CAPITOLO SESTO

Siena, palazzo Salimbeni, salone della Rocca.

SVILUPPI OPERATIVI E ARCHITETTONICI
(1873-1929)

1. Il nuovo Statuto

"Rilevasi dagli atti d'archivio - scrisse il provveditore Alberti il 10 aprile 1872 - che fino dal 1682 e molte altre volte in seguito, si pensò a una nuova compilazione di Statuti, ma trovasi che prevalse sempre il concetto di portarvi quelle riforme parziali reclamate dalle circostanze e dai tempi, forse perché si volle conservare al Monte il carattere originario impressogli dai suoi Capitoli, mantenendo per tal modo le nobili tradizioni che a quelli si collegano. Soltanto nel 1813, per decreto imperiale del 6 novembre, furono sanzionati i nuovi regolamenti per il Monte dei Paschi e Monte Pio, ma non furono attuati, per essere caduto il governo francese poco tempo dopo quel decreto. E oggi, attuate essendo nella massima parte, e con felice resultato, le riforme propugnate dalla solerzia del nostro Municipio nel 1862, ci sembra che i capitoli abbisognino, più che di radicali riforme, di diverse modificazioni, fra le quali quelle relative alle competenze fra Deputazione e Comune, al modo di elezione della Deputazione, al sistema di votazione degl'imprestiti e di valutazione dei beni da ipotecarsi, e ad alcune disposizioni riguardanti le attuali ricevute del Camarlingo affinché offrano maggior guarentigia per l'Istituto, e dimostrino il credito del depositante anco nei casi di ritiro parziale di capitali: sulle quali rilasciamo l'apprezzamento e la pronunzia a chi spetta, cioè all'onorevole Consesso Comunale. Noi ci permettiamo soltanto di fare osservare che, salvo quelle riforme apportate nella massima parte dalle variate legislazioni, i capitoli del Monte dei Paschi sono tutt'oggi se non nella lettera, almeno nello spirito, nel loro pieno vigore; e che qualora le modificazioni che sarà per introdurvi l'onorevole Consiglio Comunale sieno informate ai savi principii che dettarono le antiche costituzioni, riceverà la sua applicazione quella sentenza di un gran filosofo dei nostri tempi, relativamente alle istituzioni sociali, che 'il progresso è un saggio regresso verso l'antichità'" 1

Prefazione in Statuti o Capitoli del Monte dei Paschi di Siena con le modificazioni introdottevi fino all'anno 1871 preceduti dall'istrumento di fondazione del novembre 1624 pubblicati dalla Deputazione dell'Istituto, Siena,Tip. Lazzeri, 1872, p. XIV.

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Giovanni Campani, deputato del Monte nel 1884 e presidente dal 1885 al 1887.
Siena,Archivio dell'Università degli Studi di Siena.
Il lungo dibattito che precedette la stesura e l'approvazione del nuovo Statuto, promulgato col regio decreto 8 dicembre 1872, fu riassunto dal Consiglio comunale di Siena in tre sedute dal 22 al 26 aprile di quello stesso anno, sotto la guida del sindaco Luciano Banchi, direttore dell'Archivio di Stato e valentissimo storico e paleografo. Il dibattito fu centrato su quattro punti principali: la proprietà del Monte; l'impiego dei suoi capitali; la sua amministrazione e l'erogazione dei suoi "avanzi".
Nel primo dei trenta articoli che formarono il nuovo statuto si ribadì che il Monte era "una istituzione della città di Siena" e perciò il Comune ne aveva "la soprintendenza, direzione e tutela", amministrandolo "per mezzo di un Consiglio elettivo", chiamato Deputazione e di un provveditore, che era "il capo dell'ufficio" (art. 16) 2

Statuto del Monte dei Paschi di Siena, in Raccolta delle leggi, serie II, P. suppl., 1872 (cfr. anche Michele Bonaduce, Dell'autonomia normativa degli Istituti di credito di diritto pubblico. In particolare degli Statuti del Monte dei Paschi di Siena, Milano, ICEB, 1984, pp. 108-110 e 156-161).

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Gli otto membri della Deputazione (più due supplenti) e il provveditore erano nominati per un quadriennio dal Consiglio comunale, "sulla proposta fatta dalla Giunta di un numero triplo degli eligendi" (artt. 17, 18 e 21). "Tutti gli altri uffici e impieghi si conferiscono ugualmente dal Consiglio comunale a proposta della Deputazione", che poteva liberamente scegliere solo copisti, custodi e inservienti.
Un'importante novità organizzativa veniva poi sancita nell'art. 2, che stabiliva per i quattro organismi del Monte Pio, della Cassa di Risparmio, del Credito fondiario e del Credito agricolo, uniti al Monte dei Paschi, un'amministrazione separata. Fu inoltre codificata la già avviata prassi di investire "residualmente in titoli", per giungere a "una gestione più snella sotto il profilo della liquidità e della redditività" 3

G. Conti, La politica cit., p. 233. Un Prospetto generale delle operazioni, spese, sussidi ed avanzi dal 1625 al 1871 (in Statuti o Capitoli del Monte dei Paschi di Siena cit., pp. 258-275), desunto dai bilanci, o Libri grossi, del Monte fino al 1830, e successivamente dai Rendiconti annuali, qui pubblicati nei grafici, illustra lo sviluppo cronologico dell'istituto.

e si stabilì, infine, che "la metà almeno degli utili netti fosse destinata ad aumentare il patrimonio del Monte, mentre il resto" poteva essere "erogato in opere di beneficenza e di pubblica utilità per la città di Siena" (art. 28).
Un'importante occasione di applicare quest'ultimo articolo si presentò nel 1875, quando, per scongiurare il pericolo della soppressione dell'Università, il cui patrimonio era stato incorporato dal demanio subito dopo l'Unità, fu creato un consorzio di alcuni enti senesi, fra cui il Monte dei Paschi, per ricostituire il patrimonio universitario.
Raccolta e prestiti (valori assoluti)
1625-1820
Prestiti, riserve di cassa e patrimonio (% raccolta)
Raccolta e prestiti (valori assoluti)
1821-1871
Riserve di cassa (% raccolta)
Patrimonio (% raccolta)
Raccolta (composizione %) provincia (1935)
Prestiti (% raccolta)
Spese d'amministrazione, onorari e provvisioni, avanzo di gestione (% raccolta) provincia (1935)
Carmela Ceccherelli, copertina del Monte dei Paschi di Siena. Lavori artistici di Narciso Mengozzi, Siena, 1904.AMPaschi, Mostra.
Il ventennio dopo la costituzione di questo consorzio fu uno dei periodi più fecondi per lo sviluppo dello Studio senese e in particolare della Facoltà medica, dotata nel 1894 dei nuovi Istituti biologici costruiti a spese del Monte. In quegli stessi anni insegnavano nella Facoltà di giurisprudenza Enrico Ferri e Luigi Rava, Lodovico Zdekauer e Achille Loria. Questi, in un discorso pronunciato nel 1882 in occasione dell'Esposizione di Milano, accennò al Monte, "ricchezza e gloria di Siena, il quale domina sovr'essa al pari di quercia, poderoso, all'ombra de' cui rami secolari trovan ristoro e sussidio, nella contesa de la vita, le varie classi sociali", per sollecitare da esso "la scintilla animatrice della rigenerazione industriale di Siena" 4

Achille Loria, L'arte e l'industria. Discorso pronunciato il 18 giugno 1882 in occasione della solenne distribuzione delle medaglie ai premiati senesi nella Esposizione di Milano del 1881, Siena, Pucci, 1882, pp. 19-20.

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Carmela Ceccherelli, copertina degli Statuti del Monte dei Paschi, Siena, 1905.AMPaschi, Mostra.
Da parte sua il Monte cercava di rispondere a queste richieste secondo il suo stile, senza cioè avere in animo "di abbandonare neppure un istante il sentiero di progressivo incremento in cui - come osservava il suo provveditore Niccolò Piccolomini - già tanto innanzi si è spinto il nostro istituto, ma sibbene di continuare a percorrerlo con quel passo calmo e regolare che dà agio di raccogliere i frutti del passato senza trascurare l'opera preparatrice di quelli avvenire" 5

Monte dei Paschi di Siena, Rendiconto della gestione 1875, Siena 1876, p. 9. Questo concetto, spesso ribadito nelle relazioni ai rendiconti, è completato da un'altra osservazione dello stesso provveditore Piccolomini quattro anni dopo:"Gli amministratori del Monte con mezzi ed intenti necessariamente mutabili pel mutarsi delle circostanze e dei tempi, si sono [...] sempre ingegnati di fornire il compito essenziale, pel quale il Monte stesso fu istituito, di agevolare cioè il concorso di capitali alle migliori condizioni possibili verso la proprietà fondiaria, come al più indispensabile se non al più potente fattore della pubblica prosperità" (Idem, Rendiconto della gestione 1879, Siena 1880, p.22).

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Scandendo quel passo, nel 1873 la banca senese aveva assunto i servizi della ricevitoria ed esattoria delle imposte per la Provincia e il Comune di Siena, con espressa dichiarazione di rivolgere a pubblico vantaggio i profitti che ne sarebbero derivati. Dal 1875 fu deciso di rendere nota l'entità di tali profitti, pubblicando i rendiconti dell'istituto, preceduti da una relazione illustrativa. Nello stesso anno, nonostante l'applicazione del "corso forzoso" e il conseguente ritiro dei "buoni di cassa" emessi in precedenza anche dal Monte, questo poté diminuire il saggio d'interesse, dando così notevole impulso alle sue operazioni di mutuo. Altri servizi furono poi assunti nel 1882 e 1883 con l'amministrazione dell'eredità di Giuseppe Lazzeretti, la cui rendita doveva essere erogata a scopo di beneficenza, e con la gestione, insieme con altri istituti, della Cassa Nazionale di assicurazione degli operai colpiti da infortunio sul lavoro, importante istituzione di previdenza, per la quale il Monte contribuì a costituire anche un fondo di garanzia.
Per gli impiegati del Monte fu attuato il trattamento pensionistico fin dal 1850, in base a un decreto di Leopoldo II del 22 novembre 1849, che concesse le pensioni civili. La pensione spettava dopo la minima anzianità di servizio di dieci anni ed era stabilita nella misura di un terzo dello stipendio goduto nell'ultimo triennio. Erano previste anche pensioni di reversibilità a favore della vedova, da sola o insieme con i figli minori di ventuno anni, e a favore dei figli orfani di ambedue i genitori. I contributi a carico degli impiegati erano in misura percentuale variabile dall'uno al due e mezzo per cento. Per determinare il contributo - che era chiamato "ritensione" - a carico dei custodi del Monte dei Paschi e del Monte Pio si tenne conto anche del fitto figurativo degli alloggi fruiti nei locali dell'istituto.
Erogazioni del Monte alle istituzioni di assistenza e beneficenza pubblica e per l'incremento dell'arte e della cultura dal 1761 al 1924.
Queste regole rimasero in vigore fino al marzo 1901, quando fu approvato un Regolamento pel conto individuale o Cassa di previdenza a favore degli impiegati, rinnovato poi nel 1920 e nel 1927. "Tutti e tre i citati regolamenti hanno una particolare importanza, perché enunciano i basilari concetti dell'autonomia amministrativa, della separazione patrimoniale nei confronti del Monte e del vincolo allo scopo. La prima fu sancita dall'art. 3 del regolamento più antico - testualmente riprodotto nell'art. 2 di quelli del 1920 e del 1927 - che suona così: 'La Cassa di Previdenza è amministrata da una Commissione speciale composta di tre membri nominati dalla deputazione fra gli impiegati'. La separazione patrimoniale e il vincolo allo scopo furono affermati, con identiche parole, dall'art. 10 di tutti e tre i regolamenti citati: 'Le attività della Cassa di Previdenza e il loro impiego si considerano dal Monte come una gestione distinta da suo patrimonio e vincolate alla speciale destinazione risultante dal presente regolamento'" 6

Rio Mattei, Il trattamento previdenziale del Personale del Monte. Precedenti storici, in "Il Monte. Notiziario aziendale", I (1962), n. 2, pp. 8-9.

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Per iniziativa del sindaco Luciano Banchi e del presidente della Sezione di finanza del Comune Pietro Bonci Casuccini, il 31 maggio 1881 fu stipulata una Convenzione fra Comune di Siena e Monte dei Paschi in base alla quale l'istituto assunse l'amministrazione del Prestito comunale a cartelle del 1863, "con facoltà - recita l'art. 2 di detta Convenzione - di effettuare il riscatto del Prestito, anco prima della scadenza, imputandone le risultanze al netto delle spese dell'esercizio in diminuzione o saldo del credito che esso tiene contro il Comune" 7

Servizio del Prestito comunale a cartelle del 1863. Convenzione col Monte dei Paschi, in Comune di Siena, Progetti di deliberazioni della Giunta presentati al Consiglio comunale, Siena-Roma,Tip. Lunghetti, 1881, p. 8. .

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Dopo alcuni tentativi falliti di effettuare la stessa operazione finanziaria con altri banchieri, si raggiunse questo accordo, che - come spiegò Luciano Banchii - era comunque "a tutto rischio e pericolo del Comune". L'annua rata di centomila lire, dovuta dal Comune al Monte a seguito dei mutui contratti, venne ridotta a 85mila lire, permettendo di assicurare il pareggio del bilancio comunale e consentendo al Banchi di qualificare la Convenzione col Monte "come uno dei più notevoli atti finanziari compiuti dall'amministrazione comunale" e capace di eliminare "una volta per sempre un incentivo continuo di ingorde speculazioni di affaristi, assedianti troppo spesso il Gabinetto del sindaco" 8

Ivi,p.7.

