale chiedevano in sostanza che l'impiego di provveditore dell'Abbondanza o Grascia, allora goduto dal marchese Cosimo Cennini, fosse trasferito in un forastiere, con facoltà di provvedere per i bisogni della città e Stato [perché] il provveditore Cennini era un povero gentiluomo, il quale non provvedeva agli acquisti se non quando i prezzi dei grani erano alti per favorire i nobili suoi consoci, con l'intiero fallimento delle persone civili e dei poveri" 16

ASS,Governatore 838.

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La Consulta di Siena reagì con durezza contro gli autori della supplica, qualificatisi come capitani delle Contrade: "eletti da esse - fu osservato - soltanto per decorare la corsa dei cavalli nella piazza pubblica", potevano essere considerati non "una pubblica rappresentanza", ma solo "una semplice mascherata". Solo la Balìa, "composta di venti soggetti nobili, eletti ogni anno con rescritto sovrano", poteva rappresentare il popolo senese; "se si introducessero Corpi pubblici di tutto il popolo minuto, sarebbe stato lo stesso - chiarì la Consulta - che aprire la strada, a dir poco, a continue inquietudini ed animosità". Infine "se fosse stata vera l'esasperata indigenza, non si sarebbero vedute tanto di frequente popolate le bettole, osterie, ridotti e le strade ripiene di bassa gente a giuocare" 17

Ivi.

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Eppure, a smentire queste ultime considerazioni della Consulta, tante altre testimonianze rivelano, sul finire del 1766, la tragica situazione della città, dove - come scrive il Pecci - "la moltitudine dei poveri questuanti va continuamente crescendo; e le arti mancano di lavori a segno che sempre più si rende sensibile la carestia [...] Non pochi poderi serrati e molte famiglie di contadini disperse e mendicanti, i pigionali della campagna per lo più si nutriscono di erbe selvatiche; e tutta la città, e molto più lo Stato soffrono al maggior segno. Lo spedale è continuamente ripieno di malati, e moltissimi per lo stento e patimenti sofferti muoiono [...] La numerosa mortalità di persone di ogni sesso e ordine va seguitando nella città per i mali acuti e pene di petto, ma molto più nello spedale nei poveri mal nutriti ed estenuati per la fame" 18

Giornale Sanese cit., p. 214.

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Due medici - Targioni Tozzetti e Sterck -, inviati a Siena dal granduca per verificare le condizioni igieniche cittadine, scrissero nel febbraio 1767 che i questuanti erano "più di 2500 ed oltre ad essi vi erano altri 2000 'poveri vergognosi'; i mercanti, non riuscendo a riscuotere i loro crediti, mancavano di mezzi per far lavorare; onde più di cento telai di nastri restavano oziosi e più centinaia di libbre di seta erano state impegnate al Monte di pietà; l'arte della lana languiva; fra i malati ed i morti, i più erano artieri, capi di famiglia, macerati prima dall'afflizione; lo scoramento nel paese era generale, tantoché i senesi non si riconoscevano, avendo perduto il solito loro brio ed il carnevale pareva un venerdì santo [...] Durante l'estate le malattie erano moltiplicate nello spedale, perché gli infermi erano troppo rinserrati; al dicembre maggiori malati e morti e più nel gennaio; cause occasionali dell'aumento, le esalazioni del camposanto, i cattivi alimenti, l'alto prezzo dei viveri, il gran sudiciume; l'apprensione d'animo nei capi di famiglia ed il trattenersi troppo coi malati. Essendo stati soppressi tutti gli spedali dello Stato senese, fuorché quelli di Massa e di Grosseto, lo spedale di Siena doveva provvedere, oltreché agli infermi, anco ai bastardelli ed ai pellegrini della maggior parte del territorio, onde riusciva scomodo e ristretto [...] I malati vi giacevano a due per letto, nudi, senza coltroni; pochi i medici [...] Nel ricovero dei bastardi, due donne per letto, ed i bastardelli a due, a quattro e sino a sei per letto".
I due medici accennarono anche all'Abbondanza, che - scrissero - "aveva dato ai fornai grano patito" e proprio i fornai "erano arricchiti a danno dei poveri; mescolavano biade nel pan fine, per non stare a regola né di peso né di prezzo, né a sindacato; era una vera barbarie il lasciar vendere ai fornai roba pessima" 19

ASS,Governatore 838 (25 feb. 1767).

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A distanza di sette mesi da questo rapporto, un editto decretò la soppressione dell'Abbondanza, stabilendo poi che "tutte le sue partite di dare e avere, capitali ed effetti di ogni sorta [...] fossero trasportate e riunite sotto l'amministrazione del Monte dei Paschi per conto del Pubblico di Siena, di modo tale che tutti i conti dell'Abbondanza predetta appartenessero tali quali al Pubblico stesso". Inoltre "per la regolare amministrazione dei residui dell'Abbondanza, tutti i libri, filze, scritture, denari, arnesi dell'Uffizio ed ogni altra cosa di pertinenza dell'Abbondanza doveva essere consegnata agli amministratori del Monte dei Paschi, per conservarsi in benefizio dell'azienda che veniva loro per tal modo commessa" 20

ASS,Governatore 843 (editto del 19 sett. 1767 e motuproprio del 10 ag. 1768). Nell'archivio del Monte dei Paschi, Sezione dei Fondi estranei e aggregati, si conservano solo due registri dell'Abbondanza ai nn. 46 e 47.

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Fu presa in considerazione anche la crisi dell'arte della seta, segnalata dai due medici, e il granduca dispose che fosse versata nel Monte dei Paschi la somma di seimila scudi per essere distribuita "a titolo di imprestito gratuito a quei fabbricanti senesi che dassero (sic) idonea cauzione e si obbligassero ad intraprendere in quell'anno una lavorazione maggiore del consueto per impiegare un maggior numero di lavoranti e farne la restituzione rateale dentro tre anni" 21

AMPaschi 470, cc. 52v-54 (16 mar. 1767).

. Il Monte doveva curare il recupero della somma, "ma per maggior sicurezza di tale restituzione - deliberò il Magistrato - e specialmente di quelle partite che, nell'erogazione fattane dal Pubblico andassero in sinistro, il Pubblico medesimo doveva obbligare a favore di S.A.R. l'aumento dell'ultimo quattrino che già era stato imposto sopra la carne della città per pagare li scapiti dell'Abbondanza dell'anno 1759".
I risultati di questa operazione furono senz'altro positivi: i lavoranti ai telai - secondo quanto riferì un ispettore al granduca nel 1768 - erano aumentati da 1102 a 2653. Positivi, se non immediati, furono anche gli effetti prodotti dalla legge che proclamò la libertà di commercio dei cereali e del pane 22

Legislazione toscana cit., XXIX, p. 46 (bando del 18 sett. 1767).

. Nello speciale regolamento attuativo relativo a Siena, oltre ad altre disposizioni, si ordinava che "fosse instituito un magazzino locale di grani e biade, esigendo la buona regola e prudenza che anche la città di Siena avesse in riserva una provvisione di grano, per assicurare almeno per un certo tempo la sussistenza dei suoi abitanti, e per prevenire i cattivi effetti degli accidenti imprevisti [e che] per indennizzare le casse regie e comunitative interessate nella soppressione del bollo del pane ed altre gravezze abolite, si esigesse alle porte della città una gabella sopra la farina di tre soldi lo staio, il prodotto della quale doveva essere corrisposto al Monte dei Paschi, che avrebbe assunto l'obbligo delle predette indennità, e di rendere conto di ogni avanzo che avrebbe potuto assegnarsi per dote al magazzino dei grani da stabilirsi come sopra, o impiegarsi in altri usi in benefizio della città" 23

Ivi,p.66 (regolamento del 19 sett. 1767).

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2. Le riforme leopoldine

L'assunzione di servizi pubblici e in particolare quello dell'esazione o gestione di gabelle da parte del Monte dei Paschi comportava un incremento dell'ingerenza governativa nella sua amministrazione, che secondo il sovrintendente Francesco Maria Gianni, era nel 1770 "condotta sufficientemente a dovere", anche se avrebbe richiesto maggior cura nell'esazione dei crediti 24

ASS, Governatore 846 (13 apr. 1770): Memoria di F. M. Gianni.

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Quell'ingerenza si manifestò chiaramente quando fu necessario nominare il nuovo provveditore nell'agosto 1769: senza ascoltare il parere della Balìa, un rescritto sovrano impose il cavalier Pier Antonio Cerretani. Anche alcuni cambiamenti nel sistema computistico del Monte furono introdotti per volontà del Gianni, che propose la regola della revisione dei conti annuale e non triennale. Intanto aumentava l'affluenza di capitali nella cassa del Monte, che nell'arco di tre anni fece prestiti di molte migliaia di scudi all'Uffizio delle strade per lavori nelle tre vie consolari della Provincia superiore. Per soddisfare il debito di quell'Uffizio fu imposta una nuova tassa prediale, di cui però - recita l'editto relativo - "non dovevano soffrirne porzione alcuna i coloni e mezzaioli, o altri che sotto altro nome fosse dell'istessa condizione; né esserne loro imposto l'aggravio sotto qualunque titolo, forma o pretesto con cui dai respettivi padroni dei poderi si pretendesse di fargliela pagare" 25

Legislazione toscana cit., XXX, p. 132.

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Fu abolita invece la gabella sulle carni, detta "del Monte" perché veniva pagata all'istituto senese; fu sostituita da una tariffa unica, accompagnata dalla libertà di commercio per le carni e dalla soppressione dell'arte dei macellai, ai quali una legge del 14 giugno 1773 permise di aprire bottega dove volevano, salvo il rispetto del decoro urbano.
Molte sovvenzioni del Monte dei Paschi furono in questo periodo accordate proprio per lavori, che incidevano sull'assetto della città, come quella concessa alla nobile Conversazione del Casino per la costruzione di due cavalcavia ai lati della sua sede.
Nella quaresima del 1773, come si legge nella prefazione della sua Relazione dei dipartimenti e degli impiegati, il granduca Pietro Leopoldo si ritirò nella villa della Petraia, nei dintorni di Firenze, per compilare una sorta di trattato sull'amministrazione dello Stato, confermando il giudizio che su di lui aveva dato l'inviato francese in Toscana poco dopo il suo arrivo: "Le granduc regle tout par lui méme" 26

Eric Cochrane,Le riforme leopoldine in Toscana nella corrispondenza degli inviati francesi (1766-1791), in "Rassegna storica del Risorgimento", XLV (1958), p. 205.

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Nel settore della Relazione che riguarda Siena le note sul Monte Pio e sul Monte dei Paschi sono le seguenti: "Il Monte Pio di Siena è un magistrato composto di otto gentiluomini di turno per due mesi, con un assessore, un massaro, cancelliere, camarlingo, bilanciere e sette o otto subalterni impiegati agli imprestiti ed affari di quel Monte; ha giurisdizione civile e criminale e le medesime incumbenze del Monte di Pietà di Firenze. Massaro cavalier Alberti, sufficiente. Cancelliere Gioielli. Camarlingo Minianelli, passabile. Bilanciere Pirro Giovannelli, buono.
Osservazione. Questo va mantenuto sul piede presente, ma va riscontrato bene lo stato del Monte, il quale pare che stia molto male di assegnamenti e sia mezzo fallito; e va esaminato il punto delle molte cause e liti intentate per conto degli affari di quel Monte a molte persone, le quali cause non hanno servito che a disastrare inutilmente molte famiglie ed a vessare più di 600 persone. [...] Il Monte de' Paschi è un tribunale composto di otto gentiluomini fissi, con un proveditore che ne regola la zienda, un cancelliere, camarlingo, bilancieri e diversi subalterni. Vi è anche un deputato sopra gli ordini ed un cancelliere della Deputazione. Dirigge le entrate e l'economia dei fondi e capitali che le varie communità del Senese vi hanno impiegate a un tanto per cento l'anno, gliene rende conto. Riscuote quello che pagano i pastori che vanno in Maremma per le dogane dei Paschi dell'inverno, quel che è uno de' suoi assegnamenti, ed esercita la sua giurisdizione sopra le accuse in questo genere e sopra i danni dati, che giudica. Deputato sopra gli ordini Alamanno Beltramini, buono, sifficiente. Altri sette deputati. Cancelliere della Deputazione Valerio Fortini. Proveditore Borghesi, buono, abile, sufficiente. Camarlingo Muzio Ugurgieri, onesto ed abile di molto, intendente di scrittura. Primo bilanciere Antonio Buoninsegni, sufficiente. Secondo bilanciere Alberto Alberti. Primo revisore Giovanni Mignanelli buono ed abile. Primo cancelliere Camillo Salvucci. Secondo cancelliere Giovan Battista Gioielli. Procuratore Giacomo Belli" 27

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazione dei dipartimenti e degli impiegati (1773), a cura di O.Gori, Firenze, Unione Regionale delle Provincie Toscane - Olschki, 2011, pp. 277-278.

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Severi giudizi sono poi stilati su due dei più importanti funzionari governativi di Siena: "Auditore generale Stefano Bertolini, uomo di talento e capacità, ma violento, molto piccoso, piccolo di mente, pettegolo, falso e dubbio, tratta male la gente e disgusta tutti. Si puol avere in vista per segretario della Giurisdizione o per presidente e capo degli affari dell'Ordine di Santo Stefano. Ed a Siena mettere in vece sua un governatore, o Alberti o Albizzi, con un buon Auditore, forse il Ciani.
Auditore Fiscale Gregorio Rinieri, di poco talento, superbo, arrogante, pieno di puntigli, dubbio, governato dal Borzacchini che è un pessimo e screditato soggetto, disunito coll'Auditore generale e buono a poco. Per il caso di volerlo rimpiazzare aver in vista l'auditore Luci o l'auditor Morelli" 28

Ivi,p.266.

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Al termine di tali giudizi si legge: "Vi è bisogno che S.A.R. vada a stare per sei mesi a Siena per riformare quelle magistrature, renderle più semplici, riformare quella curia, l'uffizio delle strade, rendere alle communità la loro libertà e metterle sul piede di quelle del Fiorentino, come anche provedere a quel governo provinciale. Vedere di dare delle buone istruzioni alla Consulta, col mutarne i soggetti, rimediare agli abusi che vi sono, anche nel sistema, e mettere a Siena un Governatore che faccia figura, con un buon Auditore; levare dalla Consulta l'Auditore di Ruota che vi è presentemente, quel che è un assurdo, e dare un migliore sistema e regola alla Consulta. Contro questa vi sono presentemente dei lamenti perché non ascoltano la gente e molte volte la cancelleria non si trova aperta per ricercarvi gli affari. Vi seguono anche continue disunioni e pettegolezzi fra l'Auditore generale e il Fiscale i quali non si possono vedere; e gli affari si trattano tutti sotto mano per picca e senza punta unione né cordialità, anche tra i ministri subalterni essendo tutti divisi in due partiti" 29

Ivi,p.267.

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La sera del 16 luglio 1773 il granduca Pietro Leopoldo, giunto a Siena la mattina, era atteso al Casino dei nobili, "ma - racconta il Pecci - essendoli venuto in questa medesima sera un grosso plico da Firenze, ordinò al conte di Goes che mandasse un Casinante e li dicesse (finezza incredibile!) che egli non poteva altrimenti venire al Casino. Venne per altro in questa sera all'opera del teatro" 30

Giornale Sanese cit. (16 lu. 1773).