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Fulvio Corsini, Fontana dell'Abbondanza, Siena, 1925-30, particolare.
Mentre i quindici volumi dell'inchiesta Jacini denunciavano nel 1885 le pessime condizioni dell'agricoltura italiana, oppressa anche dal rilevante debito pubblico e dalla conseguente necessità di gravose imposte, il grande sviluppo dell'industria stava mutando le condizioni del mercato finanziario e di quello immobiliare, dove gli avventati tentativi di speculazione di alcuni banchieri e la cinica corruzione di molti uomini politici causarono il fallimento di vari istituti di credito ordinario. Passato quasi indenne attraverso gli scandali bancari del 1888-1893, avendo ben poco operato nello scottante settore edilizio, il Monte non poté tuttavia sottrarsi alle ripercussioni di quegli eventi, quotando le sue cartelle fondiarie al di sotto del valore nominale.
Vignetta pubblicata in "La Gazzetta di Siena", 17 novembre 1907.
Nella relazione al rendiconto del 1890 il provveditore Cicogna così spiega la situazione: "Facendosi di giorno in giorno più manifesta la tendenza ad un crescente inasprimento della crisi, e questa investendo con un graduale deprezzamento i titoli di credito, senza eccezione neppure per i migliori e più solidi, quali sono appunto le cartelle fondiarie, la prudenza imponeva di non dare ansa a tale deprezzamento con l'aumentare il numero di quelli circolanti sul mercato. Onde è che la emissione delle nostre cartelle fondiarie, nell'annata di cui si discorre, fu ristretta ancor più che non lo fosse stata in quella precedente; e col dare la preferenza ai mutui a contanti, tale emissione fu ridotta a poco più di un solo milione di lire [...] Da ciò è derivato anche un decremento nella negoziazione diretta di questi titoli per parte dell'Istituto, il quale, come è noto, ne fa acquisto allo scopo precipuo di agevolarne il più vantaggioso collocamento ai mutuatari [...] né è da dissimularsi che la tendenza a decrescere si accentuava sul cadere dell'anno per l'aggravarsi delle condizioni generali del mercato, per cui la parsimonia nella emissione divenne per il nuovo anno ancor più conveniente e necessaria" 9

Monte dei Paschi, Rendiconto della gestione 1890, Siena 1891, pp. VI-VII.

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Fra i membri della Deputazione del 1890 c'era anche il già ricordato Achille Loria, docente di economia politica nell'Università di Siena dal 1881. Dopo aver vinto il "premio reale" dell'Accademia dei Lincei col suo saggio Il profitto e il capitale e aver collaborato alla rivista "Critica sociale" insieme con Enrico Ferri, Bissolati e Turati, Loria era spesso intervenuto - come risulta dai verbali delle adunanze della Deputazione del 1890 - sui problemi del Monte, insistendo su temi quali la riserva di cassa, le modifiche del livello dei tassi d'interesse interni e l'attività nel comparto del credito fondiario 10

Cfr.Renzo Azelio Castelnuovo, Achille Loria membro della Deputazione amministratrice del Monte dei Paschi, in "Studi e note di economia", 1998, pp. 197-205.

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Vignetta su Antonio Cicogna, provveditore del Monte dal 1890 al 1908, in "La Gazzetta di Siena", 2 agosto 1908.
Sulla riserva egli propose che avesse una consistenza definita nel tempo, determinando "a priori e come regola una proporzionale fra le riserve d'immediato realizzo, come cassa contanti, conti correnti a vista o di brevissima scadenza, Buoni del Tesoro e l'ammontare dei depositi", giudicando ben fatto "stabilire un rapporto di relazione indeclinabile fra i depositi, gli impegni presi e le riserve, al di là del quale non si eccedesse" 11

AMPaschi,Sez. Banca 35 (12 feb. 1890).

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La proposta di Loria fu accettata e la Deputazione deliberò di stabilire il livello della riserva a una quota pari al dieci per cento dei depositi e costituita "da contanti o in cassa o in depositi in conto corrente presso altre banche o da Buoni del Tesoro. Non negli effetti pubblici, che non presentano tutte le garanzie degli altri né sono facilmente esigibili, date certe condizioni del mercato" 12

Ivi (26 feb. 1890).

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Proprio nello stesso 1890 il governo costituì l'Istituto Nazionale del credito fondiario come una società per azioni, permettendo agli antichi istituti concessionari come il Monte dei Paschi di operare solo entro le rispettive circoscrizioni. In tal modo il Monte poté continuare la sua azione in favore della proprietà fondiaria e agricola attraverso i mutui in contanti, iniziando nel 1891 l'uso di prelevare dagli avanzi netti annuali una somma per costituire un fondo destinato a far fronte agli effetti delle oscillazioni dei titoli di credito e delle perdite di valore che potevano derivarne. "Seguendo questa linea di prudente condotta - commentò più tardi Narciso Mengozzi - la prosperità del Monte si è avvantaggiata ed è riuscita istrumento modesto, ma non superfluo alla ricostruzione di quella generale. Imperocché se la virtù operosa e previdente degli individui prepara e protegge la fortuna delle famiglie, la virtù previdente ed operosa delle istituzioni governate onestamente, e col solo obiettivo del pubblico bene, prepara e conserva la fortuna di una Nazione" 13

Narciso Mengozzi, Il Monte dei Paschi e le sue aziende. Compendio di notizie storiche e statistiche (1472-1912), Siena, Lazzeri, 1913, p.282.

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Scheda Tematica
Giuseppe Partini all'opera

Quella piazza in pendio

Nel clima eccitato di una finalmente compiuta unità nazionale, la banca della città di Siena doveva affacciarsi su una piazza imponente. A crearle la sua quinta teatrale era l'architetto Giuseppe Partini, che tra il 1871 e il 1879 realizzava, col piglio neogotico che gli era proprio, piazza Salimbeni.
La necessità di assemblare gli spazi che attorniano la Rocca dei Salimbeni per connetterli organicamente e allocarvi i servizi dei Monti Riuniti si era già manifestata da decenni. L'acquisizione nel 1866 di palazzo Tantucci, già di proprietà demaniale e sede della Dogana, era stata un passo essenziale del processo di laboriosa riorganizzazione, perseguita dagli amministratori della banca anche per finalità dichiaratamente simboliche. Il tratto finale, che avrebbe portato a costruire una piazza dalla calcolata scansione scenica, si delinea in coincidenza con l'eccitazione che fa seguito al faticoso compiersi dell'unità nazionale. L'accesso al Monte non può più essere la viuzza in ombra - quasi un vicolo - che conduce al Castellare dei Salimbeni e la banca pubblica, facendosi perno di altri pubblici servizi, quali l'esattoria comunale e la ricevitoria provinciale delle imposte, deve affermarsi come polo di rilevanza cittadina e affacciarsi finalmente su una piazza. Deve conquistarsi un gratificante respiro e aprirsi a un nuovo tempo. L'intervento sulla facciata non aveva risolto un problema che era una questione di spazio, non solo di architettura da riscrivere in bello stile gotico. Così il provveditore conte Niccolò Piccolomini, al quale non mancavano certo energia gestionale e voglia di fare, presentò in Deputazione nel luglio 1877 un rapporto che può esser considerato il testo chiave di una strategia edilizia dagli sconvolgenti effetti urbanistici. Il conte muoveva da un'impostazione tutta politica, sostenendo che non solo si doveva impiegare in un intervento positivo per la città una quota degli utili ricavati dall'esercizio di esattorie comunali e ricevitoria provinciale, ma che anche gli utili ordinari avrebbero dovuto avere una destinazione finalizzata a qualcosa di tangibile e duraturo: un visibile beneficio: "È infatti generale - ammonì -, e non ingiusto, il lamento che, nella città nostra, siasi speso molto e per molte guise; senza farne opera d'importanza tale, che accresca lucro e decoro all'intera città". Anzi lo "sminuzzamento, in dosi omeopatiche" delle risorse disponibili favoriva un pullulare di piccole società prive di qualsiasi autonoma capacità di sussistenza e bisognose di sostegni solo per tirare avanti "una vita stentata". Era venuta l'ora di puntare in alto. Per farlo occorreva dare il via a due progetti concatenati l'uno con l'altro. Il secondo, cioè la costruzione vicino San Domenico di un edificio da dare in cambio alla direzione delle Gabelle, era una conseguenza del primo, quello fondamentale: che consisteva nientemeno "nella costruzione di una nuova piazza Salimbeni, chiusa da tre lati, da altrettanti palazzi di stile caratteristico, e di epoche interessanti e distinte, quali sono i secoli XIV, XV e XVI", attuando i disegni presentati da Giuseppe Partini. Il nome dell'architetto da incaricare non suonava di certo nuovo.
Siena, veduta di piazza Salimbeni.
Giuseppe Partini, Progetto per la nuova piazza Salimbeni. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Giuseppe Partini era allora il protagonista senza concorrenti della ridefinizione di Siena in un linguaggio neogotico che s'insinuò in ogni angolo, ripristinando o agghindando con strabiliante fecondità. Non si ha idea di quanto sia presente, il Partini, nel tessuto della città, in grandiosi edifici monumentali e in minimi dettagli di arredo urbano. Perfino i colonnini che circondano il Campo e ritmano il limite tra la via in pietra serena e la conca in cotto sono opera sua. Nessuno oggi fa caso a un'invenzione che mutò alla radice la percezione figurativa e la distribuzione delle funzioni nel vuoto baricentro del corpo della città. Le condizioni materiali per realizzare il grandioso disegno c'erano già tutte. Al palazzo Tantucci, da poco entrato nel patrimonio dell'istituto, si sommava quello dei Salimbeni, appartenente già per la gran parte al Monte, mentre palazzo Spannocchi era sempre della famiglia, cioè della baronessa Spannocchi, "egregia gentildonna" disposta a vendere mettendo a tacere quel "sentimento di predilezione" che la legava all'imponente fabbrica: acquisirla era un "rinvestimento produttivo di capitali" - argomentò il provveditore -, non una spesa finalizzata all'esibizione della grandeur raggiunta. Del resto l'espansione territoriale del Monte, che includeva oltre a una bella fetta di Toscana aree confinanti dell'Umbria e di Massa Carrara, giustificava appieno il disegno. Non trascurabili erano gli effetti economici che il programma messo a punto avrebbe sortito. Il serrato ragionamento del conte sfocia in una morale che innalza a generali intendimenti chiariti in ogni passaggio. Un'istituzione che voglia prosperare "deve - afferma Piccolomini - saper trovare elementi nuovi e vigorosi alla propria esistenza". E non esita a dar la parola a Cavour citando una dichiarazione resa in Parlamento di natura schiettamente politica: "esservi che un modo per prevenire il socialismo, e scongiurare la guerra sociale, ed esser quello che le classi elevate si dedicassero al bene di quelle inferiori". Messa così la questione, ogni titubanza sarebbe stata ben più che una riserva: avrebbe fatto crollare un programma di lunga portata, una visione del ruolo della banca nello Stato che si andava formando.
Giuseppe Partini, Prospetto della Rocca Salimbeni su piazza dell'Abbadia, 1881. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Giuseppe Partini, Progetto di decorazione della Galleria Peruzziana. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
La realizzazione del progetto procedette con folgorante rapidità. Il cantiere occupò gli anni più intensi, centrali, dell'esperienza professionale di Partini, dal 1871 al 14 agosto 1879, allorché, trentasettenne, l'architetto assisté compiaciuto all'inaugurazione della piazza beccandosi sperticate lodi e pungenti critiche. Quella piazza era una summa del suo credo architettonico, del suo ingegnoso ed eclettico storicismo, che, malgrado interventi distruttivi e disinvolte intrusioni, riusciva a conservare sotto pelle le volumetrie del passato, o a realizzare un ritorno a codificate forme. A rileggere le cronache dell'epoca si capisce quanto un'architettura potesse essere scrutata in ogni particolare, quasi fosse un problema domestico. Il consenso fu tutt'altro che unanime. Taluni ebbero a ridire perché la piazza di rappresentanza scendeva in eccessivo declivio. "Il Libero Cittadino" si spinse oltre: "A parer nostro - si legge nel numero del 17 agosto - la critica più vera è quella che si fa alla nuova facciata del palazzo Spannocchi". "La parte inferiore di quella facciata - prosegue l'anonimo articolo - ha un difetto gravissimo, non è eguale a quella che vedesi dalla parte di via Cavour". Addio simmetria! La scena era sbilenca, pur dovendosi riconoscere che per evitare lo sgradevole dislivello "bisognava che la piazza stessa fosse in piano perfetto" e che per raggiungere un simile andamento si sarebbe dovuto disfare la porta già fatta e il castello sarebbe franato pezzo per pezzo, smontato come un favoloso giocattolo.
Giuseppe Partini, Prospetto di palazzo Spannocchi sulla piazza Salimbeni.
Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Tito Sarrocchi, monumento a Sallustio Bandini.
Scorcio della Rocca Salimbeni durante il restauro di Giuseppe Partini.
Palazzo Spannocchi prima del restauro di Giuseppe Partini, 1878 ca. (foto Paolo Lombardi).
Il rispettato Circolo Artistico Senese si prese la briga di un circostanziato esame finale ed emise per bocca di Baldassarre Peruzzi - tanto nomini... - una sorta di sentenza, stilata in risposta a insidiosi quesiti. Si dette un voto di benemerenza per il lavoro che era stato procurato alla città; la piazza andava bene quanto a forma pur essendo troppo sensibile la pendenza; circa la fedeltà allo stile gotico senese il tema sarebbe stato approfondito addirittura con una serie di monografie. La sentenza del Circolo aveva il tono paludato degli esperti. Chi preferiva le salaci punzecchiature propose più divaganti postille. La più curiosa fu formulata da "La Lupa": i gradini di palazzo Salimbeni erano proprio fuori luogo: "i cavalli non hanno mai salito gradini". L'immaginario di un cavalleresco Medioevo di cappa e spada confliggeva con la composta enfasi celebrativa.
Giuseppe Partini, Progetto di sistemazione del cortile interno di palazzo Spannocchi, 1879. Siena, collezione Banca Monte dei Paschi di Siena.
Poteva restar deserta una piazza ricavata a prezzo di tanti difficoltosi avanzamenti? Sarebbe stata come una ribalta vuota. Nella frenetica ricerca ottocentesca di antenati la scelta cadde naturalmente su Sallustio Bandini. La statua preparata da Tito Sarrocchi fu lodata da tutti gli intervenuti alla cerimonia inaugurale "senza pompa" del 14 agosto 1880. Il susseguirsi dei discorsi non lascia adito a dubbi. Bandini era considerato l'antiveggente ideologo della missione di un istituto che assumeva l'operosità dell'umile e attivissimo arcidiacono a legittimazione prima del suo stesso esistere. Con quel monumento il complesso cresciuto grado a grado assumeva una grandiosità statuale, polo economico di una città che parlava all'Italia in nome della sua storia.
L'iscrizione alla base del piedistallo fu composta dal sindaco Luciano Banchi, che ne mise in luce il ruolo nell'aver per primo diffuso le "dottrine della libertà economica". E nelle stringate parole che scandì nella piazza stabilì fitti legami tra passato e presente. "I monumenti s'innalzano nelle pubbliche piazze non solo per onorare grandi virtù, ma altresì perché sieno di ammaestramento ai viventi". E sul finale aggiunse, con tono ammonitorio, che quella "parlante" statua avrebbe contribuito a ricordare i sacrifici che fecero libera e grande la patria. Nella parola patria si fondevano risonanza locale e scala nazionale. "Sallustio Bandini - a un certo punto Banchi non trattenne una dura incursione nell'attualità -, che predicava in tempi di servitù dottrine liberali, scenderebbe da questo piedistallo, su cui lo ha collocato l'ammirazione e la gratitudine di un popolo, il giorno che vedesse passare dinanzi a sé una generazione di uomini, incapace a mantenere incolume la libertà conseguita con la virtù del sacrifizio, con la costanza e nobiltà del carattere". Arruolato nei ranghi dei protagonisti di un Risorgimento dalle lontane sorgenti, Sallustio Bandini indossava vesti paternamente pedagogiche come chi, avendo "profondamente meditato - notava una penetrante critica su "La Lupa" - porge lo scritto in cui è il resultato della sua meditazione, e seguita a meditare". Con gli anni la marmorea presenza del saggio arcidiacono, incurvito, in avanzata età, si è fatta confidenziale. Sallustio - dai senesi è chiamato per nome - si è prestato a scherzi benevoli. Ha alzato cartelli con slogan di protesta. Ha tollerato che gli venissero attribuite irriverenti battute. In certe serate ha una teatralità da commendatore mozartiano e da un momento all'altro, forse a causa del dislivello della piazza, pare che voglia scendere dal piedistallo.
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2. Le accuse del Comune

Alcuni retroscena degli scandali bancari di fine secolo, dai quali anche il Monte dei Paschi fu sfiorato, sono narrati da un assiduo collaboratore della "Gazzetta di Siena", un giornale che si dichiarava legato al partito "liberale e progressista in generale" 14

"Gazzetta di Siena", 18 giu. 1899.

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L'esperto cronista è l'avvocato Cesare Bartalini, già direttore del Credito agrario e segretario generale del Monte. Per mettere in guardia i nuovi amministratori dell'istituto senese, Bartalini ricorda le sue esperienze passate, accennando, per esempio, al tentativo dell'onorevole Augusto Barazzuoli di salvare la Cassa di risparmio di Firenze, trascinata al fallimento dalla cattiva amministrazione municipale, attraverso un mutuo ipotecario di cinque milioni che il Monte dei Paschi avrebbe dovuto concedere in quarantott'ore. "Le commendatizie, anche del governo d'allora, non riuscirono nell'intento e gli amministratori [del Monte] non negarono il mutuo, ma lo concessero a condizione di esaminare i titoli singoli da oppignorarsi e la entità delle guarentigie ipotecarie, come prescrive il regolamento. La Cassa di Risparmio di Firenze, mancatole il mutuo, fece punto... ma l'istituto senese fu salvo" 15

Il resoconto 1899 del Monte dei Paschi, in "Gazzetta di Siena.", 29 dic. 1900.

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A seguito di quel fallimento - che coinvolse, "nel disastro prodotto dalla malaugurata amministrazione Peruzzi" 16

Monte dei Paschi, in "Gazzetta di Siena", 2 feb. 1908.

, anche la Banca Nazionale Toscana, la Banca Agricola e la Banca del Popolo di Firenze, costrette a chiudere le loro succursali senesi - il Monte dei Paschi aprì il suo esercizio di Credito agricolo, introducendo le "sovvenzioni cambiarie [...] tanto in Siena quanto con le sue succursali; [...] liquidando i portafogli delle tre banche fiorentine [...] e sostituendosi a loro" 17

Ivi.

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"Venne poi la mania edilizia. - continua il Bartalini - Ci fu anche a Siena chi spingeva gli amministratori del Monte dei Paschi a entrare nella gazzarra edilizia. E già si pensava di aprire una succursale a Roma; si designava il rappresentante, si fissò l'onorario, la compartecipazione sugli affari. Fortunatamente fu inviato il segretario generale a Roma a studiare l'ambiente e al seguito di una sua relazione sconfortante [...] la proposta della succursale a Roma non ebbe seguito; e due o tre anni dopo avvenne il crack edilizio, che fece perdere tanti milioni anche ai più solidi istituti, per esempio alla Cassa di Risparmio di Milano, che aveva impiantato una succursale in Roma, e ne fece fallire tanti altri [...] Ed in tempi a noi più vicini il Tanlongo, insieme ad altri amministratori della Banca Romana, al solito con commendatizie ministeriali, venne a Siena ad offrire al Monte dei Paschi il servizio del cambio dei biglietti della Banca Romana. Nonostante le commendatizie e le raccomandazioni venute dall'alto, fu levata loro ogni speranza di esito favorevole per la domanda" 18

Il resoconto cit.

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"Fortunatamente per Siena - concludeva il Bartalini - ci fu allora nel Monte dei Paschi chi seppe opporsi ostinatamente a tutte quelle richieste e a indurre gli amministratori dell'istituto senese a rispondere, come risposero sempre, di no; e a nulla valsero le promesse di onorificenze ed anche di qualcosa di più concreto di questo. Notate che in mezzo a tutte queste proposte che avrebbero portato alla rovina dell'istituto senese, trovaronsi sempre deputati, senatori e commendatizie di ministri [...] Auguriamoci che [...] lassù in piazza Salimbeni tutte le volte che si presenta il governo ed anche il Comune di Siena si dica, come un alto impiegato di nostra conoscenza ebbe a dire al ministro Grimaldi, quando insieme a Cavallotti visitava il Monte dei Paschi: 'Qui al governo si usa sempre rispondere vade retro Satana'" 19

Mafia,camorra ed influenze, in "Gazzetta di Siena", 17 dic. 1899 e Il resoconto 1899 cit.

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Luciano Banchi, presidente del Monte dal 1874 al 1877, in Ricordo di Luciano Banchi, Siena,Tip. dell'Ancora, 1888.
L'auspicio di Bartalini che il Monte resistesse, oltre che alle pressioni governative, anche a quelle dello stesso Comune di Siena, era dovuto al fatto che questo era ormai saldamente in mano ai moderati dell'Associazione liberale monarchica, alcuni dei quali affiliati alla Massoneria, rappresentata in Siena da due Logge: "Arbia" e "Socino". A combattere questa "consorteria" erano soprattutto radicali, liberal-costituzionali e socialisti, i cui sparuti rappresentanti nel Consiglio comunale non riuscirono quasi mai a seguire una linea comune di lotta nelle questioni relative al Monte dei Paschi. Un lungo dibattito, iniziato con lo scopo di evitare che una stessa persona potesse cumulare la carica di consigliere comunale e deputato del Monte, finì per risolversi nell'accordo sull'incompatibilità fra lo stato d'impiegato della banca e quello di consigliere comunale; e mentre i radicali, nel loro giornale "Libertas", ironizzavano sulle misure di sicurezza che erano state prese anche a Siena in occasione del 1° maggio 1890 - quando "perfino le banche cittadine avevano chiuso i portoni", offendendo così i lavoratori, che "a parte le loro idee politico-sociali, forse non accette a chi regge il Monte dei Paschi, sono soprattutto onesti" 20

"Libertas", 3 mag. 1890 (in B. Talluri, La Martinella e il giornalismo senese radicale e socialista.1880-1894, Montepulciano, Ed. del Grifo, 1985, p. 271).

- i democratici dichiaravano sulla "Gazzetta" che "Comune, Monte dei Paschi e Associazione monarchica erano tre persone distinte ed un solo Iddio" 21

Consiglio comunale, in "Gazzetta di Siena", 30 mag. 1896.

, accusando il municipio di soggiacere supinamente a qualsiasi decisione presa dalla Deputazione.
Nello stesso giornale, però, il progressista Bartalini si batte perché il Monte, "se vuol fare (ed ha l'obbligo di farlo) il bene del paese [...], lo faccia da sé o col mezzo di commissioni estranee al Comune" 22

A[vvocato] B[artalini] C[esare], A proposito delle adunanze del Consiglio comunale di Siena, in "Gazzetta di Siena", 3 genn. 1898.

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Emilio Ambron, Ritratto di Guido Chigi Saracini, deputato del Monte dal 1927 al 1930.
Siena, 308 Accademia Musicale Chigiana.
Questa proposta viene ripresa ed elaborata il 3 dicembre 1899 nella stessa "Gazzetta", dove si legge: "In tutti gli anni viene a galla l'antica questione se o no spetti al Consiglio comunale il determinare l'assegnazione e la misura di quelle elargizioni del Monte dei Paschi [...] Che nella distribuzione di quella parte di utile gli amministratori del Monte dei Paschi più che alla beneficenza ed utilità pubblica [...] il più delle volte si ispirino alle raccomandazioni, alle influenze di persone autorevoli [...] è un fatto che si ripete spesso, anzi troppo spesso [...] Il Consiglio comunale ha dunque il diritto di far sì che simile sperpero degli utili del Monte dei Paschi non avvenga, poiché gli utili sono danaro pubblico della città di Siena [...] Ma, secondo noi, sarebbe un male peggiore [...] che la iniziativa delle proposte di elargizioni venisse dal Consiglio comunale. Ci sarebbe il pericolo che il tutore vi facesse la parte del leone [...] Invece potrebbe esservi una via di mezzo [...] quella cioè di disciplinare con alcune norme l'arbitrio, ora smodato, degli amministratori del Monte dei Paschi" 23

Le elargizioni del Monte dei Paschi, in "Gazzetta di Siena", 3 dic. 1899.

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Caricatura di Mario Ciani, provveditore del Monte dal 1909 al 1914, in "La Gazzetta di Siena", 26 giugno 1910.
"Suscitata da una proposta di modificazione al regolamento del Monte dei Paschi presentata dal consigliere Virgilii - scrisse "Il libero cittadino" - la questione si riferisce alla distribuzione di quella quota degli utili annui del Monte, che si eroga in opere di beneficenza e di pubblica utilità nella città di Siena e che sin qui è stata fatta dalla Deputazione amministratrice dell'istituto, salva l'approvazione del Consiglio comunale, mentre, secondo la proposta modificazione, dovrebbe d'ora innanzi essere di esclusiva, diretta dipendenza del Consiglio stesso. Tale proposta verrebbe ad alterare i rapporti esistenti tra la rappresentanza municipale e l'istituto di credito [...] A noi pare che tutto ciò che tende ad accrescere l'ingerenza del Consiglio comunale nelle cose del Monte dei Paschi sia da evitarsi, perché non può che nuocere, per la scarsa fiducia nelle attitudini dei consigli comunali ad occuparsi convenientemente di certe faccende. Quindi è da pensare che l'erogazione sarebbe fatta con criteri peggiori e con minor utilità pubblica di quello che non avvenga oggi. Ora i deputati del Monte, essendo nominati dal Consiglio comunale, da una parte si sentono assai più liberi nella loro azione e dall'altro sono indotti a deliberare con maggior ponderazione poiché le loro deliberazioni devono essere sanzionate dalla rappresentanza comunale, il che, all'occasione, permette di rimediare a qualche errore, mentre ciò non sarebbe possibile ove la facoltà di erogare gli utili fosse deferita al Consiglio comunale [...] Che se vuol dirsi il vero, bisogna riconoscere come, specialmente negli ultimi tempi, la Deputazione del Monte non sia stata restia ad accondiscendere ai desideri della rappresentanza cittadina, quando si è trattato di provvedere a certe opere e l'istituto non ha mancato di fare direttamente, come per la Piazza Salimbeni e per gli Istituti anatomici, o di contribuire largamente aiutando il Comune, come per il nuovo edifizio scolastico, per l'ex Convento delle Cappuccine, per la sistemazione dell'area e delle adiacenze del convento stesso" 24

"Il libero cittadino", 23 mar.1902.V. anche Proposte e modificazioni al regolamento del Monte dei Paschi, in "Il libero cittadino", 18 mag. 1902. In un ritrattino dedicato al Virgilii, la "Gazzetta di Siena" del 7 agosto 1910 lo definiva "socialista, riformista all'acqua di rose".

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Il medesimo Virgilii difese poi, sei anni dopo, la Deputazione e la sua politica finanziaria, messa duramente sotto accusa da tre consiglieri comunali della sua stessa parte politica, per i quali il Monte altro non era che "una specie di avanzo archeologico, poco capace di impiegare lucrosamente i capitali affidatigli dal pubblico" 25

La questione del Monte dei Paschi al Consiglio comunale, in "Il libero cittadino", 19 genn. 1908. I tre consiglieri socialisti erano Gianni, Martini e Ricci.

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"Il libero cittadino" commentò questi attacchi scrivendo: "Non crediamo che giovi al Monte, specie presso una parte della clientela diffidente per natura, questo continuo dibattito in seno a un consesso che non sembra il più atto a discutere interessi così delicati e complessi come quelli di un istituto di credito" 26

Il Monte dei Paschi al Consiglio comunale, in "Il libero cittadino", 23 genn. 1908.