. Nel primo pomeriggio non era mancata la visita del granduca al Monte dei Paschi. Accolto dal provveditore Giovanni Borghesi e dagli altri ministri, Pietro Leopoldo fu informato dello stato attivo e passivo dell'istituto, del numero delle persone che vi lavoravano e dell'inadeguatezza della sede per il continuo sviluppo delle operazioni contabili.
Come era suo costume, il granduca, dopo le periodiche visite nei vari luoghi dello Stato, annotava diligentemente impressioni e giudizi su ciò che aveva visto e sulle persone che aveva incontrato, aiutato anche da locali e fidati informatori. Dopo la visita al Monte ecco cosa scrisse: "Il Monte di pietà e Monte dei paschi hanno il medesimo magistrato; il provveditore che è Borghesi è buono, cancellieri, assessore, bilancieri, cassa etc. Il Monte di pietà ha le solite incumbenze, quello poi dei paschi è introdotto per ricevere depositi ed imprestare denari a tutti quelli che ne vogliono, che possiedono e danno mallevadori, con un ragionevole frutto: questo forma una zienda molto vasta e complicata ma molto utile al pubblico, che è sicuro in un bisogno di avere i denari subito e li può restituire anche in piccole partite di uno o due scudi per volta, che s'accettano [...] Si è visto dalle note annesse che vi è molto denaro nel Monte dei paschi e nel Monte di pietà vi sono pochissimi i pegni, in specie di gente bassa, il che è buon segno" 31

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni sul governo della Toscana, III, Stato senese e Livorno, a cura di A. Salvestrini, Firenze, Olschki, 1974, pp. 211, 216 e 217.

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Pietro Leopoldo non mancò neppure di dare qualche giudizio complessivo su Siena e i suoi abitanti: "Quando la città si sottomesse a Cosimo primo ottenne vari privilegi ed in specie quello di mantenere le loro magistrature. Questo governo dunque si può dire composto di due specie, l'una quella che comprende i magistrati patrii o sia paesani e l'altra quella che concerne i magistrati immediati del governo, che sono composti per lo più di soggetti forestieri. Il paese è estremamente attaccato a questi magistrati patrii, i quali li animano a lavorare e li danno una certa specie di distinzione e, benché delle volte vi siano delle cose ridicole, nonostante questi magistrati servono ad animare l'unione tra la gente del paese e darli un certo amore per la patria che non si trova che in Siena" 32

Ivi, p. 209.

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Su alcuni di quei rappresentanti della classe dirigente locale il granduca espresse giudizi severi, scrivendo - per esempio - che un Borghesi rettore dell'Opera del duomo era "testa calda e cattivo soggetto"; che un Cerretani, rettore dell'Opera di Provenzano, era uomo "di qualche talento, ma ciarlone, intrigante e dubbio di fede"; che l'Auditore Bertini era "duro, rozzo e testardo" e il segretario Baldasseroni era "debole, e si vedrà la ragione - concluse - perché gli affari non vanno a Siena" 33

Ivi, pp. 211 e 213.

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Molte furono le riforme volute da Pietro Leopoldo per cercare che anche a Siena gli affari andassero meglio; riguardo al Monte si manifestò una progressiva ingerenza governativa nella sua gestione, a partire dalla nomina del nuovo provveditore, che nel 1776 fu scelto senza attendere anche stavolta, come prevedeva lo statuto, il parere della Balìa. La scelta cadde su Alfonso Mignanelli, che - come scrisse il granduca dopo un'altra visita a Siena nel dicembre 1777 - "ha molto credito in paese, onesto ma accorto, furbo e capo di partito, duro e minuto" 34

Ivi,p.396.

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Poco più di due anni dopo, nel gennaio 1780, un'altra annotazione del granduca rivela che "il provveditore Mignanelli vorrebbe aumentare la negoziazione del Monte de' paschi, ma non gli va accordato" 35

Ivi,p.413.

. In effetti quella richiesta era giustificata dal fatto che l'impiego fruttifero dei depositi subiva notevoli ritardi per la limitata disponibilità dei Luoghi di Monte, quando ormai il Monte dei paschi era divenuto un "centro comune di collegamento degli interessi finanziari pubblici e privati" 36

N. Mengozzi, Il Monte cit.,VI, p.480.

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Anche il rettore dell'Opera di Provenzano Pier Antonio Cerretani aveva presentato al granduca una Memoria relativa al progetto di accrescere la negoziazione e il fondo al Monte non vacabile dei paschi di Siena, rinvestendo - come annotò Pietro Leopoldo - "gli avanzi dei denari dei luoghi pii e delle rendite loro" 37

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., p. 372.

. Secondo Filippo Virgilii, che analizzò la Memoria trovata nell'archivio Bandinelli Cerretani, si trattava di un progetto di tipo mercantilista, "temperato da quei principi di protezionismo agrario che Sallustio Bandini aveva esposto allor allora nel suo celebre "Discorso sulla Maremma" 38

Filippo Virgilii, Il Monte dei Paschi nel 1777-79 e l'incremento dell'agricoltura (a proposito di un documento inedito),in "Studi senesi", XXIII (1906), p. 176.

. Il granduca, però, respinse la proposta, scrivendo: "Questo non va fatto non essendo utile".
Alcune riforme leopoldine avevano contribuito ad alimentare quella funzione del Monte, che non solo aveva assunto la liquidazione finanziaria dei Corpi d'arte, soppressi nel 1775, ma che riceveva l'investimento di capitali, sia provenienti dalle vendite o dalle allivellazioni dei beni delle Comunità e dei luoghi pii laicali in base alla riforma comunitativa del 2 giugno 1777, sia dalla vendita del grano esistente negli aboliti Monti frumentari. Col motuproprio del 1° settembre 1778, sempre con l'obiettivo di liberare la proprietà rurale da ogni servitù e ogni industria da qualunque vincolo non necessario, fu abolito anche l'Uffizio della Dogana dei Paschi, le cui rendite erano vincolate a favore dei creditori del Monte dei Paschi.
In pratica cadeva con tale soppressione la garanzia originaria accordata dal governo come fondamento alla "non vacabile" sussistenza dell'istituto senese. "Di tale provvedimento nessuna conseguenza risentì, però, l'economia del Monte in quanto la sua amministrazione non aveva mai avuto occasione di rivalersi sulla dogana omonima e la garanzia, mai entrata in efficienza, era sempre rimasta puramente morale e nominale: di essa, per di più, non si era parlato in occasione dei due ultimi aumenti del fondo di garanzia" 39

[G. Prunai,] Monte dei Paschi di Siena. Cenni storici, cit., pp. 44-45. "Quando Pietro Leopoldo permise la libera vendita dei diritti di pascolo svincolando le proprietà della Maremma dalla servità, la garanzia granducale e quelle sussidiarie vennero meno (anche se l'originario vincolo fu sciolto solo con rescritto del 1787). Ormai il Monte, grazie al 'cumulo degli avanzi', se ne era del resto affrancato, divenendo anche sul piano della sostanza proprietario di se stesso. Il riferimento all'originario connubio con i pascoli di Maremma sarebbe di là a poco scomparso con la nuova denominazione di Monti Riuniti" (Franco Belli, Francesco Mazzini, Il Monte dei Paschi, in Storia di Siena, III, L'età contemporanea cit., p.40).

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Crescevano intanto per il Monte i cosiddetti "avanzi" e di conseguenza le imposizioni di vari oneri, come l'assunzione della metà delle spese per il mantenimento dei "dementi poveri" o il terzo rinnovo novennale dell'assegnazione di 200 scudi all'Università.
Veduta del Palazzo della Posta, Dogana e altri offizi e del Palazzo Spannocchi, in Gioacchino Faluschi, Breve relazione delle cose notabili della città di Siena..., Siena, Rossi, 1784.
Al provveditore del Monte fu trasferita anche la soprintendenza del Monte Pio, che era sempre a corto di denaro, aperto per poche ore e chiuso del tutto per molti giorni all'anno. Per queste ragioni nel gennaio 1778 l'ebreo Isac Borghi chiese al granduca di poter aprire a Siena un "Prestino" o "Vetturino del Monte Pio", dove si potesse tutti i giorni, anche quelli festivi, portare i pegni e ricevere il denaro. La richiesta fu respinta e qualche tempo dopo l'Auditore di governo denunciò che "il maggior negozio" nel Monte Pio si faceva dagli ebrei, "i quali per puro spirito di interesse impegnavano qualche capo importante, per dare il denaro a un maggior interesse e poi con comodo riscuotevano il pegno" 40

ASS,Governatore 875 (6 marzo 1780).

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D'altra parte, non ostante le carenze denunciate dall'ebreo Borghi, il Monte Pio aveva aumentato l'entità dei prestiti e proprio nell'aprile 1778 il Magistrato concesse gratifiche al camarlengo, agli scrittori e soprattutto allo stimatore Giovan Pietro Bonechi, dato che grazie a lui, in servizio da tredici anni, si era verificato l'incremento degli "avanzi".
Solo quattro anni dopo si scoprì che lo stimatore Bonechi aveva assai ecceduto nella valutazione dei pegni e nei prestiti accordati con la garanzia di essi. Dopo una rapida ispezione, il Bonechi fu invitato a pagare un'ammenda e fu "seriamente avvertito ad essere per l'avvenire più attento e circospetto nella stima dei pegni, per ovviare ai danni che avrebbero potuto derivare dalla di lui imperizia e trascuratezza" 41

AMPio 113 (22 nov. 1782).

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Con la riforma giudiziaria del 28 ottobre 1777 furono ridotti i poteri giurisdizionali del Monte dei Paschi, al cui provveditore fu affidata anche la soprintendenza del Monte Pio. In particolare, "la cognizione di tutte le cause criminali" veniva assegnata a un Tribunale di giustizia formato da due giudici forestieri, uno col titolo di Auditore fiscale e l'altro di Vicario" 42

Bandi e ordinida osservarsi nel Granducato di Toscana, VIII, Firenze, Stamperia granducale, 1778, n. CXXXIII.

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Per le cause "meramente civili di qualunque sorta" anche al Monte dei Paschi e al Monte Pio fu imposta l'udienza pubblica, fissata "ogni giovedì mattina, dopo il suono della campana, nella stanza destinata agli affari dei medesimi Monti" 43

AMPaschi 6, n. 14.

. L'eliminazione delle competenze giudiziarie degli antichi tribunali senesi fu progressiva e certo giustificata se consideriamo i commenti che, su alcuni giudici, espresse il granduca; ecco, ad esempio, cosa scrisse dopo la sua visita a Siena del marzo 1775 sull'Auditore di governo Francesco Paolo Serafini: "Ha incontrato un discredito universale nella curia per essere il medesimo poco abile nelle materie legali perché si dà aria, non riceve a tutte le ore e delle volte impropriamente fa tornare spesso i procuratori, s'alza tardi, restando a letto fino verso le undici, dorme anche dopo pranzo e spende molte ore la mattina al Casino, la sera alle conversazioni; [...] s'è messo a urtare di fronte contro il Capitano di giustizia con il quale ha dispute di precedenza, fa scissure contro di lui in tutti gli affari in specie criminali e molte volte con termini assai ironici e pungenti" 44

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., p. 264.

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Dopo la gita nell'agosto 1777 ecco altri giudizi: "L'Auditore di Ruota Galli è disprezzato per le sue stravaganze e poco sapere, benché molti dichino che sappia, come anche per causa del vino e della sua poca prudenza nel discorrere. L'Auditore di Ruota Arrighi per la sua grand'aria non è stimato. L'Auditore fiscale Rinieri si dà dell'aria ed è poco stimato e canzonato [...] Sanno poco e si lasciano dirigere dall'avvocato Borzacchini, uomo assai cattivo, raggiratore e bindolo; per questo va procurato di levare da Siena l'Auditore fiscale e quello del governo" 45

Ivi,pp.334e343.

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In ottobre il granduca tornò a Siena e il bargello gli riferì che l'Auditore Galli era "screditato affatto, si era reso ridicolo e si vedeva briaco per le strade" 46

Ivi,p.379.

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Non era migliore il giudizio sull'uomo - Tiberio Sergardi - nominato dal 1772 deputato civico, che doveva fungere da intermediario fra i senesi e il granduca, tutelando gl'interessi della città e illustrandone i bisogni 47

Il Deputato civico fu istituito l'11 gennaio 1772 e Pietro Pecci cosà commentò il relativo motuproprio: "Una gran nuova fu pubblicata in questo istesso giorno per Siena, e tale che dalla caduta della Repubblica in qua non se n'à sentita una simile. Era il presente ministero per le sue cattive procedure in tal discredito presso la R.A.S. che inquietato dai continui ricorsi che di esso aveva, e vedendo che le paterne sue ammonizioni e le sue minacce non avevano fin'ora prodotto quel bene che la R.A. di Pietro Leopoldo credeva, pensò di togliere ai medesimi una gran parte della loro giurisdizione e quella deferire ai Paesani, i quali nell'amministrazione esatta e sincera della giustizia, avevano più e più volte meritato la sua sovrana approvazione" (Giornale Sanese cit., p. 236).

. "Fa il popolare - nota Pietro Leopoldo nel 1777 -, si unisce con tutti i malcontenti del governo, falso, finto e da non fidarsene mai, avendo molta politica e lavorando sotto mano" 48

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., p. 397.

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Tre anni dopo Sergardi, ormai anziano, fu costretto a dimettersi dalla carica di deputato civico e da ogni altro pubblico ufficio per aver contratto un matrimonio giudicato "sconveniente". Fu sostituito da Alfonso Mignanelli, che - come si è visto - era anche provveditore del Monte dei Paschi; di lui il granduca scrisse: "Ha molto credito in paese, onesto ma accorto, furbo e capo di partito, duro e minuto" 49

Ivi, p. 396.

. Tutt'altro parere espresse su di lui il Pecci, giudicandolo "inetto a quell'impiego [di deputato civico] e fors'anco all'altro di Provveditore del Monte dei Paschi, che esercitava contemporaneamente e nel quale aveva fatto grossi sbagli" 50

Giornale Sanese cit. (28 febb. 1782).

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Alla fine del 1780 anche Mignanelli fu sostituito, prima da Girolamo Piccolomini e poi - dal 1782 - dal marchese Cosimo Cennini. Quest'ultimo frequentava il salotto di Porzia Sansedoni, dove si riunivano, secondo il granduca, i "progressisti", mentre ospiti abituali di Faustina Sergardi erano coloro che biasimavano "tutte le novità", insieme con l'arcivescovo, "che è debolissimo, testardo e tutto romano [e che] seguita col forte partito dei preti a urtare il governo" 51

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., p. 396. Altri salotti senesi ricordati dal granduca in una relazione del 1777, conservata nel Nàrodnà Archiv di Praga, sono quelli di Giuditta Cosatti - definita "donna di gran spirito e talento [...] ma intrigante, buona compagnia, furba, assai pericolosa" -, di Ginevra Petrucci, di Agnese Tai e di Casa Zondadari (Idem, Relazione dei dipartimenti cit., p. 61).

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Sotto la direzione dell'ingegnere Cosimo Cennini si erano conclusi i lavori per la bonifica di Pian del Lago, che Pietro Leopoldo visitò nel gennaio 1780, trovandoli "molto bene eseguiti", anche se fatti "con troppo lusso e magnificenza" 52

Idem, Relazioni cit., p. 417.

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Il Monte dei Paschi, dopo la morte del Bindi Sergardi, che era fallito a causa dei lavori da lui iniziati fin dal 1766, cercò di aiutare la vedova e i suoi figli dilazionando, per quanto era possibile, il pagamento dei debiti contratti dal poco previdente marito e padre 53

AMPaschi 488, c. 15 (15 giu. 1784).

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3. I Monti Riuniti

In pochi mesi, dall'aprile al settembre 1783, erano stati eseguiti alcuni lavori per ampliare la sede del Monte. L'inaugurazione delle nuove stanze fu festeggiata dai membri del Magistrato con un rinfresco a base di cioccolata offerto dal provveditore 54

Ivi, 487, c. 3 (6 sett. 1783).

. Dopo qualche mese il Magistrato degli Otto sopra gli ordini del Monte, che era l'organo di vigilanza della Balàa, fu soppresso e la cognizione delle cause civili e criminali riguardanti il Monte dei Paschi fu trasferita al Concistoro e all'Auditore fiscale; gli impiegati dell'istituto furono equiparati a quelli governativi e la sua amministrazione fu riunita a quella del Monte Pio, assumendo cosà i due organismi il nome di Monti Riuniti. Essendo assai diversi - come fu rilevato 55

Ivi,7 (26 giu. 1784).

- "gli interessi, gli oggetti e relati delle amministrazioni dei due Monti, si doveva, per la loro complicanza, continuare a tenere ancora divisi i bilanci ed altri libri necessari, tanto più che la scrittura del Monte dei Paschi era tenuta a scudi e quella del Monte Pio a lire, che si credeva non doversi variare, per non far nascere confusioni".
Come per tutti gli altri uffici dello Stato, anche per i Monti Riuniti furono diramati ordini relativi agli impiegati "di qualunque rango", ai quali era "assolutamente proibito [...] di potere esigere o ricevere, ancorchà spontaneamente offerto, qualsivoglia regalo, in denaro o in commestibili o in altra roba, e qualsiasi emolumento incerto o partecipazione o mancia, all'infuori degli emolumenti espressamente permessi nei ruoli dei 5 aprile 1784, alla pena dell'immediata perdita dell'impiego" 56

Ivi, 6 (8 apr. 1784).

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Nel primo biennio di vita dei Monti Riuniti si verificò uno squilibrio fra le due casse del Monte Pio e del Monte dei Paschi; il primo, infatti, a causa dei molti depositi ricevuti dai Luoghi pii laicali, obbligati a convertire in denaro i loro patrimoni immobiliari, si trovò a dover restituire buona parte di quei capitali fruttiferi, mentre il Monte dei Paschi, a corto di denaro, vendette per rinvestimento di depositi una notevole quantità di Luoghi di Monte con inconsueta rapidità.
Non mancò tuttavia il contributo del Monte dei Paschi per opere di pubblica utilità: nell'ottobre 1784 per la costruzione di un cimitero e per un "nuovo piano" dell'Ospedale Santa Maria della Scala; poi per una nuova cattedra di "Operazioni chirurgiche" all'Università, affidata a un Maestro nominato dal granduca e retribuito "con adequato onorario". A un altro Maestro - Paolo Mascagni - lettore di anatomia, il Monte concesse un prestito di circa 500 scudi per l'acquisto della biblioteca del suo predecessore Pietro Tabarrani.
L'azione riformatrice di Pietro Leopoldo aveva l'obbiettivo di ristabilire un equilibrio fra potere centrale e potere periferico, attraverso una più efficace cooperazione dei sudditi all'azione di governo. Occorreva, cioà, stimolare i cittadini a considerare i loro comuni interessi e a gestirli secondo un nuovo ordinamento, che affidava l'amministrazione delle comunità a un magistrato formato da varie categorie di possidenti. Una prima tappa era stata la creazione della Camera delle Comunità nel 1769, seguita poi dalle nomine dei gonfalonieri, priori e consiglieri in ogni Comune del Granducato, secondo il concetto che il nuovo municipio fosse "il primo anello della sintesi riformatrice" 57

Leopoldo Galeotti, Della riforma municipale, Firenze, Vieusseux, 1847, p. 31.

. La Comunità di Siena fu l'ultima a essere istituita col motuproprio del 29 agosto 1786 e, a dimostrazione del fatto che essa doveva essere amministrata come un'azienda economica a tutela degli interessi dei senesi, fu stabilito che "la direzione e soprintendenza" del Monte dei Paschi e del Monte Pio dovessero dipendere da allora in poi "dal Magistrato della Comunità di Siena" 58

Bandi e ordini del Granducato di Toscana, XIII, Firenze, Cambiagi, 1789, n.XLV,p.9.

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Dopo un lunga attesa e una cautela dovuta alla preoccupazione di non turbare troppo la suscettibilità dei senesi, cosà tenacemente gelosi delle ormai vuote forme del loro glorioso regime repubblicano, il granduca lorenese si era deciso a promulgare la legge che aboliva le antiche magistrature della Balàa e della Biccherna e creava il moderno Comune di Siena, rappresentato da un gonfaloniere e da undici priori, con altri diciotto consiglieri, tutti estratti da tre borse, dove erano i nomi dei nobili e dei possidenti di beni immobili nel circondario.
"A Siena - annotò il granduca - vi à moltissima nobiltà, e benchà generalmente non ricca, à sufficientemente comoda, escluso il lusso, che non à combinabile colle case di Siena. La medesima à piuttosto di talento, vivace e di buon cuore, si applica però poco e s'impiega difficilmente, non uscendo volentieri da Siena ed occupandosi piuttosto dei propri interessi di campagna; sono molto attaccati alla patria e magistrature loro; sono generalmente minuti, piccoli ed insistenti. Avvezzi che la nobiltà era tutto e che non vi à una classe nà rango prefisso di cittadini, trattavano d'alto in basso tutte le persone che non erano nobili, confondendoli col popolo; ma da qualche anno in qua, producendo dei mali umori ed inconvenienti, [ciò] à andato diminuendo. Il secondo ceto non legalmente fissato consiste nei benestanti, mercanti, impiegati, curiali, medici etc. Questo vi à molto numeroso e vi sono delle famiglie molto comode; tra i medesimi in generale si trovano molte persone di talento e capacità non ordinaria, che hanno fatto bene i loro studi e sono generalmente parlando di buon cuore ed onesti, benchà piccoli e minuti anche loro; sono molto uniti e fanno corpo assieme, in specie per quello che riguarda cose patrie, come la nobiltà. Da questa classe e da qualche benestante dei castelli si cava tutti gl'impiegati del Sanese. Il popolo poi à estremamente docile, quieto, buono, rispettoso e devoto e vi sono rarissimi i delitti, fuori che quelli commessi dai forestieri. Il popolo à dedito al vino, perchà vi à l'abuso che i padroni vendono il vino nelle case loro in una stanza terrena che serva di bettola; e benchà secondo le leggi non possino dar da mangiare nà da sedere, pure vi vanno a giocare alle carte e vi seguono delle risse. Vanno indotti a vendere il vino ai finestrini. Vi à una gran quantità di preti" 59

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., pp. 2-3.

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Dal primo e dal secondo ceto descritti dal granduca dovevano uscire i soggetti capaci di formare il Magistrato della nuova Comunità. Il primo estratto dalla prima borsa - quella dei nobili - era il gonfaloniere e, come tutti gli altri, durava in carica un anno. Nella seconda borsa erano inclusi i nomi di coloro che possedevano nel circondario della comunità beni stabili per un valore di almeno 600 scudi, compresi i nomi degli enti morali con lo stesso titolo di possesso. Infine, la terza borsa da cui erano tratti i diciotto membri del Consiglio generale, doveva contenere "indistintamente i nomi di ogni e qualsiasi possessore di fondi stabili dentro il circondario della comunità di Siena, di qualsivoglia stato, grado e condizione, nonchà quelli di ogni corpo morale che possedesse nel circondario stesso, per non meno di scudi cinquanta" 60

Bandi e ordini cit., art.VI, p. 4.

. Non potevano essere nominati gonfaloniere o priore di prima classe, anche se sorteggiati, coloro che non possedevano beni immobili per almeno 600 scudi, mentre i Corpi morali, se tratti a sorte, potevano nominare un rappresentante, purchà fosse idoneo a risiedere a termine di legge. Le donne infine, se maritate dovevano farsi sostituire dal marito, anche se non idoneo; le altre da un uomo a loro scelta, purchà idoneo.
Tutti i prescelti dalla sorte dovevano avere, per occupare la carica, trent'anni compiuti e non potevano essere rinominati per i tre anni successivi. Gli ebrei potevano essere nominati solo per il Consiglio generale e per tutti l'accettazione dell'ufficio era obbligatoria pena una multa. Di tutto l'apparato politico-burocratico dell'antico Stato senese, che un vecchio storico chiamò "antiquata macchina tarlata e fuori d'uso" 61

Antonio Zobi, Storia civile della Toscana, II, Firenze 1850, p. 476.

, il granduca lasciò sussistere solo il Capitano del popolo e il Concistoro, che ormai da tempo non avevano alcun potere e che rappresentavano solo un'innocua maschera nei cortei ufficiali. A proposito del Concistoro, il severo Luogotenente di Siena Francesco Siminetti già nel 1784 aveva tolto ai suoi componenti quasi tutti i loro privilegi, privandoli anche della "banda dei cornetti", fin dal medioevo al servizio dei priori con nove musici, osservando acidamente che "bisognava essere senesi per trovarvi, come si pretendeva, una maestosa armonia" 62

ASS, Governatore 899, n. 31.

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Il malumore che a volte serpeggiava nella popolazione per queste riforme non impediva che al granduca fosse tributata sempre una calorosa accoglienza, non ostante la difficile situazione economica in cui versava la città e che proprio nel 1787 venne messa in luce da Francesco Maria Gianni in una Memoria presentata a Pietro Leopoldo 63

ASF, Carte Gianni 48, n. 545.

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Da questo documento si apprende che, dopo la paurosa carestia del biennio 1766-1768, Siena, con i suoi 17.256 abitanti, viveva soprattutto del grano prodotto nelle sue campagne, di un terzo superiore al consumo. Insufficiente, invece, era la produzione del vino, dell'olio, della carne, della canapa, del lino e della cera. Le poche manifatture cittadine erano per lo più concentrate nel settore delle stoffe di lana, lino e seta, con quindici piccole industrie; in qualche laboratorio di pellami e in un discreto commercio di "chincaglie", importate dalla Germania e dall'Inghilterra a cura delle Case Mocenni e Morelli. Un coraggioso tentativo di sviluppare l'industria laniera fatto da Lattanzio Biringucci e Giacinto Stasi, che chiamarono a Siena esperti del settore dalla Linguadoca e dall'Olanda, non riuscà ad avere buon esito per la difficoltà di smerciare il prodotto finito.
Tale situazione non aveva fatto maturare in Siena una nuova classe dirigente di cittadini consapevole e compatta, che l'esperienza delle riforme avrebbe finalmente dovuto rendere classe dirigente. La vecchia prassi di governo, basata da secoli sull'antico meccanismo dei gruppi ereditari chiamati Monti, che costituivano l'àlite politico-economica della città, regolava ancora magistrature e uffici, nà il riformismo leopoldino riuscà a evitarne del tutto il pesante condizionamento. Ciò appare evidente dall'esame di alcuni articoli del motuproprio del 29 agosto 1786, che istituà non solo la nuova Comunità senese, ma anche la Deputazione del Monte dei Paschi, con lo scopo che questo "fosse invigilato [...] da persone le quali nell'Uffizio del Monte stesso intervenissero ed assistessero regolarmente al corso degli affari", come recita l'articolo 95. La Deputazione doveva essere composta dal Sovrintendente e da otto membri, "eletti ogni triennio dal Magistrato Comunitativo tra le persone, i di cui nomi vengano ammessi nella borsa del Gonfaloniere e Priori di prima classe", cioà "tutti i soggetti descritti al grado di nobiltà della città di Siena a forma delle leggi ed ordini veglianti sopra tal particolare, tanto possessori che non possessori di beni stabili dentro il circondario della detta città" 64

Bandi e ordini cit., art. 95.

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Tutti i deputati perciò dovevano appartenere a famiglie iscritte al Libro di nobiltà, che un editto del 31 luglio 1750 aveva formato con i nomi dei "Riseduti", come si chiamavano a Siena coloro che avevano fatto parte del supremo Magistrato del Concistoro e che avevano dato cosà la possibilità ai loro diretti discendenti di partecipare all'oligarchica gestione della cosa pubblica.
I primi otto Riseduti eletti senza tener conto del loro Monte o gruppo ereditario di appartenenza furono Florido Marsili, Scipione Borghesi, Achille Pannocchieschi d'Elci, Fulvio Buonsignori, Anton Maria del Cotone, Alessandro Nini, Alessandro Sansedoni e Augusto Venturi Gallerani, che presero possesso della carica per il triennio 1788-1790. Non cambiò, invece, il sovrintendente o provveditore, che per diciassette anni, dal 1782 al 1798, fu Orazio Marsili, un nobile proprietario di vasti terreni in Maremma, fra Monteano e i colli dell'Uccellina.
Il provveditore aveva il compito di dirigere e coordinare il lavoro nei Monti Riuniti, seguendo le indicazioni della Deputazione, sulla quale però poteva esercitare una notevole influenza "grazie alla conoscenza diretta e quotidiana della vita dell'azienda" 65

Giuseppe Conti, La politica aziendale di un istituto di credito immobiliare: il Monte dei Paschi di Siena dal 1815 al 1872, Firenze, Olschki, 1985, p. 18.

. à probabile dunque che il Marsili abbia costituito un punto fermo nell'assetto amministrativo del Monte dei Paschi, che non subà sostanziali modifiche dopo l'editto del 1786 e che non fu neppure dotato di quel "separato regolamento", che gli articoli 54 e 94 della suddetta legge avevano annunciato 66

"La direzione e soprintendenza dell'azienda dell'uffizio del Monte dei Paschi, con i metodi, regole ed avvertenze che verranno stabilite con un separato regolamento" dovevano da allora dipendere dalla nuova Comunità di Siena (art. 54);"L'uffizio e l'azienda del Monte non vacabile dei Paschi dovrà dipendere da qui avanti dal Magistrato della Comunità di Siena, al quale ne affidiamo la soprintendenza e la direzione ai termini del regolamento a parte sopra indicato" (art. 94).

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Tale regolamento (che invece fu redatto per il Monte Pio nel 1788) non fu sollecitato neppure da un altro personaggio chiave della Siena di fine Settecento: il sovrintendente alla Comunità civica Pandolfo Spannocchi, che anzi giudicava i vecchi ordinamenti, stilati nel 1624, "assai giudiziosi" 67

G.Conti, La politica cit., p. 17.

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In genere, dunque, anche il gruppo dei "progressisti" riteneva che il Monte dei Paschi fosse un istituto da riformare con una certa cautela e nonostante la rinnovata responsabilità del Comune per un'attenta vigilanza, tesa a corroborare l'accresciuta ingerenza governativa, tuttavia nulla mutò riguardo all'assetto operativo della banca. Ciò che invece mutò radicalmente fu il metodo di assunzione degli impiegati. Un rescritto del 7 novembre 1788 stabilà, infatti, che oltre il provveditore - già in precedenza nominato dal sovrano su una terna proposta dalla Balàa - anche il Bilanciere, il Sotto-bilanciere (che era addetto soprattutto al Monte Pio), il Cancelliere, il Sotto-cancelliere e il Tavolaccino, dovevano essere scelti dal granduca. Spettava al Comune eleggere solo il Camarlengo, che però non poteva essere confermato dopo un triennio.

4. La crisi del Monte pio

Sempre molto attento alle capacità dei sudditi investiti di certi doveri, Pietro Leopoldo cercò di far funzionare nel migliore dei modi i Monti Riuniti, affidandone la gestione a persone di cui aveva stima e che gli consentissero di cambiare opinione sull'efficienza amministrativa dei senesi. "Questo à il difetto in Siena, - scriveva nel 1786 - gli affari vanno adagio e lentamente e lungamente; [i senesi] sono piccoli, minuti e piccosi ed il popolo, dedito al vino e alle donne, non stima i ministri nà i castighi" 68

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., p. 450.

; e mentre segnalava con soddisfazione gli uomini e le istituzioni che funzionavano (il rettore Guido Savini e l'Università; la "scuola delle ragazze" a Monna Agnese; l'Accademia ecclesiastica e il suo direttore Fabio De Vecchi, un giansenista cui "sarebbe desiderabile - scriveva Pietro Leopoldo - che l'arcivescovo li facesse meno la guerra" 69

Ivi, p. 448.

), bollava senza complimenti gli inetti e gli svogliati, dando precise direttive per rimediare al pauperismo dilagante e a un certo disordine morale che, per la prima volta proprio nel luglio 1786, aveva rilevato nella città: "Vi à molto abuso in materia di costume e sarebbe necessario di tenere un conservatorio per castigo di donne, per cui si potrebbe destinare San Girolamo" 70

Ivi,p.449.