. Non ostante ciò, appena un mese dopo, la questione Monte tornava a campeggiare sui giornali senesi per l'approvazione d'una delibera del Consiglio comunale, secondo la quale gli utili della banca sarebbero stati da allora in poi erogati direttamente dal Comune, senza proposte della Deputazione. La cosa fu salutata dalla "Gazzetta" come "una vittoria democratica" 27

Una vittoria democratica, in "Gazzetta di Siena", 16 feb. 1908.

, ma Cesare Bartalini replicò al giornale, di cui era ancora assiduo collaboratore, che - secondo lui - una decisione presa in un Consiglio comunale a maggioranza monarchica non poteva chiamarsi democratica e poi che il Comune di Siena, tutore dell'amministrazione del Monte, non poteva legalmente amministrare gli utili di quello 28

A[vvocato] B[artalini] C[esare], Monte dei Paschi, in "Gazzetta di Siena", 23 feb. 1908.

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A parte le motivazioni ideologiche, la sostanza della critica di Bartalini era la stessa del foglio conservatore "Il libero cittadino", che il 16 febbraio 1908 scriveva di "una vera e propria diminutio capitis della Deputazione" e di "un'ingerenza ed un compito che al Consiglio comunale non compete, mentre esso, colla nomina dei deputati, ha sempre modo, volendo, di far prevalere certi criteri" 29

Tra Comune e Monte dei Paschi, in "Il libero cittadino", 16 feb. 1908.

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Il Ministero dell'Agricoltura, Industria e Commercio, in seguito a un ricorso contro la delibera comunale presentato da alcuni cittadini senesi, ritenne illegale detta deliberazione e il sistema dell'erogazione degli utili proseguì secondo le norme statutarie del 1872, funzionando - secondo l'espressione del provveditore Sonaglia - come "perenne Fonte Gaia della beneficenza cittadina" 30

Rapporto del provveditore, in Monte dei Paschi di Siena, Conto consuntivo per l'esercizio 1914, Siena 1915, p. 14.Vedi le cifre qui pubblicate delle erogazioni del Monte alle istituzioni di assistenza e beneficenza pubblica e per l'incremento dell'arte e della cultura dal 1761 al 1924 (da Per il terzo centenario del Monte dei Paschi di Siena (1625-1924), Siena, Lazzeri, 1925, pp. 87-89).

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Gli utili, infatti, crescevano insieme con lo sviluppo del Monte dei Paschi, che coi suoi 96 milioni di depositi nel 1910 era al secondo posto in Italia fra gli istituti aventi carattere fondamentale di Cassa di risparmio. Ormai il Monte aveva succursali anche a Firenze, a Livorno, a Lucca e in altre diciassette città; aveva "affiliate" in altre undici e agenzie in altre quattro. Era insomma diventato "un grande istituto regionale" ed era perciò "logico e doveroso - come affermava il suo consulente legale Pachetti nel 1914 - che esso si affermasse in tutti i luoghi dove aveva già la sua cerchia d'affari da difendere e da sviluppare" 31

Monte dei Paschi di Siena, Rendiconto della gestione 1913, Siena 1914, pp. XIV-XV.

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"Il Monte - continuava Pachetti - è un istituto complesso che ha funzioni svariatissime, di cui alcune sono a lui tutte speciali. Tale è ad esempio l'esercizio del Credito fondiario e agrario, che egli deve esplicare e diffondere specialmente nei luoghi più vicini al suo centro d'azione. Il suo titolo, la 'cartella fondiaria', ha bisogno di essere sostenuto e apprezzato e ciò non può farsi che per il tramite delle filiali, le quali ne curino la propaganda e il collocamento nell'interesse non tanto dell'istituto, quanto della stessa proprietà fondiaria. Egualmente è necessario che egli assicuri centri adatti di smaltimento e di applicazione degli ingentissimi capitali che raccoglie. Per tali e altre ragioni, che sarebbe troppo lungo enumerare, l'espansione del Monte è stata una necessità. Certamente tale espansione ha assunto una forma che si presta a censura, giacché le nostre succursali sono state create come dipendenze della Sezione Cassa di risparmio. Sta di fatto però che esse funzionano nell'interesse di tutta la nostra organizzazione e di tutte le Sezioni dell'istituto. La loro istituzione sotto l'egida della Cassa di risparmio dipende da ragioni di opportunità e di organizzazione amministrativa, che possono essere anche transitorie. Senza dubbio la nostra Cassa di risparmio nel suo attuale ordinamento compie funzioni che esulano dalla modesta sua origine e natura, ma ciò fa sotto l'usbergo del vecchio padre, il Monte dei Paschi propriamente detto" 32

Ivi.

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Vignetta in "La Gazzetta di Siena", 10 febbraio 1917.
Le censure cui accennava l'avvocato Pachetti si riferivano proprio allo smodato sviluppo della Cassa di risparmio (che nel 1903 aveva assorbito anche il Credito agricolo) rispetto al "vecchio Monte dei Paschi suo genitore" 33

Cesare Bartalini, Il Monte dei Paschi, istituto della città di Siena, in Miscellanea Senese, Siena,Tip. Cooperativa, 1916.

. In tal modo si temeva che il complesso delle operazioni potesse sfuggire alla tutela del Comune di Siena per finire invece - attraverso la legge speciale sulle Casse di risparmio - sotto il controllo del potere esecutivo dello Stato.
Non tutti, però, condividevano questi timori 34

Cfr., per esempio, F. Virgilii, Il Monte dei Paschi nel 1911, in "Gazzetta di Siena", 14 lu. 1912 (l'articolo era già stato pubblicato in "L'Economista").

, auspicando semmai una riforma statutaria che riunisse la Sezione Centrale del Monte e la Cassa di risparmio in un solo organismo, da assoggettare alla legge 15 luglio 1888. Per studiare questa riforma il provveditore Mario Ciani formò una Commissione, di cui facevano parte anche Achille Loria e Cesare Ferrero di Cambiano, presidente della Federazione delle Casse di risparmio.
Nel marzo del 1914 si diffusero in Siena certe voci, secondo cui alcuni membri della Deputazione, d'accordo col prefetto, avevano intenzione di riformare lo statuto del Monte per togliere al Comune la prerogativa di nominarne i deputati. In quel momento la cosa sarebbe stata possibile per la presenza al Comune di un Commissario regio, in sostituzione del Consiglio dimissionario. Il colpo di mano non riuscì, ma vale la pena soffermarsi sulla questione della crisi comunale per cominciare a conoscere un personaggio, la cui biografia si legherà alla storia del Monte dei Paschi per un trentennio.
Scheda Tematica
Niccolò Piccolomini provveditore e presidente

Il bilancio in pubblico

Al conte Niccolò Piccolomini (1821-1895), uno dei "padri storici" del moderno Monte dei Paschi, spetta il merito di aver voluto rendere pubbliche le annuali relazioni di bilancio dell'istituto. Sua fu anche l'idea di una pubblicazione enciclopedica sulla banca, che l'erudito Narciso Mengozzi avrebbe realizzato, tra il 1891 e il 1925, in nove volumi.
Nella teoria di ottimati che si succedono alla guida del Monte dei Paschi nella seconda metà dell'Ottocento una posizione eminente per carisma e tenacia programmatica spetta a Niccolò Piccolomini. Che a suo modo fu un innovatore. Intanto volle che le relazioni annuali relative agli sviluppi e ai risultati conseguiti dalle aziende riunite nel Monte diventassero di pubblico dominio: un non banale avanzamento all'insegna della trasparenza. Il conte fu membro della Deputazione dal 1867 al 1868, quindi dal 1871 al 1875, provveditore dal 1876 al 1880, infine presidente dal 1881 al 1884 e dal 1889 al 1892: la sua fu una vita nella banca. Che, grazie a lui, diventò meno misteriosa. A spingerlo al gran gesto fu il desiderio di guadagnare in legittimazione rendendo noti gli obiettivi raggiunti. Ma per l'incontrollabile eterogenesi dei fini l'effetto fu una maggior conoscenza dei meccanismi dell'istituto e un rapporto più spedito con l'opinione pubblica. A lui risale anche l'idea di varare le enciclopediche Note storiche compilate da Narciso Mengozzi. Anzi, stando alla premessa all'opera - maggio 1891 -, si può dire che l'impresa storiografica nasce in burocratica continuità con il lavoro di rendicontazione statistica svolto di norma dagli uffici. Durante il periodo del suo provveditorato Piccolomini aveva avuto modo di apprezzare l'opera del ragioniere-capo, Giovanni Weber, e in ottemperanza a un voto unanime della Deputazione fu deciso di estendere la raccolta dei dati risalendo fino alla fondazione stessa del più antico dei comparti amministrativi, cioè al Monte Pio, istituzione "filantropica" tra le prime a comparire in Italia.
Pienza, palazzo Piccolomini, cortile interno.
Ma una pura esposizione di dati sarebbe stata troppo arida se non accompagnata da un inquadramento più ampio che mettesse in relazione la dinamica delle varie aziende con gli avvenimenti politici della Repubblica senese e con quelli delle coeve "repubbliche medioevali italiane". Si trattava di proseguire il lavoro cominciato da Luciano Banchi e interrotto per la morte di quel geniale sindaco e direttore d'archivio. Netta è la dipendenza dalla visione sismondiana dei caratteri delle repubbliche: incubatrici di quell'intreccio tra fervore economico e spirito di libertà che l'epopea risorgimentale avrebbe avvalorato a etico fondamento unitario. La tensione associativa che percorse le città e i borghi dell'Italia non si disperse e anzi suscitò ammirazione in tutta Europa. Studiare i luoghi dove quei germi di civilizzazione avevano dato i primi loro frutti era istruttivo e avrebbe dato una spinta decisiva all'Italia nel suo farsi nazione. La convergenza di interessi tra protagonisti dell'economia e ceto politico verificatasi nella fase eroica aveva paradigmaticamente dimostrato l'efficacia dei continui scambi di ruolo: una sorta di permanente e benefico conflitto. Non c'era idealizzazione in Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi e i riferimenti che via via Mengozzi trae dalla sua basilare Histoire de la renaissance de la liberté en Italie, de ses progrés, de sa décadence et de sa chute - apparsa in prima edizione a Londra e a Parigi nel 1832 - attestano un'analisi critica senza sconti. In una "République marchande" era inevitabile, secondo lo storico ginevrino, che si formasse un'oligarchia "non meno orgogliosa della nobiltà né di essa meno ambiziosa ed avida di un potere esclusivo" e, a fine Quattrocento, "Venezia, con la sua gelosa aristocrazia, Siena e Lucca anch'esse governate da una casta di cittadini, pur essendo ancora delle repubbliche, non erano affatto governi popolari, e non ne avevano più l'energia".
Pienza, palazzo Piccolomini, loggiato.
Pienza, palazzo Piccolomini, sala delle armi.
Luciano Banchi,che non apparteneva alla proliferante genia degli eruditi-agiografi del luogo metteva in guardia da un'edulcorata e artificiosa esaltazione dei Comuni medioevali: dove "la libertà vera non esistette… E chi sogna e sospira quelle Repubbliche pur tanto gloriose non pensa alla misera condizione che era fatta alla maggior parte del popolo". In ciò Banchi allargava lo iato tra la fase iniziale della nascita dei Comuni e l'espansione più tarda, ma monca dal punto di vista politico-istituzionale, delle effimere repubbliche della penisola. Chi non si accordava con pagine di forte rigore era Mengozzi, che tracciava un moralistico e frusto parallelismo con gli uomini dei suoi giorni, inaccostabili "agli uomini di quel tempo", allorché "erano ignote molte delle virtù e non poche delle ipocrisie della odierna società".
Stemma di Niccolò Piccolomini, presidente del Monte dei Paschi dal 1881 al 1884 e dal 1889 al 1892.
Niccolò Piccolomini, d'altro canto, aveva promosso la gigantesca compilazione per farne strumento di civica e professionale pedagogia, convinto che all'esperienza diretta delle cose fosse utile accoppiare la conoscenza del retroterra storico: "i suoi suggerimenti - scrisse Pietro Rossi nel necrologio del conte, morto nella sua Pienza il 23 gennaio 1895, settantaquattrenne - assumono, specialmente nell'esercizio del credito, un'entità ed una potenza tanto maggiori, quanto più vasto è il periodo di tempo da cui emergono". Dall'energico presidente era anche venuto "l'impulso più costante - aggiunse Rossi - all'incremento e allo sviluppo dell'Ateneo senese per il quale fu sempre cooperatore zelantissimo di ogni provvedimento che valesse ad assicurarne e migliorarne le sorti".
Niccolò Piccolomini aveva ricoperto una quantità di cariche da impressionare, come conveniva a un nobile della sua statura, "ultimo del suo ramo gentilizio". Con Niccolò si estinse, infatti, il ramo dei Della Triana e suo erede fu Silvio di Enea Piccolomini Carli. L'opuscolo commemorativo ufficiale indugiava con lapidaria incisività sugli anni lunghi del Monte: "Abbandonato / l'ufficio di provveditore del Monte / per causa di salute / vi restò sempre col cuore / ne presiedé l'amministrazione / come cosa propria / contraccambiato / dall'affetto dei funzionari / che in vita lo considerarono / ed in morte lo piangono / padre dell'Istituto"
Vai alle referenze bibliografiche

3. La Banca Toscana e la Succursale di Roma

In occasione delle elezioni politiche del marzo 1909 il candidato liberale Enrico Falaschi, nel discorso tenuto durante un banchetto, dichiarò che riconosceva di essere stato eletto nelle precedenti elezioni "anche con i voti e per i voti dei cattolici, ma che da questa onta sperava di potersi lavare nelle elezioni allora imminenti. Non ci voleva altro - ricordò poi Francesco Ponticelli - per suscitare una giusta reazione nelle file cattoliche [...] e cioè quella di rifiutare ogni accordo con i cosiddetti 'costituzionali'" 35

Francesco Ponticelli, Origini e sviluppo in Siena dell'azione sociale e politica dei cattolici militanti, in "Costone", n.u., Siena 1955, p. 4.

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I cattolici decisero, perciò, di astenersi dal voto, offrendo così la vittoria al socialista Quirino Nofri. Per ricostruire il partito liberale dopo questa amara sconfitta nacque l'Unione Monarchica "Umberto I", che ripropose lo stesso Enrico Falaschi come candidato nelle elezioni politiche del 1913. L'Unione non si curò di un'altra candidatura, appoggiata da molti consiglieri comunali liberali, dal prefetto e da buona parte dell'aristocrazia senese: era quella di Alfredo Bruchi, un avvocato di quarantaquattro anni, grossetano, che aveva lavorato a Genova nello studio di Francesco Ruffini. Stabilitosi a Siena, dove il padre Valentino aveva un avviato studio legale, Bruchi fu eletto per la prima volta consigliere comunale nel 1899, ricoprendo in seguito anche vari assessorati. Nel 1911 la "Gazzetta di Siena" scriveva che al Comune egli era "depositario fedele di ambo le chiavi del cuor di Bandinello [il primo cittadino Mario Bianchi Bandinelli Paparoni], onde il sindaco vero è stato sempre lui" 36

"Gazzetta di Siena", 1° genn. 1911.

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Presentatosi come indipendente alle elezioni politiche del 1913, non rispettando gli accordi presi con l'Unione liberale per un unico candidato, Bruchi fu violentemente attaccato dai due giornali liberali di Siena "Il libero cittadino" e "La Lupa", che lo accusarono di aver tradito il partito e di aver rovinato le finanze comunali nella sua qualità di assessore ai lavori pubblici. Egli si difese dalle colonne del foglio nazionalista "Vedetta senese" e organizzò un'intimidatoria campagna elettorale, riuscendo a sconfiggere il Falaschi ed entrando in ballottaggio col candidato dei socialisti riformisti Quirino Nofri. Le votazioni di ballottaggio videro la netta vittoria di quest'ultimo, che ottenne anche molti voti liberali. La sconfitta del Bruchi fece entrare in crisi il Consiglio comunale, che fu sostituito - come già detto - da un Commissario regio.
Fu lo stesso Commissario che, di lì a poco, bandì il concorso nazionale per il posto di provveditore del Monte dei Paschi, resosi vacante per la malattia di Mario Ciani, che occupava la carica dal 1909. Proprio alla vigilia delle elezioni amministrative, forse col deliberato proposito di sottrarre la nomina alla rappresentanza cittadina, il Commissario riunì la Commissione giudicatrice perché esaminasse subito le domande dei settantatré concorrenti. La Commissione presentò una terna di nomi, fra cui il Commissario, nel giugno 1914, scelse quello di Giuseppe Sonaglia, direttore della Cassa di risparmio di Parma.
Nel suo primo rapporto sull'esercizio 1914 Sonaglia accennò al critico momento che anche il Monte aveva dovuto passare in seguito ai drammatici avvenimenti della trascorsa estate: "La conflagrazione europea - scrisse - scoppiata alla fine del luglio 1914, par dovesse a un tratto travolgere irreparabilmente nella sua multiforme devastazione i più potenti istituti di credito. Gran parte dei depositanti, non solamente delle banche di credito ordinario, ma delle Casse di risparmio maggiormente note per la sicurezza degli investimenti, si affollarono agli sportelli seminando la più assurda delle sfiducie, sconcertando gli amministratori e i direttori, tanto che il governo, onde evitare guai incalcolabili, fu costretto ad intervenire prontamente e ad autorizzare la limitazione dei rimborsi. Nel nostro istituto, sia presso la sede, sia presso le dipendenze, non s'ebbe la pazza corsa agli sportelli, quantunque i rimborsi sopra una massa di depositi di 147 milioni, in agosto abbiano superato i versamenti di lire 3.269.640, 98 e in settembre di lire 806.941, 52" 37

Monte dei Paschi di Siena, Conto consuntivo per l'esercizio 1914, Siena 1915, p.11.

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In realtà anche a Siena, dopo l'ultimatum austriaco alla Serbia, molti furono coloro che ritirarono i propri risparmi al Monte dei Paschi, preoccupati del pericolo di un imminente conflitto europeo. La banca senese riuscì però a controllare bene la liquidazione dei depositi e le violente oscillazioni dei valori di Borsa, applicando con discrezione il decreto governativo del 4 agosto, che consentiva di ritirare solo il cinque per cento sui depositi fino al 20 dello stesso mese, procedendo regolarmente nelle operazioni di conto corrente e limitandole alla regione toscana 38

ASS, Prefettura 135, fasc. 34: Affari relativi al Monte dei Paschi.

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L'improvvisa crisi segnò invece duramente altri piccoli istituti locali, come la Banca Popolare di Montepulciano e la Cassa di risparmio di Volterra, prime vittime d'una situazione economica che andava facendosi ogni giorno più difficile 39

Camera di commercio, industria e agricoltura di Siena, Relazione statistica 1914, Siena 1915, pp. 16-17.

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Il salone della filiale di Firenze del Monte dei Paschi in palazzo Orlandini del Beccuto.
I giornali senesi, testimoni di questa situazione e portavoce delle varie fazioni politiche, appaiono impegnati in questo periodo, come quelli di tutto il resto d'Italia, a difendere le diverse posizioni di fronte alla guerra in atto. Da una parte c'erano, infatti, liberal-nazionalisti e cattolici, convinti difensori - pur con una forte pregiudiziale pacifista di questi ultimi - della Triplice Alleanza e quindi dell'impegno che l'Italia avrebbe dovuto rispettare nei confronti degli alleati tedeschi e austriaci. Dall'altra c'erano i repubblicani, ideologicamente legati alla Francia laica e rivoluzionaria, animati da ideali mazziniani e garibaldini e spinti da motivi irredentistici a chiedere l'intervento contro l'Austria. Decisamente neutrali e contro la guerra i socialisti, sia riformisti che "ufficiali".
Caricatura dell'on. Enrico Falaschi, poi presidente del Monte, in "La Gazzetta di Siena", 15 novembre 1914.
La dichiarazione di neutralità dell'Italia, che Vittorio Emanuele III confermò il 3 agosto 1914, provocò l'esplicita minaccia della rappresaglia tedesca e austriaca e il commosso ringraziamento francese, ma non riuscì a placare l'ardore della polemica fra "triplicisti", pacifisti e interventisti. Soprattutto questi ultimi videro man mano crescere l'entusiasmo nelle loro file, mentre il forte aumento di alcuni generi alimentari e il dilagare della disoccupazione resero ancora più difficili le scelte del governo.
Nella prima metà di agosto lo sciopero dei fornai per il rincaro della farina lasciò per due giorni la popolazione senese senza pane e più di mille operai furono licenziati nella provincia per la sospensione del lavoro in varie fabbriche, dove mancavano le materie prime a causa della critica situazione dei rapporti commerciali in tutta Europa 40

ASS, Prefettura 135, fasc. 47: Disoccupazione operaia e affari generali.

. Ai disoccupati locali si unirono i molti braccianti e operai, che - emigrati in Germania, Francia e Belgio - dovettero rientrare in patria. I circondari di Siena e Montepulciano avevano il più alto tasso d'emigrazione della Toscana con 938 emigrati; di questi, ben 772 rientrarono all'inizio di agosto, quando i divieti governativi d'esportazione di alcune merci, come il mercurio prodotto dalle miniere amiatine, resero ancora più drammatico il problema della disoccupazione 41

Ivi.

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In questo clima si fecero sempre più dure nei giornali radical-repubblicani e social-riformisti le invettive contro la neutralità dell'Italia. A Siena il "Dovere socialista" riuscì a smascherare il corrispondente dalla Germania della nazionalista "Vedetta" - un certo Sguazzini - che risultò pagato dal governo tedesco per diffondere notizie addomesticate 42

"Vedetta senese", ag. 1914, nn. 213-240 e "Dovere socialista", 4 ott. 1914.

e giustificò poi il comportamento di Mussolini al Congresso di Bologna, dichiarando che i socialisti riformisti non dovevano cristallizzarsi nella comoda formula della neutralità 43

"Dovere socialista", 31 ott. 1914.

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Mentre sempre di più saliva la febbre interventista e anche i nazionalisti senesi della "Vedetta" abbassavano un po' il tono del loro acceso triplicismo, alcuni operai protestarono contro la guerra alla partenza delle reclute della classe 1895 dalla stazione di Siena 44

ASS, Prefettura 135, fasc. 29: Partiti politici e ordine pubblico.

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C. Coppedé, foglio di propaganda per il "Prestito della Vittoria", 1916. AMPaschi, Cassa di risparmio 1756.
Un mese dopo, nel gennaio 1915, una folla di popolani senesi impedì il comizio di due socialisti interventisti e al grido di "abbasso la guerra" manifestò di fronte alla prefettura per il caro-pane. Ma l'opinione pubblica era stata colpita anche dalle parole del belga Lorand, che nel gremitissimo Teatro della Lizza parlò del suo paese invaso e distrutto dalla "barbarie teutonica" 45

"Il libero cittadino", 17 dic. 1914.

. Un gruppo di socialisti sindacalisti e repubblicani, riunito nella Casa del popolo nell'anniversario della morte di Guglielmo Oberdan, fondò il Fascio Interventista, nel quale confluirono i sentimenti francofili e irredentistici della classe colta. A favore della guerra erano, infatti, molti professori e studenti universitari senesi, che univano, per l'influenza dominante dell'associazione massonica "Corda Fratres", i motivi interventistici con quelli anticlericali.
La notizia delle dimissioni del presidente del Consiglio Antonio Salandra suscitò anche a Siena, il 15 maggio 1915, una manifestazione a favore dell'ambizioso ministro e della guerra; un corteo di studenti dell'Università e del Liceo, ai quali si unirono alcuni cittadini, sfilò nelle vie del centro, scontrandosi con un gruppo di neutralisti e di soldati in libera uscita. Di lì a poco la fiducia a Salandra e quindi l'entrata in guerra dell'Italia furono salutate a Siena dal tricolore, che il Consiglio comunale fece issare sulla Torre del Mangia.
Pochi giorni prima lo stesso Consiglio aveva nominato i nuovi deputati del Monte dei Paschi, fra cui Alfredo Bruchi, che occupò quasi subito la carica di vice-presidente per le dimissioni del capitano d'artiglieria Carlo Mocenni, partito per il fronte. Fu proprio il Bruchi, insieme con l'altro deputato Elia Coli, a presentare il rapporto sul conto consuntivo del 1915, dove si assicurava che, non ostante "l'imperversare del terribile conflitto europeo", il Monte "poté esplicare normalmente la sua vita", aumentando gli utili netti dell'anno precedente di circa mezzo milione di lire 46

Monte dei Paschi di Siena, Conto consuntivo per l'esercizio 1915, Siena 1916, p.XI.

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Vignetta su Alfredo Bruchi in "La Gazzetta di Siena", 14 luglio 1917.
L'anno dopo Alfredo Bruchi firmò da solo il Rapporto allegato al conto consuntivo dell'istituto come provveditore reggente. Nel giugno 1916, infatti, Giuseppe Sonaglia era stato chiamato a dirigere il Banco di Roma e i deputati del Monte avevano affidato quell'incarico al Bruchi in attesa dello svolgimento di un nuovo concorso. Per esaminare le 88 domande presentate, il Comune di Siena nominò una Commissione di cinque membri, due dei quali si affrettarono a rinunciare alla nomina e non furono sostituiti. I tre commissari superstiti formarono una graduatoria dove figuravano i direttori di quattro Casse di risparmio (Vercelli, Voghera, Cesena e Macerata) e il consulente legale dell'Opera Pia San Paolo di Torino. Fra costoro il Consiglio comunale avrebbe dovuto scegliere il nuovo provveditore del Monte, ma la maggioranza dei consiglieri per ben due volte votò scheda bianca, annullando in pratica il concorso, non ostante la minaccia di dimissioni del sindaco conte d'Elci, che "in uno scatto di legittima indignazione" parlò di "complotto organizzato" 47

"Gazzetta di Siena", 24 mar. 1917.

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Tre mesi dopo Alfredo Bruchi rassegnò le dimissioni dall'ufficio di provveditore reggente e mentre la "Gazzetta di Siena" imbastiva una campagna contro di lui, ripetendo che il Monte dei Paschi non doveva essere "né il palio al procacciantismo elettorale, né il palio alla fortuna" 48

Ivi,16giu.1917.

, il 28 giugno 1917 il Consiglio comunale lo nominava provveditore con diciotto voti favorevoli e undici schede bianche.
Uno dei primi provvedimenti preso dal Bruchi fu quello di autorizzare le dipendenze della Cassa di Risparmio del Monte a raccogliere depositi anche per conto della Sezione Centrale. "In fondo - spiegò il nuovo provveditore - la distribuzione in Sezioni ha carattere puramente interno ed è ignota alla gran massa della nostra clientela. Questa non conosce che il Monte dei Paschi, lo considera giustamente come istituto unico, ne sa le antiche origini [...] Non era giusto né conforme alle tradizioni storiche che la Sezione Centrale, ossia il vecchio Monte dei Paschi, dopo aver creato la Sezione Cassa di risparmio e amorevolmente provveduto al suo sviluppo, dovesse quasi scomparire o ridursi a condurre una vita stentata. Il provvedimento preso le conferisce nuovo prestigio e vigore, ed io amo scorgervi il principio di quella unicità, alla quale, anche per ragioni di semplicità amministrativa e contabile, deve tendere l'istituto, ritornando così al suo solo ed antico nome e alle sue originarie caratteristiche" 49

Rapporto del provveditore, in Monte dei Paschi di Siena, Conto consuntivo per l'esercizio 1918, Siena 1919, p. 16.