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Anche il ministro Gianni dava giudizi sui senesi, presentando un Esame economico della città al granduca a seguito dei risultati di alcune riforme: "Qui non deve mettersi in conto - scriveva - il lieto applauso di chi guarda la città di Siena e crede prosperità l'amabile brio esteriore di quella popolazione giuliva per temperamento, piena di attività nell'immaginare, propensa per costume a seppellire nel godimento attuale la memoria di ogni passato disastro, e gioconda sempre nella lusinga del meglio, quanto difficile a concepire la timida idea del tristo peggiore contingibile o sovrastante [...] Non à questo il paese dove possa il governo aspettare di conoscere dalle lamentanze universali i bisogni pubblici, nà di intendere dalle petizioni comuni i provvedimenti opportuni. Bisogna confessarlo, tutto risiede a carico del Governo ed à tutto suo il peso, e tutto suo l'interesse di agire per il bene di un corpo, che non à animato da alcuna potenza sua propria ed efficace ad agire nell'universale; ma consiste in tanti membri sciolti, che non possono sentire altro che gli interessi individuali loro privati, e spesso opposti al meglio comune" 71

ASF, Carte Gianni 8, n. 123.

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Fu, però, generale anche a Siena la soddisfazione per quella riforma della legislazione criminale, che il 30 novembre 1786 abolà la pena di morte, le mutilazioni, la tortura, la confisca dei beni e il marchio d'infamia. "Il nuovo codice criminale [...] pieno di vera umanità", scrisse il Pecci, contento perchà "furono buttate già l'antenna e la carriola dove si dava la corda, che erano affisse al palazzo dell'Auditor fiscale, sotto le finestre del tribunale; e furono abbattute le forche che erano fuori di Porta San Marco, dove si giustiziava" 72

Giornale Sanese cit., p. 304.

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L'auspicio di una "retta amministrazione delle pene", secondo i principi ispiratori della nuova scienza penalistica influenzata dagli scritti di Cesare Beccaria 73

Vedi Giuliano Catoni, La "retta amministrazione delle pene" in un opuscolo senese del 1782, in Illuminismo e dottrine sociali, Milano, Giuffrà, 1990, pp. 175-184.

, si univa a quello di una giustizia più rapida ed efficiente, che a Siena spesso aveva fatto difetto. Proprio questo dimostravano i tre deputati nominati per verificare la situazione del Monte Pio nel luglio 1789; essi stesero un rapporto, dove si denunciava che i due camarlenghi disonesti Aldieri Della Casa e Armenio Melari erano stati qualificati come debitori di difficile esazione e come tali iscritti nel bilancio dell'istituto solo dopo 180 anni il primo e dopo 160 il secondo. Le lungaggini "sofistiche ed inestricabili" del potere giudiziario erano state una delle cause - e forse la più importante causa, considerando anche i casi dei due stimatori Bonechi e Ciani - del dissesto finanziario del Monte Pio. Per porre un limite alle stime, un rescritto del 14 aprile 1788 ordinò che non dovevano essere fatti prestiti superiori a 140 lire sopra ogni pegno, "colla riserva per altro dei pegni di seta che si facessero dai mercanti, per supplire alle spese di trattura, sopra i quali poteva imprestarsi qualunque somma, purchàà proporzionata alla stima e valuta del pegno" 74

AMPio 1, n. 83, cc. 177-178.

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Fu ordinato poi che il Monte dei Paschi "corrispondesse ogni anno a quello del Monte Pio la somma di scudi 80, a titolo di pigione di quella porzione dello stabile in cui esistevano i due Monti Riuniti, destinata al servizio del detto Monte dei Paschi "e furono diminuite le retribuzioni degli impiegati.
Se la situazione economica senese, nel complesso, era ancora alquanto depressa negli ultimi anni di governo di Pietro Leopoldo, alcune istituzioni culturali cittadine godevano invece di un buono stato di salute. Lo testimonia lo stesso granduca, che scrive: "Vi à l'Università che ha un fondo considerabile ed à bene montata con molti professori ed ha ogni anno da 200 in 300 scolari [ed à] in certe cose più moderna di quella di Pisa [...] Vi à annessa l'Accademia detta dei Fisiocritici, la quale ha una bella raccolta d'istoria naturale e bellissime macchine e fa le sue esperienze ed atti. L'Università ha una bella libreria e mantiene i maestri de' Terzi, i quali insegnano gratis ai ragazzi nei tre Terzi della città. Vi sono inoltre tutte le scuole e professori nel Collegio Tolomei che servono anche per gli esteri, quelle del Seminario e quelle dell'Accademia Ecclesiastica" 75

Pietro Leopoldo d'Asburgo Lorena, Relazioni cit., pp. 4 e 208.

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In questo ambiente culturale Vittorio Alfieri, stabilitosi a Siena nel 1777 vagheggiando una toscanità che riteneva indispensabile alla sua penna, trovò "un crocchietto di sei o sette individui dotati di un senno, giudizio, gusto e coltura da non credersi in cosà picciol paese" 76

Vita di Vittorio Alfieri scritta da esso, Firenze, La Nuova Italia, 1932, p. 230.

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Un "picciol paese" dove, nella produzione tipografica dell'ultimo quarantennio del XVIII secolo, si registra un impegno culturale di notevole spessore, ispirato ai concetti correnti dell'Illuminismo europeo e che avrebbe dovuto essere coronato dall'edizione di una Nuova Enciclopedia Italiana composta di circa quaranta volumi, non "volgarizzamento della francese", ma - come scrisse il giovane organizzatore dell'impresa Alessandro Zorzi - un'opera originale, cui dovevano concorrere "i primi tra' dotti italiani".
Purtroppo, per l'immatura morte dello Zorzi, dell'Enciclopedia fu pubblicato solo un Prodromo con le "voci" di autori quali Gianfrancesco Malfatti, Girolamo Tiraboschi e Lazzaro Spallanzani, che per la prima volta vi scrisse di fecondazione artificiale 77

Prodromo della Nuova Enciclopedia Italiana (Siena, 1799), testi di G. Catoni,A. Ingegno, M. Spallanzani, Siena, Monte dei Paschi, 1989.

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Il Prodromo, dedicato a Pietro Leopoldo e al fratello Ferdinando, governatore della Lombardia austriaca, fu stampato dall'editore senese Giuseppe Pazzini Carli, che avrebbe dovuto portare a termine l'impresa e che fu spesso aiutato finanziariamente dal granduca, non insensibile alle grazie della di lui moglie. In un'anonima biografia di Pietro Leopoldo si legge infatti: "Il Pazzini, abilissimo ad ingannare tutto il mondo, avendo presa in consorte una bellissima giovane, ottenne per la di lei mediazione un imprestito di tremila zecchini dal sovrano, mettendogli in vista che sarebbesi potuto introdurre gran denaro nello Stato" 78

Vita pubblica e privata di Pietro Leopoldo d'Austria granduca di Toscana poi imperatore Leopoldo II, Siena,All'insegna del Mangia, 1797, p. 120. Il sovrano era stato anche compare di battesimo del figlio del Pazzini.

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Prodromo della Nuova Enciclopedia Italiana, Siena, Pazzini Carli e Bindi, 1779, frontespizio.
Il granduca, che aveva generato con la legittima sposa Maria Teresa d'Austria ben sedici figli e che era noto per le sue avventure galanti, si serviva del Pazzini - come di molti altri - anche per avere le "nuove del paese" e queste, poco tempo prima di esser chiamato al trono imperiale per la morte del fratello Giuseppe II, non dovevano essere state del tutto rassicuranti; lasciando, infatti alcuni ragguagli al suo successore, dopo aver raccomandato di "accarezzare in tutte le maniere i Sanesi", consiglia "di badar bene di non accordare imprestiti, sussidi e gratificazioni, sotto pretesto di stabilire o incoraggiare manifatture, che sarebbero tutti denari gettati, non vi essendo adattate le circostanze e la situazione di Siena". In particolare suggerisce "di abolire il Monte dei Paschi, il di cui sistema non à punto utile nà vantaggioso, condonando tutti i crediti che ha con tutto il Sanese e che la maggior parte non sono esigibili" 79

Ivi,pp.13-14.

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Questa perentoria considerazione, cosà diversa da quelle che lo stesso granduca aveva espresso in precedenza sull'istituto senese, era forse influenzata dall'operazione, avviata con la legge del 7 marzo 1788, dello scioglimento del debito pubblico, concentrato nel Monte Comune di Firenze e voluto dal senatore Gianni attraverso una radicale riforma del sistema tributario, con un'imposta fondiaria unica, che fu chiamata "tassa di redenzione", destinata cioà a redimere la finanza da debiti sino ad allora mai redenti.
Per ottemperare all'obbligo di quella tassa, vari enti morali senesi chiesero il ritiro dei propri crediti mediante la risoluzione dei rispettivi Luoghi di Monte e questo simultaneo ritiro di capitali turbò l'economia monetaria del Monte dei Paschi, sempre sulla difensiva anche riguardo alla distribuzione dei propri "avanzi", sui quali contavano soprattutto l'Università e l'Ospedale Santa Maria della Scala.
Ancora più critico era lo stato del Monte Pio, che, secondo un'indagine ordinata con rescritto del 22 agosto 1788, aveva un passivo di cassa di oltre ventimila scudi, onde gl'incaricati della suddetta indagine scrissero che "compariva nel peggiore aspetto che potesse trovarsi, per essere ridotta la sua negoziazione cosà piccola, che l'utile non era bastante a supplire alle spese ordinarie e indispensabili. E la somma di oltre 15.000 scudi, di cui era in credito per gli scapiti fatti dalli due ultimi stimatori Bonechi e Ciani, era una delle ragioni più potenti del progressivo suo scapito" 80

AMPio 200 (relazione dei deputati Pietro Pecci, Fulvio Buoninsegni e Alessandro Nini, 27 lu. 1789).

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Due erano le soluzioni proposte: o chiudere definitivamente il Monte Pio, liquidandone l'attività con la distribuzione dell'eventuale residuo fra i suoi creditori; oppure considerare perenti i crediti di quegli enti morali che per ordine sovrano gli avevano fornito il capitale di fondazione ormai distrutto, costituendogli un fondo nuovo con la realizzazione di ogni suo credito al netto di ogni passivo.
Con la partenza di Pietro Leopoldo, mentre anche in Toscana giungeva l'eco della rivoluzione francese, il "riformismo illuminato" perse vigore. Fu revocata la legge sulla libertà di commercio; fu ripristinato l'arresto per i debitori insolventi e anche il permesso di istituire fidecommessi e primogeniture, aboliti appena quattro anni prima. "Questa mattina - scrisse Antonio Bandini nel suo diario sotto la data dell'11 ottobre 1792 - con bando di S.A.R. viene proibita l'estrazione per fuori di Stato del grano, fave, biadiumi, legumi, olio e castagne sotto rigorose pene al trasgressore; onde resta serrato il libero commercio; e cosà gli effetti di questo bando si sentiranno nell'invernata, poichà mancheranno i lavori, ed il povero avrà le robe a piacere, ma non avrà denaro per comprare le medesime" 81

BCS,ms.D.III.7: Antonio F. Bandini, Diario senese, ad annum.

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Queste leggi, e soprattutto quella contro i rivenditori al minuto, chiamati "trecconi o barulli", suscitarono grande entusiasmo nella popolazione, che manifestò la sua riconoscenza al nuovo granduca Ferdinando III con sbandierate delle Contrade, Te Deum di ringraziamento, fuochi d'artificio, balli e mascherate, dove si inneggiava alla "dovizia annonaria".
Per favorire l'occupazione furono progettati alcuni lavori pubblici e la Comunità senese chiese a tal proposito un prestito di quattro mila scudi sugli "avanzi" del Monte dei Paschi. La concorrenza, che la regia Depositeria di Firenze con i suoi Luoghi - una sorta di buoni del tesoro - faceva al Monte, aveva provocato un calo della richiesta dei Luoghi senesi e tale circostanza impose la drastica diminuzione del prestito alla Comunità, che si dovette contentare di soli mille scudi. Altri prestiti furono fatti comunque al Monte Pio e alla Casa della Sapienza, mentre fu deciso di mantenere in carica i deputati del Monte per un biennio e di rinnovarne annualmente la metà. Nel 1793 fu soppresso il deputato civico istituito nel 1772 e fu sostituito - ma solo per ciò che riguardava l'Annona - da un Presidente delle Vettovaglie.
Nello scontro fra i due blocchi che si erano formati in Europa - la Francia repubblicana da una parte e Austria, Prussia, Spagna, Russia, Inghilterra e Napoli dall'altra - il Granducato di Toscana cercò di rimanere neutrale fino a quando fu obbligato a firmare una Convenzione che lo legava ai regni europei. Cosà, quando in Francia, dopo la reazione di Termidoro e l'approvazione della costituzione dell'anno III°, il potere fu affidato al Direttorio, il generale Bonaparte volle assicurare il porto di Livorno ai francesi, le cui truppe transitarono a più riprese anche nel territorio senese, diffondendo idee che preoccupavano non poco le autorità.
Busto di Pio VI. Siena, palazzoVenturi Gallerani.
Scriveva a tal proposito il governatore di Siena Martini alla Segreteria di Stato il 4 gennaio 1797: "Mi à felicemente riuscito nell'anno passato, mediante un'assidua vigilanza, l'uso di provvedimenti opportuni e la fermezza che à necessaria in simili occasioni, di arrestare il corso dei movimenti popolari che si manifestavano in diversi luoghi della provincia per la supposta deficienza dei grani. Ho per altro il rincrescimento di dover confessare che non mi lusingo di una ugual sorte nell'avvenire; non potendo negarsi che le massime moderne abbiano guastato le menti ed il cuore; specialmente della gioventà inconsiderata; e queste non avrebbero secondo me tutta la forza di cui sono purtroppo capaci se non vi si unisse l'eccessivo prezzo dei generi di prima necessità [...] Mi viene supposto che specialmente fra i figli di famiglie nobili e cadetti, non meno che tra gli scolari ed i giovani praticanti lo Spedale della Scala, se ne trovino alcuni imbevuti di massime maliziose e sediziose, che applaudiscono al sistema mostruoso del governo francese, che gradirebbero estesa anche alla Toscana l'empia anarchia di Francia, e che delle stesse massime sieno sospette moltissime persone della città" 82

E.A.Brigidi, Giacobini e Realisti o il "Viva Maria". Storia del 1799 in Toscana, Siena,Torrini 1882, pp. 51 e sgg.

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Concetti questi, che con maggior forza e autorità erano stati espressi dal papa Pio VI nell'Enciclica Inscrutabile divinae sapientiae, dove si condannava l'illuminismo come frutto del diavolo e nel Breve Quod aliquantum, dove si contestavano i valori della libertà e dell'uguaglianza. Arrestato a Roma dai francesi, papa Braschi, con l'autorizzazione del Direttorio, chiese ospitalità nel Granducato di Toscana e giunse a Siena il 25 febbraio 1798. Qui lo colse il terremoto che il 26 maggio di quell'anno sconvolse la città e che lo costrinse a lasciare prima il convento di Sant'Agostino, poi il palazzo Venturi Gallerani e infine - prima di partire per Firenze - la villa Sergardi a Torre Fiorentina.
Le conseguenze del sisma, il più grave che abbia colpito Siena con i suoi 8,5 gradi della Scala Mercalli 83

Marina Gennari, L'orribil scossa della vigilia di Pentecoste. Siena e il terremoto del 1798, Siena, Il Leccio, 2005.

, furono drammatiche e il granduca mandò subito diecimila scudi per i primi soccorsi. Solo il 7 giugno, non ostante l'edificio dei Monti Riuniti avesse sofferto minimi danni, fu possibile convocare un consiglio della Deputazione, che doveva rispondere a una richiesta della Segreteria di Stato relativa alla creazione di una "Cassa delle restaurazioni". "Per formare senza ritardo i fondi necessari a detta Cassa il Monte dei Paschi - ordinava il governo - procuri un imprestito con le solite garanzie, alle quali potrà a maggior cautela occorrendo aggiungersi quella speciale dei Luoghi pii, Opere e Corpi religiosi della città e provincia di Siena" 84

AMPaschi 8, n. 111.