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L'entrata in guerra dell'Italia nel 1915 e la conseguente "chiamata alle armi" causarono notevoli vuoti anche fra le file dei circa novanta impiegati del Monte. I "richiamati" furono sostituiti da una quarantina di giovani e giovanissimi, assunti come "straordinari" col compenso di 45 lire mensili e senza alcun diritto di conservare il posto al ritorno dei reduci. Uno di quei giovani - Agostino Parrini, nato nel 1900 e chiamato "il cucciolo" - entrò al Monte in calzoni corti; alcuni altri, senza particolari agevolazioni, parteciparono ai primi concorsi per l'assunzione di personale, banditi dalla banca negli anni immediatamente successivi al primo conflitto mondiale. Vincitore di uno di quei concorsi fu Guido Jappini, un diciassettenne fresco di "licenza tecnica" e destinato a una brillante carriera nell'istituto.
Federigo Papi , Medaglia commemorativa in bronzo, 1925.
Nell'ultimo anno di guerra furono assunte le prime due donne - Sofia Carli e Corinna Masini - come dattilografe e alla ragioneria della Sezione Centrale, allora al secondo piano del palazzo Spannocchi, entrò in funzione la prima macchina addizionatrice, una Burrough's molto ingombrante, su cui fecero pratica gli "apprendisti di ragioneria" 50

Gino Mugnaini, I ragazzi del '900, in "Il Monte. Notiziario aziendale", II (1963), n. 11, pp. 20-21; Idem, La prima Burrough's, ivi, III (1964), n. 2, p. 9 e Francesco Raffaelli, Jappini, ivi,VI (1967), n.1,p.8.

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Col nuovo provveditore fu deciso di aprire una Succursale a Roma, "ove il Monte - informò Bruchi - specie in materia fondiaria ha già numerosi e importanti rapporti" 51

Rapporto del provveditore, in Monte dei Paschi di Siena, Conto consuntivo per l'esercizio 1917, Siena 1918, pp. 14-15.

. In realtà questa Succursale romana creò per alcuni anni problemi e polemiche, tanto che lo stesso Bruchi, nel rapporto annuale del 1924, dichiarava di aver cercato "adeguati rimedi [...] alle perdite verificatesi in Roma" 52

"La Scure", 21 giu. 1924.

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Altre polemiche suscitò l'appoggio offerto dal Monte all'Annona comunale, ben vista dai negozianti senesi, contrari invece all'Ente Autonomo di consumo creato nel 1917 dall'"Umanitaria", un'associazione di previdenza e mutuo soccorso fra gli operai, sorta nel 1913 dal ceppo della vecchia Società di mutuo soccorso per opera dell'avvocato Salvatore Donatini.
Amico del giovane Mussolini, che nel 1903 si era rivolto a lui per ottenere un mutuo dal Monte dei Paschi per l'acquisto di una casa 53

La lettera di Mussolini fu battuta nel 1980 a un'asta di Sotheby's. Faceva parte di un gruppo di documenti citati nel catalogo come "manoscritti di Mussolini". Sui rapporti fra Donatini e Mussolini v. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario. 1883- 1920, Torino, Einaudi, 1965, p. 34.

, Donatini dirigeva il battagliero giornale socialista "... nel Campo di Siena", dove - in seguito a un processo per diffamazione da lui subìto nel 1922 - pubblicò roventi accuse contro Alfredo Bruchi e i suoi numerosi amici. Queste accuse, confermate nove anni dopo dall'onorevole Nazareno Mezzetti, presidente della Confederazione nazionale fascista dei sindacati bancari e membro del Gran Consiglio (ma anche ex ispettore della sede centrale del Monte dei Paschi), prendevano le mosse dalla presunta formazione, intorno alla persona del Bruchi, d'una sorta di clan, che i senesi chiamavano usualmente "il partito del ciancico, denominazione - scrisse Donatini - che ne riproduceva a meraviglia il programma" 54

"... nel Campo di Siena", 29 ott. 1922, numero straordinario, p.70.

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Scheda Tematica
La sala delle adunanze

Bicameralismo imperfetto

Il 24 novembre 1897 la Deputazione amministratrice del Monte teneva la sua prima riunione in una sala delle adunanze interamente riarredata e ridecorata. Da Bartalozzi a Cambi, da Corsini a Brunacci, vi erano stati coinvolti nomi tra i migliori dell'artigianato d'arte del tempo. Le due vere "anime" del progetto, il presidente Piccolomini e l'architetto Partini, erano scomparse due anni prima.
L'iniziativa fu proposta da un gruppo di intagliatori rattristati per lo scarso interesse che la loro produzione, una volta osannata, stava riscuotendo. Carlo Cambi, Tito Corsini, Angelo Querci e altri presero carta e penna e indirizzarono agli amministratori del Monte una lettera con la quale chiedevano qualche provvedimento efficace a contrastare il declino di una tradizione che a Siena vantava notevole rigoglio. E la Deputazione non se lo fece dire due volte. L'8 luglio 1892 deliberò di commettere agli scriventi e ad altri membri della corporazione dimenticata un lavoro degno dell'istituto e confacente al nuovo volto che andava assumendo. Si incaricò il solito Giuseppe Partini di redigere un progetto adeguato, nella consapevolezza che anche un'operazione di arredo avrebbe dovuto intonarsi all'insieme e osservare rigorosi criteri. Così, nel settembre, il presidente Niccolò Piccolomini fu in grado di varare un progetto che dava alla sala delle adunanze della Deputazione amministratrice una compatta dignità formale. L'assetto che la sala avrebbe assunto sarebbe stato il culmine, all'interno del palazzo, della strutturazione conclusa, per l'esterno, fin dal 1887. Quando vi si tenne la prima seduta, il 24 novembre 1897, né il Piccolomini, che ne aveva ardentemente sostenuto la realizzazione, né il Partini, che ne era stato il coerente interprete, assistettero all'evento.
Siena, Palazzo Pubblico, sala del Consiglio.
Siena, palazzo Salimbeni, sala della Deputazione amministratrice progettata da Giuseppe Partini e inaugurata nel 1897.
Adunanza della Deputazione amministratrice della banca tenuta il 31 dicembre 1931. Al centro, seduto alla scrivania, il presidente Alessandro Sergardi; alla sua sinistra, in piedi, il provveditore Alfredo Bruchi.
Erano entrambi morti nel 1895, l'uno il 23 gennaio, l'altro il 14 novembre, in una coincidenza che si può marcare a data periodizzante della vicenda del Monte: entrambi erano stati esigenti e solidali dioscuri in tante condivise imprese, paladini di un'idea della banca che considerava lo stile da conferire agli ambienti il corrispettivo di un programma politico. Per tratti non secondari del cammino il loro contributo era indivisibile. Il nuovo presidente, Pietro Ciacci, aprì la seduta inaugurale con parole che esprimevano una soddisfazione che andava al di là del compiacimento estetico: "La decorazione di questa sala - si limitò a dire -, che per tanti pregi artistici forma oggetto della nostra ammirazione, non fu eseguita (…) per una vana ostentazione di fasto, che certo mal si addirebbe a un Istituto il quale serba gelosamente antiche tradizioni di severa e corretta amministrazione". Si era puntato ad accrescere con "opere d'arte di eccellenti professionisti della nostra città" il decoro di spazi da elevare al rango di sedi di alto governo, di ristretto parlamento di ottimati. A eseguire l'opera erano stati chiamati i più bei nomi di un'arte nobilissima, apprezzata non solo in patria. Carlo Bartalozzi aveva partecipato a lavori fatti eseguire a Firenze dal principe Demidoff, una sua credenza era stata premiata all'Esposizione di Parigi del 1867 e ottenne un bel successo pure all'Esposizione mondiale di Filadelfia. Al laboratorio di Carlo Cambi era stata ordinata da Chicago, dalla Compagnia Pullmann, la costruzione di vagoni lignei. Tito Corsini, autore del banco e del seggio presidenziale, era un promettente giovane, che si era messo in luce alle Esposizioni generali di Palermo e di Torino. Gaetano Brunacci, docente di ornato all'Istituto di Belle Arti affrescò la volta e con tale maestria da ricevere successivamente l'incarico della decorazione di ascendenza peruzziana, che dava sulla piazzetta del fondaco dei Salimbeni. Ciaccicitò uno per uno i nomi dell'affiatata équipe e minutamente espose le voci di spesa di tutti gli elementi, legati tra loro in sistematica affinità: intagli, dorature, stucchi, stoffe, tappezzerie, lumiere in ferro battuto, pavimenti. Nulla era lasciato al caso.
Si rammaricò che l'"egregio Gentiluomo", per lungo tempo alla guida delle sorti del Monte, non avesse visto il compimento di un disegno sostenuto con tanta forza. In effetti era stato Niccolò Piccolomini a insistere perché a molti artisti senesi fosse offerta la chance di "dar prova del loro valore", e lo fece per perseguire un orientamento non mosso solo da propensioni estetiche. A motivare la sua volontà stavano due obiettivi concomitanti: rafforzare il senso d'identificazione con il Monte nei cittadini senesi e proiettare a livello nazionale una formidabile operosità artistica.
Giuseppe Partini.
Anche il Comune, a seguito dell'aumento del numero dei consiglieri, dovette individuare una sala del Palazzo Pubblico dove continuativamente tenere le riunioni del massimo consesso cittadino. Decise alfine, dopo un mucchio di controversie, di attrezzare e adeguare allo scopo la sala del Capitano del Popolo, con un impegno non inferiore a quello profuso dalla banca. Per gli intagli lignei si rivolse a Carlo Bartalozzi, che disegnò le poltrone, e per le decorazioni pittoriche e le scritte dei cartigli incaricò Gaetano Brunacci. Così le due sale, quella più raccolta e senatoriale di piazza Salimbeni e quella, aperta e accogliente, del Comune, a lavori conclusi mostravano una certa assonanza. E non era solo una medesima intonazione stilistica. Erano i luoghi nuovi di una sorta di bicameralismo, che ci teneva a comunicare propositi di armoniosa convergenza in un austero e accattivante stile. Aristocratico e popolare.
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4. La gestione Bruchi

Alfredo Bruchi aveva saputo trovare fedeli alleati di diversa collocazione politica, cercando di sfruttare a dovere le occasioni che gli si presentavano per raggiungere determinate posizioni di potere. Nell'autunno 1919, per esempio, solo un piccolo infortunio sentimentale e i conseguenti pettegolezzi provinciali gl'impedirono di partecipare alle elezioni politiche come candidato del Partito Popolare, fondato proprio in quell'anno da Luigi Sturzo. Dodici mesi dopo riuscì, però, a formare un policromo 'blocco' composto da liberali, repubblicani, radicali, cattolici e nazionalisti per battere di misura i socialisti nelle elezioni amministrative. "Non sembri azzardato supporre - ha scritto Achille Mirizio - che proprio le sorti del Monte abbiano consigliato i popolari senesi a fare una scelta non in linea con le indicazioni ufficiali del partito" 55

Achille Mirizio, I buoni senesi. Cattolici e società in provincia di Siena dall'unità al fascismo, Brescia, Morcelliana, 1993, p. 588.

. Quasi dovunque, infatti, in Italia il Partito Popolare aveva preferito presentare liste proprie e "l'iniziativa senese era talmente eterodossa che la direzione centrale del partito sospese i dirigenti della sezione senese, invitando l'assemblea a eleggerne altri" 56

Tamara Gasparri, La Resistenza in provincia di Siena. 8 settembre 1943-3 luglio 1944, Firenze, Olschki, 1976, p.9.

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La paura di una possibile vittoria socialista, con la conquista del Comune e del Monte dei Paschi, è bene espressa in un articolo del settimanale cattolico "La giustizia sociale" di Colle Val d'Elsa del 23 ottobre 1920: "Se i contadini verranno e lo distruggeranno [il Monte], allora sarà vero che son dei vostri, altrimenti persuadetevi che non sono delle vostre idee. Per questo dicevo che mi dispiace che non conquistiate anche Siena, perché spadroneggiando voi al Monte dei Paschi, chi sa?, si poteva sperare anche in un fallimento di quel colosso! Che bazza sarebbe per noi! Altro che bruciare puta caso, la Camera del Lavoro! Perché fra i frequentatori, e voi lo sapete, del famoso Monte, vi sono moltissimi che portano le cravatte e il bracciale rosso e gridano abbasso quando voi venite a chiacchierare per le borgate e campagne. Quello che circola in quella banca non è sangue cittadino, in città duran fatica a far pari, è roba campagnola, la qual roba di campagna, tanto da voi disprezzata quando non vi trovate davanti ai bifolchi, serve per mandare in automobile anche voi" 57

A. Mirizio, /i>I buoni senesi cit., p. 587.

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I cinque popolari eletti nel Consiglio comunale, fra cui Francesco Ponticelli, ormai fuori dal partito, giustificarono la loro adesione al "blocco" "convinti di aver adempiuto al loro dovere di cittadini e di popolari col non ricusare, in circostanze di eccezionale gravità, la propria partecipazione ad un blocco non di partiti, ma di uomini, che - organizzato dai Combattenti contro la minaccia rivoluzionaria - si fece propugnatore di un saggio e ardito programma nulla affatto in contrasto con quello del Partito Popolare Italiano" 58

"Il Popolo di Siena", 4 dic. 1920.

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Questo "blocco", nato in funzione antisovversiva, si disciolse nel 1922 "a causa di un contrasto sorto nei riguardi del Monte dei Paschi" 59

F. Ponticelli,Origini cit., p. 4.

, ma l'AssociazioneNazionale Combattenti, che ne era stata ufficialmente la promotrice, continuò ad appoggiare gli obbiettivi di quella coalizione attraverso le pagine de "L'Intervenuto" e de "La Fiamma", due giornali stampati nella tipografia che l'Associazione aveva acquistato grazie all'aiuto del Monte dei Paschi 60

Cfr. Le sorprese del blocco... al pomodoro e i denari del Monte dei Paschi, in "Bandiera rossa - Martinella", 13 ott. 1920.