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La Deputazione rispose con una lunga lettera, dove lamentava "che il Monte allora nel totale aveva in cassa la sola somma di scudi 6185,4,15,7, colla quale doveva supplire al pagamento dei frutti dovuti ai creditori Montisti, che cadeva in quello stesso mese per la somma di circa scudi 4000; restituire capitali disdetti per scudi 2875 e pagare anche altre somme delle quali si credeva imminente lo svincolo; che la cassa del Monte Pio teneva indisposta la somma di scudi 2000 quali in quelle critiche circostanze sembrava opportuno che fossero riservati per sollievo degli infelici con prestiti garantiti da pegno; che non era sperabile, o almeno sembrava lontana, la possibile venuta di concorrenti a depositare somme per l'acquisto di Luoghi di Monte per il creduto troppo tenue frutto del 2 per cento e per il maggiore che trovavano dai privati. E anzi l'esperienza di pochi anni aveva dimostrato che i particolari in generale invece di acquistar Luoghi di Monte avevano procurato e procuravano tuttavia di redimere il capitale per erogarlo in più lucroso impiego; motivo per cui in quel momento non era completo il quantitativo dei Luoghi di Monte prefisso dagli Ordini; e molti anche in avvenire per le sofferte disgrazie sarebbero stati forse in necessità di ritirarli per ripararle; come pure per la stessa causa i debitori della città sarebbero stati in parte impossibilitati in quell'annata al pagamento dei frutti. Aveva prodotto notabile diminuzione di denaro a quella cassa anche l'uso introdotto, contro gli ordini, di fare depositi giudiziali presso le banche o i particolari; mediante i quali, uniti a quelli per impiegarsi, la cassa del Monte aveva arrecati notabili vantaggi in occasione di carestie ed altre urgenze al pubblico ed ai privati; vantaggi tutti che era inabilitata a fare allora, e lo sarebbe in avvenire se non fosse comandata l'esatta osservanza del disposto degli ordini, che prescrivevano la nullità dei depositi fatti in casse diverse da quella del Monte 85

Ivi.

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Quattro giorni dopo l'invio di questa lettera, la Regia Depositeria ebbe l'ordine di prestare gratuitamente, per mezzo della Dogana, 2000 scudi al Monte dei Paschi, ai quali si aggiunsero altri 3000 provenienti dal patrimonio ecclesiastico; la somma costituà il primo nucleo di un "Fondo di soccorso", di cui il Monte tenne l'amministrazione.
Nel contempo, il grande incremento delle domande di prestito al Monte Pio costrinse la Deputazione a scrivere al Comune quanto segue: "Le troppo note calamitose circostanze della città provenienti dai danni del terremoto, dalla generale scarsezza di quasi tutti i generi di prima necessità e dal loro alto valore, hanno obbligato i poveri, ed anche le persone benestanti, a ricorrere anche in questo anno alla oppignorazione per procurarsi di che vivere. Il Monte Pio, unico stabilimento da cui l'universale nelle sue indigenze poteva sperare di trovare nel momento l'occorrente denaro per supplirvi, à stato il luogo cui si sono voltati i bisognosi nei mesi di settembre e novembre, ed al quale continuamente ricorrono anche ora. Per questa causa à avvenuto che in pochi giorni ha imprestato non solo le somme che aveva in cassa, ma anche gli scudi 3000 che, a forma dell'ordine del 4 ottobre 1698, poteva ottenere gratuitamente dal Monte dei Paschi: inoltre la Deputazione, credendosi a ciò autorizzata dalla facoltà concessale in circostanze consimili con rescritto del 27 febbraio 1795, per non rimandare scontenti i poveri concorrenti ha accordato al Monte Pio un altro imprestito di scudi 300 col frutto del 3 per cento. Ma considerando che in tali circostanze pochi con questa sola somma avrebbero potuto essere contentati, deliberava di sospendere, fino a nuovo ordine, i pegni dai 50 ai 100 scudi, permessi dal rescritto del 7 novembre 1794, e che non si prestasse più che scudi 20 sopra qualsiasi pegno.
Questa temporaria misura sembra però che poco o nulla possa giovare nelle critiche circostanze del momento, per l'assoluta mancanza del numerario e per l'impossibilità di trovarlo ad interesse dai privati e dai Luoghi pii come il Monte Pio aveva potuto ottenere in passato al saggio del 3 per cento ed imprestandolo al 4 per cento.
Poteva quindi presagirsi come prossima l'assoluta impossibilità nel Monte Pio di continuare a soccorrere la pubblica indigenza, avendo impiegato nel prestito fino a tutto novembre ultimo la somma di lire 156.208, nella quale erano compresi i capitali suoi propri, alcuni di quelli affidatigli in deposito da privati e da Luoghi pii, e i tremila scudi che senza frutto potevano essergli somministrati dal Monte dei Paschi.
D'altronde il Monte Pio non può in alcuna maniera contare sulla cassa del Monte dei Paschi, perchà, oltre ad essere ristretta viene continuamente ad essere richiesta e dai privati e dai Corpi morali del capitale dei rispettivi Luoghi di Monte, non ha vedute che possano portarle denari per impiegarsi nell'acquisto di altri Luoghi, e le somme che ha dovuto imprestare al Monte Pio, le hanno fatto disappunto e l'hanno posta nella situazione di non potere sodisfare le richieste dei propri creditori" 86

AMPio 202, n. 4

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Nella risposta fu deciso di sospendere a favore del Monte Pio l'obbligo di restituire 300 scudi al Monte dei Paschi per residuo della partita infruttifera di 3000 scudi e di abilitare la Deputazione dei Monti Riuniti "a far supplire allo scapito del Monte Pio gli avanzi annuali del Monte dei Paschi sino alla somma di cento scudi e non più".
Scheda Tematica
Il Palio e le Contrade

I costumi di un popolo

Siena, le Contrade, il Palio: un trinomio di fama mondiale, una storia antica e vissuta sempre con grande passione. E, dal secondo dopoguerra, a partire dall'esigenza di rinnovare quei fiabeschi costumi, a fronteggiarne i costi sempre più elevati interviene la banca della città.
I primi due nomi di Contrada a comparire nella serie Atti giurisdizionali dell'Archivio del Monte sono Torre e Oca: si leggono all'anno 1695. Agli ultimi decenni del Seicento risalgono le prime concessioni di prestiti da parte della banca a questi organismi, già dotati allora d'una dettagliata regolamentazione statutaria. In entrambi i casi non c'entrano atti di munificenza. Per chiarire sistematicamente i rapporti tra Monte dei Paschi e Contrade c'è ancora molto da scavare.
Aggregazioni di residenti in parti della città, le Contrade sono una forma di associazionismo urbano a dinamica territoriale tipica di Siena. Dove il termine Contrada ha acquisito una pregnanza istituzionale altrove ignota. Quale che sia l'etimologia da accreditare, Contrada designa un'area - sarebbe improprio parlare di rione o quartiere - situata a petto di, contra, un'altra che le sta di fronte. Il contra può far pensare a un innato antagonismo, magari insorto per diatribe tra confinanti. Non è così. Le Contrade nascono dalla confluenza di popoli appartenenti a più Compagnie ma non hanno, almeno nel periodo della loro più manifesta incidenza, alcun obbligo militare o strettamente politico. Delle Compagnie furono piuttosto il vestito da festa, il risvolto ludico, ereditandone poi compiti di tutela e controllo degli abitanti e anche una componente della loro forma organizzativa (capitanato). In epoca postridentina il comune esercizio di pratiche religiose accentuò in esse un solidale spirito comunitario, ravvivato da una "religione civica" fitta di rituali ricorrenze e pubbliche cerimonie. Gelose custodi di un osteggiato amor di patria, benvolute o tollerate come strumenti di controllo sociale, spazi di spontanea socievolezza tra vicini, le Contrade son da sempre portatrici di vivace agonismo e di febbrile competitività.
Siena, Corteo storico del Palio, 1980.
Siena, Corteo storico del Palio, 1980: il Capitano del Popolo.
La governatrice Violante di Baviera emise nel 1729 un bando che ne fissò i tuttora vigenti confini, "volendo ovviare alle continue controversie" che si verificavano nel batter cassa e far la questua, "a solo motivo di conservare la pubblica quiete": precisazione che dichiarava saggio rispetto per la loro radicata autonomia. Le attuali diciassette Contrade formano un sistema sorretto da delicati equilibri. La miriade di giochi che costellava il calendario cittadino ha irrobustito un senso d'identità cementato da un rigoglioso apparato simbolico. Questo retroterra immaginifico di animali venerati come totem e di un'araldica tramandata quale segno di nobilitante arcaicità si riversa nell'ordinata coreografia del Palio e nei numerosi appuntamenti corali di un'agenda che intreccia partecipazione pubblica e sentimenti individuali. Nei costumi indossati nel gran giorno - il 2 luglio e il 16 agosto di ogni anno, salvo celebrazioni straordinarie - è inscritto un repertorio di segni che inorgoglisce. Sfarzoso decoro e giovanile eleganza s'incarnano in portamenti che non hanno nulla di affettato e artificioso. Da quando è stato inscenato nel Campo, il Palio ha conferito un più marcato risalto ai suoi tratti spettacolari, non fosse che per il furioso attorcersi, alla tonda, della carriera conclusiva. Che non avrebbe la drammatica intensità che possiede, né scatenerebbe le passioni che alimenta, se non fosse inquadrata in quello spazio, e non facesse seguito alla catena di memorie e figure che affiorano da un passato che non passa. L'idea di fare del Campo la scena di un evento altrimenti sfuggente e visibile solo per un attimo nel suo rapido scorrere per le affollate vie cittadine fu di due gentiluomini, Fortunio Martini e Gismondo Santi, che con lettera dell'11 luglio 1605 si rivolsero al granduca chiedendogli il permesso di far correre i cavalli in piazza. E il granduca dette il suo assenso con diplomatica circospezione, rimettendosi alla Balìa: "ma assicurisi che la festa non doventi tragedia, né si ammazzi gente".
Da principio, quando, con lo statuto comunale del 1310, si fece del Palio da organizzare "ne la festa di sancta Maria del mese d'agosto" il fulcro delle onoranze da tributare alla celeste patrona, il corteo che si dirigeva verso la Cattedrale alla vigilia non aveva nulla di rievocativo.
Giuseppe Zocchi, Veduta diurna della piazza del Campo col Palio corso in onore del granduca Francesco I duca di Lorena e Maria Teresa arciduchessa d'Austria il 3 aprile 1739, 1739-51. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Contrada Priora della Civetta (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Nobile Contrada dell'Aquila (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada del Leocorno (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Nobile Contrada del Bruco (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Imperiale Contrada della Giraffa (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada della Chiocciola (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada della Pantera (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Nobile Contrada dell'Oca (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada del Drago (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Nobile Contrada del Nicchio (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada Sovrana dell'Istrice (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada della Lupa (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada Capitana dell'Onda (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Nobile Contrada della Torre (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada della Selva (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
Contrada della Tartuca (paggi e alfieri), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
A metà Cinquecento - al tramonto della periclitante Repubblica - il corteo che precede la sfida consisteva in una successione di baldanzose schiere giovanili, ciascuna delle quali portava vestiti intonati ai colori della propria Contrada e sfilava dietro la macchina zoomorfa che la contrassegnava. Il magico bestiario che si agitava nel Campo immetteva in quel luogo di rappresentanza un che di naturale e selvatico.
Contrada di Valdimontone (paggio), 1903 ca. Siena, Archivio fotografico Malandrini.
La "passeggiata storica" che introduce alla carriera con esasperata lentezza ha cambiato aspetto secondo le età. Nel Settecento furono di moda Carri a soggetto mitologico, ma il 13 maggio 1767 non ci si fece scrupolo di sostituirli con squadrate formazioni in uniforme militare. Chi avesse assistito al fastoso corteggio del 1791 si sarebbe meravigliato di un arcadico assembramento di divinità: Minerva e Apollo con le Muse, Ercole e Bacco, Ganimede e Vulcano, i Ciclopi e i Coribanti, Diana ed Endimione, Orfeo e Pale. C'era anche il Commercio sollevato da Pietro Leopoldo e la Pubblica Felicità accompagnata da un fitto stuolo di pastorelli e pastorelle. Una buona dose di pedagogia civile si trovava a pieno agio in mezzo a tante arcadiche citazioni classicheggianti.
Con l'epopea del Risorgimento il corteo da sequenza di preziose e letterarie allegorie divenne metafora storica. La reinterpretazione della gloriosa eredità della "piccola patria" venne declinata con una retorica che ravvisava nell'eroico Medioevo ghibellino il genuino emergere di un battagliero empito indipendentistico. Non è senza significato che il rinnovo dei costumi del 1839 rendesse omaggio a una smarrita fierezza nazionale: "Nell'Agosto dell'Anno 1839 - si legge nel manoscritto compilato nel 1848 dall'erudito Flaminio Rossi - fu a spese della Comunità fatto il nuovo Vestiario alle Comparse delle respettive Contrade di panno finissimo, allusivo ai colori di ciascuna Contrada, e secondo la foggia di vestire degli antichi Italiani". E si precisa che "il detto Vestiario fu consegnato al Camarlingo di ciascuna Contrada, sotto la di Lui custodia, e responsabilità, da conservarsi per lo spazio di Anni Venti". Diversità dei singoli gruppi e unitarietà dell'armonica parata si combinavano in una splendida sintesi, italiana nelle intenzioni, spagnoleggiante e barocca. Nella svelta annotazione evidente è il rilievo assegnato a costumi che non obbedivano solo a criteri di coerenza estetica. Si è consapevoli che, nella loro vigenza a periodicità limitata, dovevano richiamare amate abitudini, mostrando padronanza di tecniche e compostezza di gesti.
Palio straordinario del 17 settembre 1972 a celebrazione del quinto centenario del Monte dei Paschi di Siena: il Carroccio che conclude il Corteo Storico
Palio straordinario del 17 settembre 1972 a celebrazione del quinto centenario del Monte dei Paschi di Siena: la mossa.
Palio straordinario del 17 settembre 1972 a celebrazione del quinto centenario del Monte dei Paschi di Siena: la corsa.
Il gioco delle bandiere al ritmo dei tamburi non lascia nulla al caso. Così come la disposizione delle comparse, che hanno avuto nel tempo differenti calibrature, sempre rispecchiando una mutevole idea della tradizione da reinventare o creare. Si è molto scritto della propensione ottocentesca, in ogni parte d'Europa, a forgiare tradizioni che corroborassero la spesso fragile coscienza nazionale o l'affermazione di peculiarità locali. E non meno ricercata fu un'araldica attraverso la quale codificare alte e riconosciute origini. Di solito si è puntato a spingere indietro l'orologio, nella convinzione che così facendo si guadagnasse in prestigio. Nacque così il mito di un'aurea età rissosa e vitale, tra sanguigno Medioevo dei Comuni e manierato Rinascimento cortese: che è appunto il luogo abitato dai monturati del Palio. A ogni rinnovo di costumi si sono accese diatribe a non finire su cronologia da scegliere e stile da uniformare. Nel 1887-89 - il rinnovo non fu simultaneo - si optò per un rigore figurativo di sapore neorinascimentale, perfezionato a sua volta nel 1904 e ripensato in profondità nel 1928. Con l'inserimento - nel 1887 - dei rappresentanti delle terre soggette si celebrò una statualità mai dimenticata. Nel 1928 fecero il loro ingresso nel Campo i vessilli delle Compagnie militari. Eugenio Montale nell'inviare - era il 1939 - Palio a un attento amico chiosò seccamente: "Simone Martini o meglio Paolo Uccello...". L'aria che si respirava, secondo il poeta, era riferibile più alla sofisticata calligrafia dei Preraffaelliti che a grevi riprese da Viollet-le-Duc. E l'accoglienza fu così trionfale che quelle forme non sono state mai più sostituite. Da allora il rinnovo è avvenuto all'insegna di una replica più o meno fedelmente accettata, costantemente tesa a enfatizzare i valori di un originario repubblicanesimo. Fatto è che l'operoso artigianato che garantiva un saldo rapporto con il lavoro di sartorie e di officine domiciliate in città e il ricorso a materiali reperibili non è più in salute da un pezzo. Inevitabile, quindi, non soltanto per ragioni di gusto, il ricorso a sartorie teatrali o a costumisti di cinema e televisione.
I costi hanno avuto balzi da far spavento. È toccato allora al Monte dei Paschi prendersi in carico, quasi interamente, il peso di un impegno ineludibile. Nel secondo dopoguerra si pretese che il nuovo corteo non fosse penalizzato dalla ristrettezza di risorse da impiegare. Si chiesero controvoglia aiuti al governo centrale, cosa inusitata e ritenuta umiliante. Nella domanda che Guido Chigi Saracini, rettore del Magistrato delle Contrade, indirizzò alle autorità romane nel gennaio 1953 si sottolineava che già in loco si erano reperiti stanziamenti che avevano sbloccato una situazione preoccupante: per fortuna "una cospicua elargizione del Monte dei Paschi consentì di iniziare il rinnovo dei costumi da tempo usati per la celebrazione". Da allora la banca non si è fatta pregare quando c'è stato bisogno di intervenire per dare nuove vesti al fiabesco corteo, come a restauri e progetti utili a tramandare un patrimonio ingente e non sempre conosciuto. Le cronache documentano che la cifra stanziata dal Monte in vista del rinnovo del 1955 fu di una sessantina di milioni. L'apporto della banca fu deliberato il 4 ottobre 1951 non senza qualche titubanza. Fu Guidone Bargagli Petrucci, figlio del non dimenticato podestà, a lamentarsi di una scarsa ponderatezza e del desiderio frettoloso di farsi perdonare con una clamorosa decisione tante perdute occasioni. Ma il presidente Roberto Bracco rintuzzò ogni perplessità: la richiesta era venuta dal Magistrato delle Contrade per bocca dello stesso suo Rettore, il conte Guido Chigi. E la banca, intervenendo, avrebbe acquistato - sostenne - "un nuovo titolo di grande benemerenza cittadina". Fu aperta una strada. Ben più alta fu la somma erogata più tardi, per il rinnovo del 1981. E coprì l'operazione nella sua interezza.
Alcuni degli artisti incaricati dalle Contrade furono quelli stessi che erano stati protagonisti del successo del 1928, sicché, a parte modifiche numeriche e mirate aggiunte, la variante più corposa fu che "i costumi - ha osservato Giuseppe Cantelli - furono realizzati con minor sobrietà, soprattutto negli accostamenti dei colori divenuti più squillanti, proprio come quelli che si vedevano indossati dalle comparse dei film storici americani di quegli anni".
Giuseppe Zocchi, Veduta notturna della piazza del Campo con fiaccolata e corteo per la venuta a Siena del granduca Francesco I duca di Lorena e Maria Teresa arciduchessa d'Austria il 2 aprile 1739, 1739-51.
Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
I modelli dai quali si trassero fantasiosi spunti, se non filologiche citazioni, per la scadenza dei primi Anni Ottanta spaziarono oltre il recinto delle mura e andarono da Benozzo Gozzoli a Pinturicchio, da Pisanello a Paolo Uccello, già intravisto da Montale. La regia era stata affidata ancora, secondo una consolidata prassi, a una Commissione, che affinò i criteri da seguire e ne verificò poi meticolosamente l'osservanza. Le prescrizioni sia per il segmento di corteo comunale che per le comparse gestite autonomamente dalle Contrade furono attinte dal tardo Quattrocento, periodo aperto a influssi e a echi europei. Giusto gli anni che avevano visto edificare il primo Monte Pio: gradita coincidenza. Il Palio non avrebbe riprodotto un lessico interamente ascrivibile al purismo nostrano. La sua lingua - annotò Aldo Cairola in un testo dal tono ufficiale diffuso dal Comune - non avrebbe sciorinato il pur prevalente vernacolo senese: si sarebbero colte "parole francesi e tedesche, inflessioni dialettali umbre assieme al lombardo stretto della Padania e del Veneto della terraferma". Dunque un programma figurativo perseguito con sensibilità cosmopolita. La "società dello spettacolo" era alle porte e le porte di Siena si aprivano ai nuovi gusti, senza tradire le motivazioni fondanti di una dignitosa liturgia civica.
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Scheda Tematica
Il Collegio dei Tolomei

Una difficile eredità

Istituito per lascito testamentario (1628) dal nobiluomo Tolomei, il Collegio che ne porta il nome ha sempre goduto, fino alla trasformazione in Convitto Nazionale (1882), del sostegno del Monte, che l'ha considerato una sua creatura privilegiata, attraverso la quale promuovere l'accesso ai livelli più alti di istruzione.
Non trascurò di prevedere alcun possibile inghippo e di suggerire i rimedi da attuare all'occorrenza. Nel prolisso testamento vergato nel giorno del suo 56° compleanno - l'8 settembre 1628 - Celso Tolomei non dimenticò proprio nulla e mise in bella evidenza che gli esecutori delle sue volontà avrebbero dovuto farne parte, subito dopo il decesso, alla Balìa. Sapeva che l'idea centrale delle sue disposizioni era di quelle che danno vita a realtà nuove, destinate a produrre a lungo effetti pubblici di grossa rilevanza. Con le sostanze che lasciava in eredità si sarebbe dovuto anzitutto costituire un collegio e seminario di giovani. Gli esecutori si presentarono dinanzi al Collegio di Balìa il 20 marzo 1629, ma la lettura del documento si annunciava così laboriosa - "per essere assai longo" - e così esiguo era il tempo a disposizione che l'adempimento fu rinviato a una sessione straordinaria, in calendario per il giovedì successivo. Non è dato sapere come fu accolta la contorta formula con la quale Celso stabiliva che al governo senese e agli esecutori sarebbero spettati compiti di vigilanza e controllo, ma che altrimenti si sarebbe provveduto per l'amministrazione di un'impresa dall'architettura davvero non banale: "et a questo proposito ho pensato sia meglio, mi pare, che si possa ordinare e dar questa carica che alli molto Ill.mi Sigg. del Maestrato et Offiziali del Monte dei Paschi". In effetti più che di gestire al meglio una cospicua eredità si trattava di procedere alle vendita di beni, convertire la somma ricavata in titoli, in Luoghi di Monte, e fare inoltre una serie di investimenti atti a produrre rendite fino al raggiungimento di un volume tale da rendere finalmente concretizzabile il generoso desiderio. Una ben congegnata operazione finanziaria, non priva di complicati e delicati passaggi. Una volta che fosse stato raggiunto un capitale di 50.000 scudi allora il Collegio avrebbe potuto aprire le porte e avere "luogo et abitatione proportionata e comoda". I requisiti per entrarvi erano ben puntualizzati: avere meno di dodici anni, conoscere la grammatica, garantire il pagamento di due scudi al mese, disporre di una sufficiente dotazione di biancheria e vestimenti, e dei libri necessari allo studio.
Celso aveva visto bene. Se sarebbe esagerato affermare che di fatto fu il Monte a garantire nascita e sopravvivenza del Collegio, prima retto dai gesuiti e quindi - dal 1774 - dagli Scolopi, insediato dal 1686 nel "magnifico, molto vago e sontuoso" palazzo Piccolomini e in seguito ospitato nell'austero convento degli Agostiniani, non è inesatto dire che il sostegno del Monte fu continuo. Qui non interessa evocare i protocolli pedagogici che furono imposti ai giovani nobili provenienti da ogni parte d'Italia e dall'estero, né seguirne le peripezie logistico-organizzative. Preme piuttosto - e non per rivendicare un titolo di merito comunque non effimero o incidentale - chiarire quanto decisivi siano stati i continui interventi del Monte, che considerò il Collegio una sua privilegiata creatura: la principale, anzi, attraverso cui manifestare una presenza nelle attività formative e nell'assicurare accesso ai livelli più alti di istruzione. La banca enfatizzava così la sua dimensione pubblica. Diventava sempre di più un'agenzia totale al servizio dello Stato. Non senza le opportune accortezze.
Anonimo,Ritratto del granduca di Toscana Pietro Leopoldo.
Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Le basi sulle quali poggiava il filantropico edificio immaginato da Celso erano tutt'altro che solide. Appena un anno dopo l'inaugurazione, la Balìa si rivolse al Monte per ottenere una "prestanza gratis" di 5.000 scudi a valere sugli avanzi disponibili. La richiesta parve ardita dal momento che "si devino detti avanzi erogare primieramente - fece sapere il Magistrato (18 giugno 1678) - per il mantenimento del Monte, e poi in elemosine a povere persone". Ci volle l'intervento del granduca per sbloccare la situazione e autorizzare una deroga. Opportuna, tanto più che, insieme al Collegio di Celso, altri analoghi organismi imploravano tutela e aiuto. Le eredità quasi sempre non bastavano a esaudire i voti dei testanti. Gli ospedali erano alimentati da lasciti e donazioni non bastevoli a rendere l'opera sicura e adeguata.
Girolamo Macchi, Collegio dei Gesuiti, 1717-27. ASS, ms. D 106, c. 60.
Allo scioglimento dell'ordine dei Gesuiti toccò agli Scolopi subentrare e il granduca Pietro Leopoldo non ne fu certamente dispiaciuto. La liquidazione del patrimonio della Compagnia ebbe ripercussioni amministrative non lievi. Solo due nuovi alunni, uno di Firenze e uno di Perugia, furono accolti nel novembre 1774, all'ingresso di un ordine apprezzato per la sua apertura, ma ben presto la parabola delle entrate cominciò a superare le venti unità all'anno. Tommaso Pendola ha scritto pagine entusiaste sui successi di un periodo effervescente di febbrili innovazioni. Qualche allievo se ne approfittò. Sotto la data del 3 giugno 1775 il Pecci, critico, annota: "Dopo più e diverse correzioni fatte dal padre rettore Quadri degli Scolopi e da sua eccellenza il signore luogotenente furono espulsi sette collegiali della Camera della Madonna mandandone uno a Servi, uno a Certosa, due a Monte Oliveto, uno in Sant'Agostino, i quali furono poi mandati a prendere dai rispettivi padri loro".
Le rappresentazioni teatrali curate dagli allievi del Collegio suscitavano largo interesse. Nei movimentati decenni a cavallo tra Sette e Ottocento sulle scene e nelle dissertazioni fatte in pubblico i convittori esibivano un vistoso debito verso un classicismo ammonitore per illuminanti exempla. Ecco alcuni temi trattati nel settembre 1808: le considerazioni di Montesquieu sulla grandezza dei Romani; la disciplina militare nell'antica Roma; lo spirito bellicoso dei consoli; l'utilità delle ripartizioni delle terre voluta da Gracco. Il titolo prescelto per il consueto spettacolo fu la tragedia Olimpia di Voltaire.
Il 26 marzo 1816 il rettore padre Comandoli prese possesso di Sant'Agostino e fu non soltanto un cambio di luogo. Il drappello dei collegiali diventava frattanto sempre più internazionale, ma il successo aggravava la situazione di bilancio. All'altezza del 1870 il Monte era creditore verso il Collegio delle bella somma di 113.778 lire. Il sindaco Luciano Banchi intervenne di persona per "salvare - scrisse - da certa ed imminente rovina quell'antico Istituto, che pure era stato, ed era tuttora, di tanto decoro, e di tanto vantaggio economico per la città". Il Comune avrebbe fatto la sua parte, ma da solo non sarebbe riuscito a salvare il prestigioso "Stabilimento educativo". Era chiamato in causa ancora una volta il Monte, che addivenne a una transazione onerosa stipulata a seguito di compravendita di beni del Collegio e di mirate ipoteche.
Il sistema di finanziamento era diventato anacronistico. Un caso da manuale di assistenzialismo infinito. Furono ancora gli amministratori del Monte a concedere - il 15 marzo 1877 - un sussidio speciale di 5.000 lire per aggiungere alle tradizionali materie gli insegnamenti di lingua inglese e tedesca, perché gli allievi più bravi potessero affrontare ben attrezzati la scalata alla carriera diplomatica. Di lì a poco il Collegio si sarebbe trasformato in ente autonomo della città di Siena e dal 1882 in Convitto Nazionale, rivedendo radicalmente il senso della sua missione. Nato nobile, si estinguerà nazionalizzato e dignitosamente borghese. Ma gli oltre cinquemila allievi che hanno abitato le sue stanze si sono sentiti - come capita nei Collegi - accomunati in un'esperienza di duro apprendimento e solidale fraternità, oltre le fratture di una storia accidentata.
Siena, Collegio Tolomei, facciata realizzata da Agostino Fantastici, in una foto d'epoca.
Siena, Collegio Tolomei, scalinata di Agostino Fantastici.
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5. "Viva Maria" e Regno d'Etruria

Forse i senesi che pochi mesi più tardi, il 29 marzo 1799, andarono ad applaudire le truppe francesi entrate in Siena al comando del generale Vignolle, speravano che i loro problemi potessero essere risolti alla luce del principio rivoluzionario, secondo cui lo Stato doveva provvedere direttamente alle necessità degli indigenti. La "rigenerazione" auspicata dai giacobini avrebbe dovuto passare anche attraverso i pegni del Monte Pio e i prestiti del Monte dei Paschi.
Meglio, tuttavia, non fidarsi del tutto e così una gran folla si presentò a riscuotere i pegni del Monte Pio nei primi giorni di aprile, tanto che il camarlengo dovette restare in ufficio fino a notte.
A Ferdinando IIII fu ordinato di lasciare la Toscana e il granduca se ne partì da Firenze con la moglie incinta e quattro figli piccoli, mentre Pio VI - che si era rifugiato nella Certosa del Galluzzo - fu portato in Francia, dove morì poco dopo.
Il Commissario della repubblica francese in Toscana Carlo Reinhard comunicò alla Comunità di Siena che il "cittadino" Abram era stato nominato Commissario delegato della città e a sua volta questi scrisse che avrebbe fatto di tutto per la felicità dei senesi e del loro territorio.
Uno dei primi atti del Commissario francese è ricordato fra le delibere della Deputazione del Monte sotto la data del 2 aprile 1799: "Alle 9 e mezzo circa della mattina si portò alla cassa di questo Monte il cittadino Abram [...], il quale firmò tutti i libri del camarlingo, sigillò la cassa, lasciò al camarlingo scudi 600 per il Monte dei Paschi e Monte Pio, dopo aver fatti imprestare scudi 3000 alla Municipalità di Siena" 87

AMPaschi 497.

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Pochi giorni dopo i sigilli furono tolti e il 7 aprile nel Campo fu celebrata la festa per l'innalzamento dell'albero della libertà. Nell'occasione, un giovane prete - Francesco Lenzini - pronunciò un discorso, in cui si accusavano duramente i nemici della libertà e dell'uguaglianza, regolate dal codice repubblicano francese e soprattutto si additavano al pubblico disprezzo "l'imbecille scettrato e i suoi visiri", cioè il granduca e i suoi ministri, rei, insieme con molti uomini di chiesa, di troppe e continue prepotenze. "Cittadini! - concluse l'oratore - Aprite gli occhi alla luce e vedrete che la causa della libertà è la causa protetta dal cielo. L'iniquità dei troni ha colmo il sacco dell'ira divina. Il loro annientamento con immutabil decreto è segnato dall'Onnipotente; e fra non molto il raggio dell'eterno sole, il parto del divin lume, la Ragione, sola nel mondo avrà seggio e corona" 88

Descrizione della festa patriottica eseguita nella Gran Piazza di Siena per l'inalzamento dell'albero della libertà il dì 18 germile anno 7° repubblicano, Siena, Pazzini Carli, 1799.

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L'albero della libertà non potè produrre subito i frutti promessi e l'aumento del prezzo del grano e degli altri generi alimentari, unito ad alcuni severi provvedimenti di polizia, provocò malumori e proteste, cui il commissario Abram reagì arrestando alcuni cittadini senesi, accusati di fomentare disordini. Sei di questi cittadini, nei primi giorni del maggio 1799, furono condotti in Francia come ostaggi. Fra loro c'erano il camarlengo del Monte dei Paschi Fortunio Cinughi e Flavio Piccolomini Naldi Bandini, membro della Deputazione dei Monti Riuniti.
Imbarcati a Livorno insieme con altri ottantatré uomini, fra nobili e religiosi, prelevati da altre città toscane, i sei giunsero a Monaco di Provenza, dove furono lasciati liberi di sistemarsi nel migliore dei modi e dove cercarono di """democratizzarsi" - secondo l'ironico commento di uno di loro - anche nel vestire, considerando che ""la gran potenza della repubblica rigeneratrice era capace di fare in vecchiaia mutar la scorza agl'uomini, come fa la provida natura con i serpi, i granchi ed altri testacei" 89

Ivaldo Patrignani, Monaco di Provenza nel 1799 con la storia del Principato. Dal giornale inedito di Frate Lorenzo Del Riccio senese ostaggio dei repubblicani francesi, Firenze, Mascagni, 1985, p. 7.