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Carmela Ceccherelli, copertina dell'VIII volume de Il Monte di Narciso Mengozzi, Siena, 1920.AMPaschi, Mostra.
Anche attraverso questi giornali la borghesia senese intuì "che contro il veleno rosso si stava distillando l'antidoto" 61

Mario Bracci, Quelli che non marciarono, in "Il Ponte", ott. 1952 (ora in Idem, Testimonianze sul proprio tempo. Meditazioni, lettere, scritti politici (1943-1958), a cura di E. Balocchi e G. Grottanelli De' Santi, introd. di R. Vivarelli, Firenze, La Nuova Italia, 1981, p. 484).

e dalla quasi totale indifferenza con cui fu accolta la notizia della costituzione del Fascio senese nell'ottobre 1919 si passò ben presto alla simpatia e alla solidarietà verso quei "manipoli di gente giovane e risoluta", che prometteva ordine e difesa di pericolanti "valori" o interessi 62

Ivi.

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Il primo fascismo senese, come ricorda Mario Bracci, "fu immune da manifeste influenze capitaliste: figli della piccola e della minima borghesia (soprattutto piccoli commercianti, artigiani e impiegati) e addirittura popolani che avevano combattuto, di solito, nei reparti degli arditi, dove spesso avevano raggiunto il grado di sottufficiale e qualcuno di ufficiale, mutilati, sindacalisti che al tempo dell'intervento si erano allontanati dal partito socialista ufficiale: un combattentismo nazionalista e moderatamente ribelle che si fondava soprattutto sulle molte promesse che erano state fatte ai combattenti durante la guerra e che aveva a schifo gli arricchiti di guerra o 'pescecani', come si chiamavano, e gli 'imboscati'" 63

Ivi,p.482.Una testimonianza dello stesso genere è in Paolo Cesarini, Italiani cacciate il tiranno ovvero Maccari e dintorni, Milano, Editoriale Nuova, 1978, p. 142:"Ricordo la gran paura e il chiuder d'usci a Siena, quando si spargeva la voce che arrivavano i fascisti dell'Amiata, che erano picchiatori temuti, o comunque della provincia, magari guidati dal medico o dall'avvocato, ma artigiani, bottegai, piccoli agricoltori, operai, tutta gente minuta insomma".

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Poi le file s'ingrossarono, alimentate da molti studenti universitari, e nel 1921 anche a Siena "divampò lo squadrismo" e con esso "un fascismo risoluto, aspro e venato di spirito beffardo e crudele" 64

M.Bracci,Quelli che non marciarono cit., p. 482.

. Tristemente noto per l'estrema violenza delle sue azioni punitive nelle campagne, il fascismo senese trovò nell'assalto alla Casa del Popolo del capoluogo, avvenuto il 4 marzo 1921, l'appoggio ufficiale dello Stato e dell'autorità militare 65

Ivi,p.489. Vedi anche G. Boldrini, Gli Unni moderni. Come e da chi fu devastata la Casa del Popolo di Siena, Siena 1921; 4 marzo 1921; i fascisti all'assalto, in "nuovo corriere Senese", 4 genn. 1985 e Cinzia Gentile, La Camera del lavoro di Siena dalle origini al fascismo (1900-1921), Siena, Alsaba, 1991.

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A questo fascismo Alfredo Bruchi negò l'aiuto, anche insistentemente richiesto, del Monte dei Paschi e tale rifiuto gli sarà rimproverato più tardi dal già citato Nazareno Mezzetti, che in una lettera del 5 febbraio 1931 al vice segretario del Partito Nazionale Fascista delinea abbastanza chiaramente la posizione che il provveditore del Monte aveva assunto di fronte al regime e che può essere sintetizzata in una conclusiva frase della lettera stessa: "una grande forza economica come il Monte dei Paschi deve essere ancora fascistizzata nell'anno IX dell'era fascista!" 66

AMPaschi, Fondo Mezzetti 2: lettera di N. Mezzetti a Iti Bacci, Roma, 5 feb. 1931. Sul Mezzetti, autore di Dieci anni di politica sociale del Fascismo e di Mussolini per il suo popolo, vedi Giovanni Gigli, Nazareno Mezzetti, pref. di P. Orano, Roma, Casa Ed. Pinciana, 1928.

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La relativa autonomia del Bruchi, che si era iscritto al P.N.F. dopo il delitto Matteotti e che era stato eletto deputato nel 1929, derivava dalla protezione di cui egli godeva presso la corte, dalla stretta amicizia col segretario del P.N.F. Augusto Turati e dalla diffusa rete di alleanze che continuamente tesseva nell'ambito cittadino, tanto che lo si accusava di poter manovrare a suo piacimento i prefetti, i questori, i segretari locali del partito, i giornalisti e lo stesso corrispondente senese dell'Agenzia Stefani 67

Oltre la lettera sopra citata del Mezzetti, vedi anche un anonimo Memoriale al segretraio del P.N.F. Giuriati, allegato a una lettera di Iti Bacci al Mezzetti, da Roma, il 7 genn. 1930 (AMPaschi, Fondo Mezzetti 2).

. In tal modo, non ostante la "severa vigilanza" che i fascisti auspicavano sul Monte dei Paschi, illustrando nel marzo 1923 il loro programma 68

Conquista del Comune, in "La Scure, organo del Fascio senese", 3 mar. 1923.

, Bruchi riuscì a mantenere una certa indipendenza, che gli permise, per esempio, di far nominare presidente del Monte dei Paschi Alessandro Sergardi, un ex dirigente del gruppo liberale senese, che non volle mai iscriversi al P.N.F.; di ignorare le pesanti accuse di Salvatore Donatini relative ai bilanci del 1920 e 1921; di rintuzzare le critiche rivoltegli, all'interno della Deputazione, da due autorevoli membri quali Remigio Rugani e Francesco Avanzati, di provata fede fascista, costretti nel 1926 alle dimissioni; infine, di far approvare dieci anni dopo un nuovo statuto, nel quale i poteri del presidente e quelli del provveditore del Monte dei Paschi si concentravano in una sola persona: Alfredo Bruchi.
Carmela Ceccherelli, piatto posteriore della copertina dell'VIII volume de Il Monte di Narciso Mengozzi, Siena, 1920. AMPaschi, Mostra.
Nel quadro dell'organizzazione bancaria italiana, il Monte aveva ormai raggiunto una posizione di assoluto rilievo. Intorno all'Istituto unico di emissione, infatti, che regolava appunto l'emissione monetaria, faceva corona un piccolo gruppo di cinque istituti di credito di diritto pubblico, che - oltre il Monte - erano il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, la Banca Nazionale del Lavoro e l'Istituto San Paolo di Torino. Essi rappresentavano, come scrisse Giovanni Nicotra, "un complesso formidabile di forze finanziarie" 69

Giovanni Nicotra, Le vicende bancarie italiane dal 1926 a oggi, in "Rivista di politica economica", XXX (1940), p. 535.

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Caricatura di Alfredo Bruchi, provveditore del Monte dal 1917 al 1936 e presidente dal 1937 al 1944, in "La Gazzetta di Siena",9 ottobre 1926.
Per delineare brevemente le ultime tappe percorse dal Monte prima di giungere a questo prestigioso traguardo, si può prendere come punto di partenza la celebrazione che la banca senese fece nel 1925 del terzo centenario del "Monte non vacabile". In quell'occasione venne a Siena anche il re Vittorio Emanuele III, appassionato numismatico, che il Bruchi, appassionato bibliofilo, aveva saputo conquistare con appropriati doni di preziose monete antiche 70

Gl'interessi culturali del Alfredo Bruchi erano assai vasti, come rivelano alcuni suoi scritti di storia e letteratura, nonché la sua preziosa collezione libraria, ora a disposizione degli studiosi nella Biblioteca Comunale di Siena.

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Nel settembre 1927 il Monte, con altre dodici Casse di risparmio toscane, costituì l'Istituto Federale di credito agrario per la Toscana e su proposta del ministro dell'Economia Nazionale Giuseppe Belluzzo ne fu eletto presidente Alfredo Bruchi "per i suoi alti meriti bancari e per l'importanza dell'Istituto da lui diretto e rappresentato" 71

Per il credito agrario in Toscana. Il primato del Monte dei Paschi, in "Il Popolo senese", 10 sett. 1927.

. Nello stesso anno il Monte aggiunse ai suoi servizi esattoriali quello del Governatorato di Roma e due anni dopo intervenne a sanare il dissesto del Credito Toscano, che - fuso poi con la Banca degli Esercenti e la Banca di Firenze - dette luogo alla Banca Toscana 72

Cfr.P.Roggi, Il fascismo della sopravvivenza: la storia della BancaToscana dalle origini al 1940 e A. Fineschi, La storia della BancaToscana nel quadro delle vicende finanziarie italiane, in Banca Toscana. Storia e collezioni, Firenze, Nardini, 1982, pp. 15-92 e 169-210.

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L'intervento per il salvataggio delle tre banche fu per il Monte assai oneroso, ma l'acquisizione del pacchetto azionario del nuovo istituto da parte della banca senese accrebbe ancor più la sua potenza creditizia, grazie anche all'opera sagace del ragioniere-capo dello stesso Monte Aldo Serafini, nominato amministratore delegato della Banca Toscana. Stretto collaboratore di Serafini e poi abilissimo procuratore centrale della Banca Toscana per un trentennio fu un altro protagonista della più recente storia amministrativa e finanziaria del Monte dei Paschi: il già ricordato Guido Jappini, assunto come "impiegato straordinario" nell'aprile 1917. Divenuto poi sostituto provveditore del Monte, Jappini istituì nel 1933 l'Ufficio Organizzazione, che non solo distribuì razionalmente il personale, giunto a 2300 unità, ma diventò il vero "centro motore" della banca. Attraverso di esso, infatti, "si modificarono e si aggiornarono le forme di raccolta e di impiego, si innovarono procedure, si estesero i servizi e i rami di attività. Da una banca legata prevalentemente ai ceti agrari e fondiari, si passò gradualmente a soddisfare le multiformi richieste bancarie del mondo industriale e commerciale, in armonia con i cambiamenti che si stavano verificando nella società italiana. Si compì, insomma, come si direbbe oggi, una prima 'modernizzazione', fino ad arrivare - terza azienda bancaria in Italia sotto tale profilo - a muovere i primi passi nel campo della meccanizzazione, come allora si chiamava quella che poi è diventata l'automazione" 73

Vedi gli articoli di Piero Barucci,Aldo Menchetti e Delfo Orlandini dedicati a Guido Jappini in "LaVocedel Pensionato", organo dell'Associazione Dipendenti a riposo del Monte dei Paschi di Siena, sett. 1985.

. L'estensione dei servizi esattoriali a partire dal 1923 permise al Monte di conseguire adeguati profitti e - come avvenne per l'esattoria comunale di Napoli - di aprire uffici di corrispondenza, trasformati poi in Succursali. Tra il 1921 e il 1930 furono aperti 145 nuovi sportelli, che raggiunsero così il totale di 215, distribuiti in Toscana (177), Umbria (25), Lazio (11), Campania (1) ed Emilia (1).
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935.
Preparativi della cerimonia a Monte Oliveto per i festeggiamenti del terzo centenario del Monte dei Paschi di Siena, 1925.
Documento relativo a un mutuo contratto da Luigi Pirandello, 1928.AMPaschi, IV G 4.4
Alla banca senese, che aveva ormai raggiunto questi traguardi, il giornalista e scrittore Ezio Felici dedicò alcuni versi d'occasione, che non sono stati inseriti nella raccolta delle sue Opere e che qui si trascrivono a suggello di una storia secolare:

Monte dei Paschi: corre vittoriosa
la tua fama nel mondo
e ovunque imponi, con alti esempi
e chiare visioni,
la potenza tua vigile, operosa.
Gigante t'ergi sopra i trecent'anni
del tuo passato, e guardi all'armonia
come a una meta certa, ampia e serena;
ché 'l cor tuo pulsa libero di affanni
e a scudo hai un nome, ove tu debba ardire,
sacro all'Italia e caro al mondo: Siena
74

"Gazzetta di Siena", 4 nov. 1925. Di Ezio Felici vedi Opere, a cura di L. Oliveto e D. Sasson, scritti di G. Catoni, M. Ciampolini, C. Fini, L. Oliveto, A. Pezzo, D. Sasson, Siena, Betti Ed., 2009. Lo sviluppo dell'attività del Monte dei Paschi dal 1921 al 1935 è illustrato nei grafici qui pubblicati e riprodotti da Monte dei Paschi di Siena, Grafici, Siena, Lazzeri, 1936.