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Gli irrisolti problemi del caro-vita, la coscrizione obbligatoria e alcune esose tassazioni si aggiunsero ai già sofferti disagi per qualche coraggiosa riforma leopoldina, provocando in Toscana tumulti popolari, concentratisi ad Arezzo e alimentati da molti 'notabili', laici ed ecclesiastici.
Al grido di "Viva Maria!" e sotto l'immagine della Madonna del Conforto, cui si attribuiva il miracolo di aver fatto cessare i terremoti nel 1796, una vera e propria milizia sanfedista si formò ad Arezzo sull'onda dell'entusiasmo per le vittorie riportate in Lombardia dall'armata austro-russa di Suvorov. Cacciati i francesi dalla città, gli insorgenti del "Viva Maria!" proseguirono la loro azione entrando in Siena il 28 giugno, assaltando il ghetto e accanendosi contro gli ebrei, giudicati filo-francesi, e contro i 'giacobini' o presunti tali, nemici della "vera religione" 90

Cfr. Laura Vigni, 1799-1999: duecento anni di dibattito sulle insorgenze, in Agostino Fantastici, I pesti riconquistati. Un poema eroicomico sul 'Viva Maria' (Siena 1799), a cura di L. Cerulli, Siena, Comune di Siena, 1999, pp. 189-203 e la ricca bibliografia ivi citata.

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Anche il cancelliere del Monte si era schierato con gli aretini, scrivendo sotto un proclama degli occupanti francesi: "La vincibile avidissima Nazione ci ha promesso schiavitù, uguaglianza di miseria, persecuzione alle persone e robe, ingiustizia, impedimento alla libertà di culto e tutto ciò che costituisce i popoli infelici e malcontenti, come si credeva e si vedde".
La piega presa dagli avvenimenti costrinse il generale Gauthier, comandante delle truppe francesi di stanza in Toscana, a cercare di placare gli animi con varie minacce e con l'ordine di restituire gratis agli abitanti delle città rimaste fedeli al governo tutti i pegni lasciati al Monte di Pietà non superiori alle dieci lire, caricando il rimborso su "quelle Comuni della Toscana che si sono misurate contro l'armata francese". Non solo: aveva anche "proibito ai ricchi ed agli ex-nobili di cacciare dal loro servizio i domestici o altra gente a paga". Non potevano, tuttavia, essere questi provvedimenti a fermare una protesta nata dal basso contro il potere dei riformatori e sviluppatasi poi contro i cosiddetti "giacobini", considerati complici degli occupanti francesi.
Assediati nella Fortezza medicea, questi ultimi furono costretti a lasciare Siena il 6 luglio, mentre venivano bastonati alcuni cittadini, accusati di aver fornito ai rivoltosi aretini cartucce con terra al posto della polvere da sparo e noccioli di ciliegia invece di pallottole 91

Siena tra Settecento e Ottocento negli Annali Senesi di Vincenzo Buonsignori, a cura di L. Maccari, Siena, Università Popolare Senese, 2002, p. 81.

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L'occupazione francese era durata centodieci giorni e aveva lasciato vuota la cassa del Municipio, che chiese subito un prestito di mille scudi al Monte dei Paschi e poi altri prestiti per una "Cassa dei restauri", utile non solo ai proprietari delle case danneggiate dal terremoto, ma anche agli operai, restati inoperosi.
Si procedeva intanto ad alcune condanne per "delitti repubblicani" e si bruciavano nel Campo i libri di Francesco Lenzini con un fantoccio raffigurante l'odiato prete rivoluzionario, definito "stravolto martire d'una stravolta democrazia" 92

BCS,ms.Z.II.32: Ettore Romagnoli, Raccolta biografica, ad vocem.

.Dalla Francia, dove il Lenzini si era rifugiato, tornarono dopo varie peripezie i sei ostaggi senesi prelevati nel maggio 1799. Erano trascorsi tredici mesi ed era stata di nuovo acclamata la sovranità del granduca Ferdinando III. Questi, però, preferì governare la Toscana con una Reggenza rimanendo a Vienna, da dove, l'11 gennaio 1800, emanò i seguenti ordini: "Gli aggravi sofferti dalle Comunità dello Stato per le somministrazioni fatte alle truppe, ugualmente che i debiti contratti dalle Deputazioni per gli approvisionamenti, o provenienti da violente operazioni del cessato governo francese, dovevano essere riguardati come una spesa generale dello Stato e repartiti sulla universalità del medesimo con uguale proporzione fra tutte le Comunità.
E non potendosi con le entrate ordinarie corrispondere alla grandiosa quantità di quelle spese e di quei debiti, ordinava che fosse eretto un nuovo Monte Redimibile per trasportare sul medesimo tutti quei debiti dello Stato che la giustizia voleva che fossero pagati e redenti dall'universale, mercè la annua tassa di redenzione per un decennio e con l'aumento di denari otto per libbra sul sale, che erano le nuove imposizioni state assegnate per dote speciale del detto nuovo Monte; onde le Comunità in massa ed i respettivi loro comunisti a misura dei loro possessi, e tutti gli individui particolari dello Stato concorressero con proporzionale contributo all'estinzione di tali debiti e ad indennizzare quelle fra le Comunità che avessero risentiti i maggiori aggravi, eccedenti per ogni riguardo la giusta misura di una generale distribuzione" 93

AMPaschi 9, n. 48.

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A Siena era tornato il governatore Vincenzo Martini, a lungo avversato dai reazionari più oltranzisti, che lo accusavano di essere stato un troppo efficiente esecutore delle riforme leopoldine. I suoi contestatori più violenti erano i Capitani delle diciassette Contrade, quattro dei quali furono condannati a un mese di carcere e tutti alla rinuncia perpetua alla carica di Capitano.
Considerata la drammatica mancanza di grano, Martini chiese ad alcuni dei più ricchi banchieri e mercanti senesi di anticipare il denaro occorrente per risolvere la penosa situazione, garantendo il prestito con gli avanzi del Monte dei Paschi.
Questo intanto si trovava a dover rifiutare il rimborso di 3000 scudi di Luoghi di Monte, pagandone solo i frutti, come gli consentiva lo statuto, ed era costretto anche a negare un prestito di 1000 scudi al Comune. La causa di tale crisi era in buona parte dovuta al fatto che il nuovo Monte Redimibile voluto da Ferdinando III offriva un interesse molto superiore a quello in corso negli altri Monti e in particolare nel Monte dei Paschi, che soffriva assai la concorrenza.
Nella cronaca di Vincenzo Buonsignori, sotto la data del febbraio 1800, si legge: "A tale era giunta la miseria che giornalmente a Siena giungevano deputazioni dei diversi comuni della provincia a dimandar grano per le affamate popolazioni, poiché il genere mancava affatto sui mercati ad onta che il prezzo fosse montato a lire 14 lo stajo, e così a lire 42 il sacco del grano il più inferiore; il vino pure era cresciuto di prezzo fino a lire 40 la soma, e tutti gli altri generi di prima necessità in proporzione. Prezzi enormi, allora, a fronte delle deboli risorse economiche su cui potevasi contare: i salari erano meschini, l'agricoltura trascurata, le arti neglette ed il lavoro scarso, così che nelle campagne furono verificati non pochi casi di morte cagionati dalla fame e dalli stenti, nelle città lo scoraggiamento si faceva in ogni modo manifesto. I capitalisti chiudevano i loro scrigni, e per effetto della general diffidenza diminuiva la circolazione dei valori metallici; il frutto del denaro era aumentato fino al dodici per cento. Il governo non s'inquietava di questa deplorabile situazione, ed invece di provvedere in qualche modo alle urgenze aggravava i sudditi con nuove e straordinarie imposte, né prendeva alcuno di quei provvedimenti capaci di supplire alle necessità: le popolazioni erano abbandonate a se stesse" 94

Siena tra Settecento e Ottocento cit., p. 108.

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Frontespizio dell'opuscolo edito in occasione dell'innalzamento dell'albero della libertà nel Campo di Siena, 7 aprile 1799.
Il diarista continua ricordando che la leva armata ordinata dal Senato fiorentino e la nomina al comando di essa del generale Sommariva, spedito appositamente in Toscana dal governo austriaco, dimostravano solo una "ridicola velleità guerriera" e che forse era "meglio starsene agli eventi, senza curarsi di comparir giganti, quando i toscani erano allora pigmei" 95

Ivi,p.112.

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In effetti, rotta la tregua tra Francia e Austria, le truppe napoletane di lì a poco attraversarono la Toscana per congiungersi con quelle imperiali in Lombardia e a frenare questa avanzata nel Senese si trovò Domenico Pino, un giovane generale della Legione Cisalpina, già noto per essere oltremodo ambizioso e avido. Il 14 gennaio 1801 egli non esitò a bombardare la Porta Camollia, che i senesi avevano sbarrato, e a inseguire i napoletani fino alla Coroncina, pochi chilometri a sud di Siena, e poi a Buonconvento, in una serie di scontri in cui perirono oltre cento uomini di ambedue le parti e altrettanti rimasero feriti.
Irritato dal comportamento dei senesi, il Pino - che aveva ai suoi comandi una truppa definita dal solito cronista "la spuma delle galere" - avrebbe voluto mettere a sacco la città; ne fu impedito dal generale Miollis, suo diretto superiore, che tuttavia impose ai senesi una multa di 24.000 franchi e di 400 paia di scarpe. Un'altra multa fu imposta ai canonici del duomo, che avevano cantato il Te Deum per l'onomastico del re di Napoli. "Ma qualora - scrive il Vincenzo Buonsignori - io volessi far menzione di tutte le arbitrarie estorzioni (sic) praticate dalla violenza, dalla forza, dalla prepotenza, io sarei certo di stancare i miei lettori, senza il dire che nel XVIII secolo i francesi, ad eccezione della devastazione dei campi che fu risparmiata, imitarono in Toscana i modi feroci praticati nel medio evo dai capitani di ventura, e con questa condotta giustificarono le apprensioni dei loro nemici e mantennero nelle popolazioni vivi quegli odj che contro di loro aveano eccitati i fautori delle vecchie monarchie" 96

Ivi,p.132.

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Con la pace di Luneville, firmata da Francia e Austria il 9 febbraio 1801, l'erede dei Borboni di Parma fu posto sul trono della Toscana, divenuta Regno d'Etruria. Dopo un lungo periodo di stasi, prima della fine del mese si riunì la Deputazione dei Monti Riuniti per registrare l'impossibilità di pagare la quota per il mantenimento dei dementi poveri, ma la richiesta di prestiti da parte del Comune si fece sempre più pressante, giustificata da una drammatica lettera inviata dal nuovo governatore Guillichini al governo il 1° maggio 1801. "La massa enorme di debiti che ha dovuto contrarre necessariamente la comunità di Siena - scrisse il governatore -, le pressanti istanze dei creditori per il pagamento dei respettivi crediti o scaduti o che scadono prontamente; la mancanza di qualunque risorsa dopo che sono rimaste esauste tutte quelle di cui era capace questa provincia; finalmente la molteplicità dei bisogni sempre rinascenti formano il doloroso prospetto della infelice situazione economica di questa stessa Comunità. [La quale] altro non gode che un capitale rispettabile nel Monte de' Paschi di questa città; e questo è tutto quello che può offrire e che offre di buon animo per garantire maggiormente il rimborso e restituzione della somma che ora subito occorre per il valore delle cambiali in scadenza. Questo capitale è certamente dei più sicuri perché fondato sopra beni stabili e cautelato con idonea fideiussione; ma non potrebbe realizzarsi nel momento attesoché la scadenza delle respettive partite non viene che a fine d'anno; ed a riflesso ancora dello sconcerto che porterebbe pure alle famiglie debitrici la restituzione delle somme loro prestate. In sostanza si tratta di trovare chi somministri nello istante 140.000 lire, con l'obbligazione a suo favore delle tasse addette alle cambiali suddette; e di più con la garanzia di un capitale di scudi 30.000 offerto dalla Comunità in tanti Luoghi del Monte dei Paschi" 97

ASS,Governatore 975, n. 113.

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La risposta a questo pressante appello fu l'imposizione di obbligazioni cambiarie ai cittadini più facoltosi e di altri prestiti forzosi con la cauzione sugli avanzi del Monte dei Paschi. Gli effetti di questi provvedimenti non potevano, a breve, essere risolutivi e il governatore non si peritò di accennare a un "pubblico disastro" 98

Ivi,Notificazione a stampa del 29 maggio 1801."Mentre fatti e cambiamenti così importanti accadevano - scrive il Vincenzo Buonsignori - i francesi padroni della Toscana quivi continuavano il corso delle loro abituali vessazioni e, dovendo parlare di Siena, dirà che requisirono panni, letti e quanto potevasi ideare in tempi di autorizzate stranezze. I comandanti superiori volevano arricchire, i soldati gozzovigliare a carico dei popoli vinti, la reazione altronde si manifestava, ed anche con barbari modi e una ferocia sconosciuta fin allora in Toscana" (Siena tra Settecento e Ottocento cit., p. 133).

, peraltro annunciato qualche mese prima dal generale Murat, che aveva lasciato nel protocollo dei suoi decreti solo Liberté ed Egalité, eliminando la Fraternité.
Per mantenere le truppe francesi il Comune di Siena dovette ricorrere a rovinosi espedienti, non bastando il ricorso ai prestiti del Monte dei Paschi, mentre il governo sopprimeva il Monte Redimibile creato nel gennaio 1800, trasferendo tutti i debiti contratti dallo Stato nel Monte Comune e lì dividendoli in tanti Luoghi da 100 scudi l'uno, al frutto del 3 per cento a decorrere dal 1° gennaio 1803 99

AMPaschi 9, n. 100 (legge dell'11 agosto 1802).

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Nello stesso anno alcuni possessori di Luoghi del Monte dei Paschi chiesero l'aumento del frutto. Dopo vari interventi della Deputazione e del Magistrato comunitativo - che definì il Monte dei Paschi "una banca patria istituita a pubblico vantaggio, ed ove i capitalisti impiegavano il denaro volontariamente ed in vista del proprio particolare interesse, il quale sarebbe venuto a cessare se il frutto non fosse stato in qualche proporzione con quello corrente nella piazza" 100

ASS,Governatore 1005 (lettera del 4 nov. 1803).

- un rescritto governativo autorizzò l'aumento del frutto dal 2 e due terzi al 3 e un terzo per i creditori e dal 3 e un terzo al 4 per i debitori. Fu imposto anche a tutti i giusdicenti dello Stato senese di decretare che solo al Monte dei Paschi si facessero i depositi giudiziari di denaro di qualunque natura 101

Ivi, rapporto del 17 dic. 1803.

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Dopo un solo anno di regno Ludovico di Borbone morì e la vedovaMaria Luisa divenne reggente in nome del figlio di quattro anni. Per festeggiare degnamente la giovane sovrana in visita a Siena nel luglio 1804, il Comune chiese un prestito al Monte, presentando come fideiussore il proprio tavolaccino, cioè il custode della sede comunale. A seguito delle proteste del Monte si offrirono come garanti lo stesso gonfaloniere e due priori, ma appena ripartita la regina il Comune si appellò contro la Deputazione del Monte, insistendo sulla primitiva proposta di fideiussione. La questione fu risolta con un espediente proposto dal governatore, attraverso un giro di denaro dell'Ospedale Santa Maria della Scala, capace di estinguere quel debito comunale.
Il conflitto fra il Monte e l'amministrazione municipale si rinnovò l'anno seguente, quando la Comunità chiese al governo di poter contare sugli avanzi del Monte per far fronte ai debiti contratti per il mantenimento delle truppe straniere. La Deputazione del Monte, interpellata, reagì osservando che "gli avanzi del Monte non erano stati originariamente destinati ai pubblici bisogni come si diceva dalla Comunità, ma dovevano essere erogati in opere pie, la metà dentro la città a monasteri di monache e poveri vergognosi; e l'altra fuori di essa a poveri contadini mezzaiuoli per maritare le loro fanciulle o sopperire ad altre loro necessità; che quegli avanzi consistevano nell'utile dei due terzi di scudo che guadagnava per altrettanta differenza tra il frutto che pagava ai suoi creditori e quello che ritraeva dai suoi debitori; che con quel guadagno doveva supplire a tutte le spese della sua azienda, e di più a varii aggravi ingiuntigli con sovrani rescritti, e che superavano quello che ogni anno pagava per tali spese; [...] che nel 1799, nel 1800 e nel 1802 la Deputazione aveva concesse alla Comunità tre prestanze, facendo il massimo sforzo per favorirla, e tenendo indietro tanti poveri creditori, che istantemente richiedevano i loro capitali" 102

AMPaschi 670, n. 52 (11 mag. 1805).

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Alla luce di tali osservazioni, il governo respinse la richiesta del Comune, ma pochi mesi dopo, per coprire le spese di mantenimento delle solite truppe di passaggio, richiese al Monte un prestito fruttifero di 2000 scudi 103

Ivi,10,n.13.

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Continue sovvenzioni erano necessarie anche al Monte Pio, per il quale fu preso un provvedimento d'urgenza, consistente nella riduzione a un massimo di sole 14 lire per ciascun prestito.

6. Il sistema ipotecario francese

Il continuo ricorso alla cassa del Monte dei Paschi indusse la Deputazione a chiedere di poter aumentare il suo potere di negoziazione oltre i 300.000 scudi. Tale richiesta rimase però inascoltata; fu presentata, infatti, proprio nei giorni in cui, in base al trattato segreto di Fontainebleau, Napoleone mise fine al Regno d'Etruria, unendo la Toscana all'impero francese e affidandone il governo alla sorella Elisa Bonaparte Baciocchi, principessa di Piombino, di Lucca e di Carrara.
Questa, definita "più uomo di molti uomini", visitò Siena nel maggio 1809 accolta dal prefetto Angelo Gandolfo e dal maire Giuseppe Brancadori. Il primo, di nomina imperiale, era a capo del Dipartimento dell'Ombrone, uno dei tre Dipartimenti in cui era stata divisa la Toscana e che aveva per capitale Siena; il secondo - che aveva il ruolo del vecchio gonfaloniere - era di nomina governativa e presiedeva un Consiglio municipale, le cui deliberazioni dovevano essere approvate dal prefetto.
Una Giunta imperiale di Toscana, guidata dal generale Edoardo Dauchy, emanò le disposizioni legislative che dovevano regolare i tre Dipartimenti e ne pubblicò la raccolta in diciotto volumi del "Bullettino delle leggi" 104

"Bullettino delle leggi, decreti imperiali e deliberazioni della Giunta di Toscana pubblicati nei Dipartimenti dell'Arno, dell'Ombrone e del Mediterraneo", I-XVIII, Firenze, Pagani, 1808-1809.

. Non ostante la volontà della Giunta di evitare nell'amministrazione cambiamenti troppo bruschi, che avrebbero potuto "produire la confusion et suspendre la marche des affaires" 105

Paris,Archives Nationales, Administration générale de la France. Pays annexés ou dépendants, série F1e, dossier 89, n. 8. Extrait d'un compte-rendu de l'admistration de la Toscane, p. 5.

, l'applicazione della nuova legislazione incontrò varie difficoltà e resistenze, che - se non sfociarono in ribellioni violente - danno comunque la sensazione di un assoluto distacco fra governo e cittadini. A Siena, come in altre città, non furono molti i nobili e i ricchi borghesi che simpatizzarono con i nuovi padroni, anche se poi quasi tutti ricavarono benefici dall'acquisto dei cosiddetti "beni nazionali"; e fu soprattutto dalla piccola borghesia, cui appartenevano i pochi veri giacobini locali, che i francesi attinsero per creare una nuova burocrazia locale. Su un totale di 184 funzionari o impiegati, 40 dei quali erano francesi, solo 18 della vecchia amministrazione furono mantenuti in servizio. Dagli altri 126 "uomini nuovi" era forse lecito attendersi un entusiasmo e un fervore ben maggiori di quanto danno a vedere i documenti da essi prodotti, ben presto rivelatori di quella reazione di routine e di rifiuto d'assunzione di responsabilità che un'organizzazione burocratica moderna, anche ai suoi albori, sembra quasi automaticamente provocare.
Non ostante fossero passati pochi anni da quando l'Alfieri, accolto con tutti gli onori in casa Mocenni, dedicava a Siena i suoi sonetti e assisteva, nel teatro del Saloncino, alle "prime" delle sue tragedie, tuttavia il clima politico-culturale della città, dopo l'arrivo dei francesi, era notevolmente cambiato, prima di tutto in seguito alla soppressione dell'Università e alla conseguente scomparsa dell'abituale ritrovo dei professori nella stamperia di Giuseppe Pazzini, e poi per l'atteggiamento, tra vittimistico e scostante, della maggior parte dei nobili, che si guardarono bene dal continuare a tener circolo e ad accogliere nelle loro case i rappresentanti della nuova cultura e della nuova classe dirigente.
Alcuni di questi nobili, almeno fino all'inizio del 1814, continuarono a gestire, attraverso la Deputazione, i Monti Riuniti, ma si trovarono a dover affrontare nuove regole che, sottraendo capitali alla banca, rendevano più difficile lo svolgimento della sua funzione creditizia. Soprattutto la restituzione al Demanio imperiale dei capitali impiegati al Monte dei Paschi dalle corporazioni religiose soppresse determinò un gravoso impegno per la banca senese, che solo rateizzando la somma dovuta riuscì a smaltire il suo debito con lo Stato. Questo, d'altra parte, con l'applicazione del regime ipotecario francese, permetteva anche al Monte di cautelare le sue operazioni di mutuo non più con le sole garanzie personali e fiduciarie usate fin dalla sua origine, ma con garanzie reali fondiarie, attraverso l'iscrizione ipotecaria di tutti i crediti.
Attraverso l'iscrizione in pubblici registri dei crediti ipotecari su porzione e non più sull'intero bene immobile, il nuovo sistema forniva idonei strumenti giuridici di sicurezza del credito e di soddisfazione dei diritti. Il creditore poteva, infatti, verificare l'esistenza di iscrizioni ipotecarie e di altri vincoli e privilegi; in caso d'inadempienza era permessa poi l'espropriazione dell'immobile, anche se fosse stato venduto a terzi; il creditore ipotecario veniva inoltre liquidato prima di altri eventuali creditori 106

Cfr. G. Conti, La politica aziendale cit., pp. 23-25.

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L'applicazione di questo nuovo sistema non fu, tuttavia, accettata di buon grado, anche per la mancanza di un catasto estimativo delle terre, iniziato nel Dipartimento dell'Ombrone solo nell'ottobre 1810 e terminato poi, a cura del restaurato governo granducale, tra il 1819 e il 1834. Le operazioni catastali furono comunque avviate sotto la guida di un ingegnere e di due geometri, tutti e tre francesi, e il prefetto, da parte sua, emanò un proclama indirizzato ai proprietari terrieri, dove fra l'altro diceva: "Voi vedrete porre il limite alle vostre proprietà e fissarne l'estensione per mezzo di una stima appoggiata a delle basi invariabili, vedrete sparire qualunque ineguaglianza mostruosa. Il reparto della contribuzione fondiaria divenuto più eguale, non sarete più tributari, per così dire, forzati gli uni verso gli altri. Sua eccellenza il ministro di finanze, per dare una maggiore pubblicità a questa grande operazione, ha ordinato che ella cominciasse dalla città di Siena e suo territorio, sotto gli occhi dei principali proprietari. Di già son nominati dei geometri, degli agrimensori sono già indicati per misurare le vostre proprietà. Verranno in appresso li stimatori, i quali aiutati dagli agenti della direzione delle contribuzioni fisseranno la rendita imponibile. Questa una volta fissata, il proprietario industrioso potrà occuparsi per aumentarla senza temere di veder colpire la sua industria particolare. Chi di voi, o signori, potrebbe vedere con occhio svantaggioso una operazione che tende a ristabilire l'eguaglianza proporzionale fra di voi e ad evitarvi in seguito una quantità di questioni e di processi dispendiosi, per far fissare invariabilmente i limiti dei vostri beni?" 107

Raccolta degli atti della Prefettura del Dipartimento dell'Ombrone dal primo gennaio al 31 dicembre 1812, Siena, Porri, 1812, p. 49.

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L'esposizione al rischio relativa all'assunzione di un prestito imponeva una prudente valutazione, pena l'esecuzione forzosa, che evitava così di rendere irrecuperabili molti crediti. L'uso di non onorare la scadenza del mutuo aveva ormai da molti anni causato uno squilibrio nella solvibilità del Monte, che accettava i rimborsi sul capitale mutuato non sul valore fondiario, ma sulla sola rendita dell'immobile ipotecato 108

G. Conti, La politica aziendale cit., pp. 23-25.

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Dopo aver valutato l'entità delle "partite decotte" si giunse addirittura a ipotizzare la soppressione del Monte, evitata soprattutto per merito del legale dell'istituto Giuseppe Alessandri, che iniziò, dopo averli individuati, a intentare cause contro tali debitori, riuscendo così a registrare le partite in sofferenza, che per la prima volta nel 1819 furono tolte dall'ammontare dei prestiti e degli interessi e indicate all'attivo del bilancio della banca.
A questa ci si rivolgeva comunque, anche da parte del governo, per ottenere contributi, come capitò nel settembre 1810 con la richiesta di 1600 franchi all'anno per l'organizzazione di una scuola di equitazione e come, per ormai consolidata prassi, facevano il Comune e il Monte Pio. La difficoltà di esaudire tali richieste sollecitò il provveditore del Monte a scrivere al principe Neri Corsini, che a Parigi rappresentava la Toscana, per raccomandargli un'organica riforma organizzativa dell'istituto senese. Corsini rispose il 15 ottobre 1813: "Pregiatissimo Signore [...] non sfuggì alla perspicacia del ministro dell'Interno e del sig. direttore generale Quinette l'utilità del Monte dei Paschi, e l'hanno benissimo sviluppata nel loro rapporto. Oltre un decreto vi sono due separati regolamenti: l'uno per il Monte Pio e l'altro per il Monte dei Paschi; il primo è modellato su quelli già approvati di stabilimenti di simil genere; l'altro lo è sulle proposizioni venute di costà, e coerente per la massima parte agli statuti del Monte. La riunione, ordinata con rescritto del 1784, è mantenuta. Una commissione gratuita presiederà alla amministrazione di ambedue gli stabilimenti, ma vi sarà un Direttore ed altri impiegati provvisionati per ciascheduno. Questo affare ha occupato in due sedute il Consiglio di Stato, ed il decreto è già stato sottoposto alla sanzione di Sua Maestà. La novità della istituzione, alcuni inconvenienti accaduti a simili stabilimenti in Francia, avevano suscitato qualche dubbio che, insieme con i miei colleghi, ho contribuito a dileguare, dimostrando che la esperienza di due secoli e mezzo assicurava il credito di questo stabilimento, e la regolarità del nuovo sistema ipotecario lo metteva ora al coperto di ogni sinistro evento, ed anche dalla possibilità di perdite rilevanti. Tutto adunque è terminato con soddisfazione di codesta città e dipartimento, per quanto poteva dipendere dal Consiglio, ed è stata fatta anche qualche proposizione per indennizzare parzialmente i detti stabilimenti della perdita fatta dei capitali acquistati in rimborso della nota restituzione dei pegni. Con tutto l'ossequio e stima ho il vantaggio di protestarmi dev. obbl. servitore, Neri Corsini" 109

AMPaschi 10, n. 87.

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Il 6 novembre Napoleone firmava il decreto con i nuovi regolamenti dei Monti Riuniti, la cui direzione doveva essere affidata a un collegio di otto membri, non più esclusivamente nobili, scelti dal prefetto e nominati dal ministro dell'Interno. "Trois seront choisis - recita l'art. 2 del decreto - parmi les Administrateurs des Hospices et du Bureau de Bienfaisance de la méme ville, deux parmi les jurisconsults les plus instruits de la ville et le huitième parmi les notables principaux et les plus éclairés dans les operations de banque!" 110

Ivi,n.90.

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Ogni volta che il maire di Siena assisteva alle assemblee degli Otto doveva assumerne la presidenza; in sua assenza, a presiedere sarebbe stato un vicepresidente scelto, ogni tre mesi, fra gli altri deputati. Il capitale dei Monti Riuniti poteva essere portato fino a due milioni e 500 mila franchi e i prestiti su immobili non avrebbero potuto eccedere i 3000 franchi per ciascun mutuatario, a meno che non ci fosse un'apposita delibera in contrario, omologata dal prefetto.
Gli interessi che il Monte pagava ai suoi creditori dovevano essere regolati ogni anno dal ministro senza poter eccedere il quattro per cento e i creditori potevano sempre chiedere il pagamento totale o parziale dei loro crediti, a meno che la somma domandata non fosse superiore ai 600 franchi, nel qual caso dovevano fare la domanda un mese prima. Il Monte, infine, non poteva prestare meno di 150 franchi o più di 3000 e il prestito doveva essere garantito da un'ipoteca su un immobile libero da ogni altra ipoteca anteriore e da ogni privilegio.
A loro volta i debitori del Monte potevano rendere quando volevano o l'intero capitale o solo una porzione di esso, a meno che la somma da restituire non fosse minore di 50 franchi. Gli stessi debitori non potevano essere obbligati a rendere la somma avuta in prestito per i primi tre anni; dopo tale termine, il Monte poteva esigere la restituzione del mutuo, col preavviso di un mese. Nel caso di mancati pagamenti degli interessi alle scadenze convenute o di deperimento degli immobili ipotecati, il Monte poteva pretendere l'immediato rimborso o chiedere un supplemento d'ipoteca.
Scorcio dell'archivio della Banca Monte dei Paschi di Siena.
Il 3 gennaio 1814, sotto la presidenza del maire Giulio Bianchi, si riunì la nuova Deputazione del Monte, che oltre il vecchio sovrintendente (o provveditore) Lorenzo Forteguerri, in carica dal 1799, e gli altri tre vecchi deputati Alessandro Mignanelli, Domenico Placidi e Donato Della Ciaia, contava anche il procuratore dell'istituto Giuseppe Alessandri, che per ordine del governo francese aveva avviato l'operazione sui crediti inesigibili.
Fu deciso di scrivere al prefetto per comunicargli che era impossibile dare immediata esecuzione al dettato dei nuovi regolamenti, ma la risposta fu che "gli ordini sovrani" dovevano essere eseguiti nel più breve tempo possibile. Così il 22 gennaio la Deputazione, presa conoscenza dei "bullettini della bilanceria", registrò che il Monte aveva in cassa 450 scudi, 5 lire, 16 soldi e 5 denari, mentre erano ancora pendenti le domande di nove creditori per la restituzione dei loro capitali investiti in Luoghi di Monte per complessivi 5600 scudi. Non solo: il Comune chiedeva il pagamento entro otto giorni di oltre diecimila franchi relativi alla metà delle spese per il mantenimento dei ricoverati all'ospizio dei dementi.
Nel successivo verbale della Deputazione, in data 6 febbraio 1814, si legge che il prefetto Gandolfo aveva lasciato Siena il giorno 3 con quasi tutti gl'impiegati francesi e che il conte Giuseppe Lechi, tenente generale dell'esercito del re delle Due Sicilie, con un proclama ai Toscani, garantiva che "un governo italiano" avrebbe assicurato la loro indipendenza e la loro felicità.