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Scheda Tematica
I nove volumi di Narciso Mengozzi

Cronaca con morale

Tra il 1891 e il 1925 venivano pubblicati i nove volumi de Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende in esso riunite, un enciclopedico, formidabile repertorio a disposizione degli storici. L'autore, Narciso Mengozzi (1842-1925), già a trent'anni era segretario del Monte, e a sviscerare la storia dell'istituto per il quale lavorava dedicò tutta la vita.
I nove volumi - più il sommario e le appendici - che Narciso Mengozzi compilò con strenua disciplina per tutta una vita non sono una storia del Monte, ma una labirintica enciclopedia, o meglio, secondo la pertinente e onorevole etichetta di Franco Venturi, un'"indispensabile" quanto "ampia cronaca economica". Una cronaca: perché i documenti, e i fatti, sono passati in rassegna o descritti o raccontati in sequenza senza preoccuparsi di trarne il sugo, di collegarli in uno svolgimento d'insieme che ambisca a finalizzata organicità. Talché la fatica di Mengozzi mette capo a un gigantesco repertorio, pronto a esser compulsato o saccheggiato da chiunque si accinga a scrivere su Il Monte dei Paschi di Siena e le aziende in esso riunite, come suona con inventariale esattezza il titolo. Economica: perché i fili conduttori sono i fenomeni dell'economia, anche se Mengozzi non ignora affatto la cornice politica che si fa più rilevante via via che ci si avvicina ai giorni suoi, per quell'andamento annalistico che fatalmente, come un fiume, s'ingrossa verso l'estuario e rischia di tracimare. Indispensabile, perché Mengozzi non trascurò alcun testo che avesse una qualche funzione, sia pure laterale o incidentale, per comprendere le vicende di una banca assai plurale: un'azienda fatta di diverse e caratterizzate aziende. L'enciclopedia, che si conclude con il 1880, cominciò a uscire dai torchi della Tipografia dei Sordo-Muti nel 1891 - ma era stata avviata su iniziativa del conte Niccolò Piccolomini fin dal 1884 - e il nono volume reca la data del 1925, l'anno della morte dell'autore, scomparso, appunto, il 30 novembre 1925. A Siena Narciso Mengozzi era nato il 17 gennaio 1842 e nel 1871 rivelò giovanissimo, da consigliere della Società di storia patria senese, una spiccata vocazione per gli studi storici. Nemmeno trentenne, era già segretario del Monte: fu un uomo-istituzione, cioè una di quelle persone che s'identificano a tal punto con l'incarico che coprono da assumerlo come missione totale. E a Siena spesso questa identificazione portò a esplorare la storia dell'ente che si era chiamati a guidare.
Stemma nell'atrio d'ingresso della Banca Monte dei Paschi di Siena.
La ricerca archivistica favorì candidature per le quali il curriculum culturale costituiva sicura legittimazione: archivisti promossi a sindaco, eruditi battaglieri alla testa di associazioni di difesa del patrimonio artistico, notabili in vena di esplorazioni archeologiche. Il gusto per la storia sovrastava ogni altra scelta. Pietro Rossi definì a ragione Mengozzi un "degno continuatore di quella piccola ma eletta schiera di eruditi e di storici che a Siena hanno procurata e mantenuta da secoli quella fama di civiltà di cultura, e quella purezza di linguaggio, per cui è giustamente celebrata nel mondo civile". È sintomatico che si dia risalto alla purezza della lingua come a una delle qualità eminenti. A epigrafe della sua fatica, non condotta certamente in solitario - Alessandro Lisini, direttore dell'Archivio di Stato fu prodigo di consigli - Mengozzi pose l'epigrafe latina che Lodovico Antonio Muratori aveva collocato sulla soglia del Diario senese di Allegretto di Nanni Allegretti: dove quasi ci si scusava di proporre una cronaca su cose di lieve momento (levis momenti) e perdipiù di interesse tanto locale da risultar molto care (gratissima) ai soli senesi, poiché di loro si tratta. Questa restrizione al locale da un lato esprime l'effettivo intento di resuscitare patrie glorie, dall'altro non è priva di una modestia molto retorica. Mengozzi in realtà fu regista sapiente di un'operazione storiografica, come esigeva la temperie postunitaria. In essa intrecciò con abilità dimensione senese e storia nazionale appoggiandosi su una filosofia politica e una visione dell'economia che ne facevano molto più di una ricostruzione documentaria. Mengozzi confessa, in uno dei passaggi dai quali fa trasparire il suo metodo di lavoro, una netta diffidenza verso il contributo che "una cultura letteraria poco sostanziosa" avrebbe potuto dare alla società e al progresso, pur ritenendola "una fiaccola" utile per illuminare la via. Dunque ancora un'insistita profferta di modestia e l'affidamento alle carte di una funzione civile, sulle orme di uno storicismo diventato luogo comune ideologico del ceto dirigente. Una funzione pedagogica di marca desanctisiana è la molla che sostiene l'imponente macchina monumentale ed è orgogliosamente rivendicata dall'autore: "… giova sperare che essa non riesca inutile, mercé l'insegnamento che può ricavarsi dalla nozione dei mali passati, a suggerire qualche difesa preventiva contro quelli futuri". E con l'abituale sentenziosità postillava: "Giacché ogni epoca deve inesorabilmente portare il modesto fardello dei propri, reso non di rado più grave dagli effetti di quelli anteriori".
I nove volumi del Monte dei Paschi e le aziende in esso riunite, integrati dal Sommario di notizie storiche e statistiche di Narciso Mengozzi, in una splendida legatura artistica.
Mengozzi non aveva una formazione accademica. Le citazioni di opere famose o gli omaggi a noti autori convocati a conferma permettono di farsi un'approssimativa idea delle tendenze che l'attivissimo segretario prediligeva. Tra gli storici di Siena spiccano Giugurta Tommasi e Umberto Benvoglienti. La nascita del primo Monte Pio, incunabolo parabancario dei successivi, non lineari, sviluppi, è collocata su uno sfondo di decadimento delle libertà civili e si erge a compensarlo e a contrastarlo. Anche in lui agisce il culto di Sismondi per le repubbliche italiane, mentre la visione del Rinascimento riluce di un primato essenzialmente estetico: "Negli atti della politica si faceva per chiari segni manifesto, come la vanità prevalesse all'amor della gloria e la cupidigia sottentrasse all'ambizione". Il riferimento - quasi all'inizio del lungo percorso - a Pasquale Villari, dal febbraio 1891 ministro della Pubblica istruzione, e al suo fortunato libro su La storia di fra Girolamo Savonarola era qualcosa di più d'un vezzo d'erudizione: faceva intravedere un legame non incidentale con la scuola economico-giuridica e con un'impostazione che accordava il massimo spazio ai profili istituzionali e alle motivazioni economiche. Non infrequenti erano le citazioni in funzione gnomica o asseverativa. Da Michele Amari e dal suo racconto della Guerra del Vespro Mengozzi trae l'ammonimento che è "necessaria per natura nei costumi dei popoli una mescolanza di buono e di tristo", e che fondamentale pertanto è che il popolo abbia "fede nella giustizia del proprio governo". Il che, a suo parere, calzava a pennello con le ripetute tensioni proprie di una città divisa da continui sospetti e sconvolta da ricorrenti conflitti interni.
Una vena di laico moralismo prorompe in controcanto. Verso la Chiesa romana Mengozzi non ha alcuna indulgenza e appena un documento può esser invocato a provare che a Siena gli ebrei avevano, tutto sommato, un trattamento più benevolo e tollerante - "un'esistenza sicura e discretamente tranquilla almeno finché durò la Repubblica" - di quello che riscuotessero a Firenze ne fa un vanto. Per gli ebrei non esita a esprimere ammirazione: "L'abilità e la perseveranza di quella razza sapeva vincere ogni ostacolo".
Nonostante il crudo realismo che lo porta a condividere una sconsolata sentenza di David Hume secondo il quale "Nothing opens the eyes of men so readily as their interest" (The history of England, vol. I, c. VII, p. 96), Mengozzi nutre una sconfinata fiducia nel progresso. La sua idea di Risorgimento dipende in buona misura dalle pagine fresche di stampa di Carlo Tivaroni, che vede nella Grande Rivoluzione la matrice del riscatto nazionale italiano. Esplicitamente antimediceo, schierato apertamente coi Lorena, il segretario fattosi storico ammira in Sallustio Bandini il profeta senese del verbo liberoscambista, anche se non lo monumentalizza acriticamente e anzi ci tiene a mettere in guardia contro chi ne tesse lodi smodate come contro chi ne riduce il peso. È a favore di un intervento pubblico morbido: concorda con Romagnosi e Genovesi nella convinzione che "chi governa troppo, governa male". Difetto che in Toscana non fu mitigato, cosicché "la stessa borghesia - è ancora Tivaroni - non apprezzò abbastanza la semplicità e la economia dell'amministrazione introdotte da Leopoldo".
Tra il progetto pubblico originario e il dopo corre una netta continuità. Se il Monte di Pietà esordisce come "istituto filantropico sorto a combattere gli eccessi usurari", o "istituzione filantropica nata per sola iniziativa civile", gli organismi che confluiranno nel Monte-banca non ne smentiscono i fini di sollecita solidarietà. Questo carattere è il leit-motiv che riaffiora nel tortuoso cammino del Monte, che, malgrado cadute e riprese, riattiva il suo mai cancellato ruolo quando c'è urgenza di opporsi a una crisi, quando occorre frenare la decadenza: Deus ex machina di un'inattaccabile religione nel progresso. Condivideva la filosofia dal sentore massonico di Alfred Tennyson: "La vita attraverso i secoli corre verso un fine che si appalesa ognor più grandioso. E insieme all'evoluzione degli astri si svolge ognor più potente l'umano pensiero". E di Proudhon gli piaceva citare un principio sacrosanto: "Une institution qui a besoin de la foi publique ne peut être exploitée dans un interêt privé".
Narciso Mengozzi si occupò intensamente di arte e con una curiosa raccolta di Lettere intime di artisti senesi valorizzò con fini sondaggi biografici la scuola purista. Negli ultimi anni si ritirò in corrucciata solitudine. "Come un'onda di tristezza - scrisse a commiato Rossi - aveva invaso la sua anima e annebbiato il suo spirito, un tempo così giocondamente lieto". Una cupa uscita di scena.
Ma chi fu veramente costui? Possibile non darne neppure un ritratto? Mengozzi sapeva che appropriarsi, conoscere e insegnare la storia era anche un mezzo per affermare un potere che si estendeva dal passato al presente: un potere totale. Se sono sue le fattezze e i modi di colui che - non nominato da un malevolo corsivista - è ritratto nella "Gazzetta senese" del 14 giugno 1908, Mengozzi aveva un caratteraccio, e fu regista autoritario della traversata dei secoli del Monte: "Reazionario per combattere, autocrata, oppressivo per istinto, mentre si è sempre mantenuto estraneo alla vita dell'Istituto sia nella sua esplicazione finanziaria, sia nella sua applicazione amministrativa, ha ignorato sempre (incredibile ma vero) le più elementari formule delle più elementari disposizioni del regolamento del Monte e ha passato il suo tempo nell'ozio curando la sua nevrosi e cercando solo a ogni ora, a ogni minuto l'occasione di soddisfare l'infrenabile bisogno di sfoghi biliosi...". E pure il capolavoro, in nove volumi e più, è abbondantemente sottratto ai suoi meriti individuali, avvalorando sospetti che in un critico recensore insorgono ad apertura di pagina: "All'infuori dell'ormai famosa storia il cui merito deve - come a lui - attribuirsi anche agli Archivisti dello Stato, del Comune e degl'Istituti che ne hanno raccolto i dati, che egli ha avuto solo la fatica di ordinare e di trascrivere; all'infuori di questa opera - sia pur lodevolissima e magari anche commendevole - egli mai ha inzuppata la penna per un lavoro di ufficio". Invidia di collega o giustificabile ridimensionamento?
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Nella narrativa di Federigo Tozzi

Una cambiale da duemila lire

Nelle opere di Federigo Tozzi (1883-1920), da Con gli occhi chiusi al Podere, il denaro è un elemento cruciale dell'esistenza umana, tema-chiave del pessimismo dell'autore. La sua stessa biografia è percorsa dal tormento di ipoteche e cambiali. Anche per lui il Monte dei Paschi era la banca per antonomasia.
La narrativa di Federigo Tozzi non va ascritta al repertorio verista, né - tanto meno - parzialmente catalogata tra le prove intinte di rustico regionalismo toscano. Lo scrittore senese sta alla pari con Pirandello e Svevo nell'inaugurare una scrittura del profondo finalizzata a restituire gli opachi e misteriosi sussulti dell'anima, il buio dei pensieri, l'assurdità degli atti. Ciò non significa che non si sentano in certe sue pagine echi profondi di una città scrutata, percepita e rappresentata come luogo del destino: un labirinto di sghembe prospettive, un intrico di ombrose e silenziose vie, con uomini e donne che le attraversano in fuga, inquieti e frettolosi, attanagliati da feroci egoismi, perseguitati da malevolenza e miseria, da rancori e raggiri. Un parossistico attaccamento alla roba e una risicata lotta per la sopravvivenza coinvolgono fattori e assalariati, piccoli proprietari e avidi commercianti. Lo spettro del fallimento esistenziale assume spesso le forme della rovina economica. In controluce traspaiono angosciose traversie, vissute in prima persona. Una sottesa tensione autobiografica affiora in situazioni che chiedono rischiose scelte e scommesse audaci. La vicenda di Remigio Selmi nel Podere rispecchia abbastanza fedelmente dirette esperienze dell'autore. A un certo punto il protagonista ha bisogno di soldi, di un migliaio di lire. L'avvocato al quale si rivolge per ottenere utili consigli, non lo incoraggia: "Non so se al Banco di Roma te le vorranno dare, senza che io ne parli al direttore; come feci l'altra volta. Ma se non te le danno lì, non importa. C'è il Monte dei Paschi, la Banca Popolare… oppure si trovano da qualche amico. Vuoi provare al Monte dei Paschi?". Disarmato, Remigio si affida a questa saputa mediazione: "Come mi consigli tu". Gli vien detto di prendere subito almeno duemila lire per non dover tornare a batter cassa di lì a poco. L'avvocato chiama un suo collaboratore e gli ordina perentorio: "Vada a comprare una cambiale di duemila lire; lei ci farà la firma come su quella del Banco di Roma, da accettante; e, poi, la porti, a nome mio, al Monte dei Paschi". Remigio tira un respiro di sollievo, prova una fiera soddisfazione nell'apporre la propria firma da giratario e quando torna a casa rinfaccia alla matrigna di non avergli detto che lei voleva aver concrete garanzie con un'ipoteca sulla casa. La matrigna non ebbe pace finché l'ipoteca non fu trattata e non si convenne, in presenza di un avvocato, sulle nuove condizioni. Le difficoltà creano inimicizie, urtano contro i sentimenti. Avvocati e notai manipolano accortamente le norme di legge a dispetto della chiarezza. La cambiale allenta la paura, suscita immotivate speranze. "Remigio - prosegue la narrazione - aveva preso le duemila lire con la seconda cambiale; e con i denari nel portafogli si rianimava; credendo perfino, che a forza di pazienza, sarebbe riuscito a togliere tutti i debiti". Anche Lorenzo Fondi in Miseria si trova nei guai e anche in lui la paura del dissesto diventa dolore fisico: "Si sedé, con un sudore freddo alla fronte, come quando si hanno le nausee del vomito. Soffriva in un modo indicibile, all'idea delle cambiali e dei debiti. Si sentiva rovesciare l'anima. Quante volte, piuttosto che fare una nuova cambiale, avrebbe preferito di cadere in terra morto, forte e sano, appena di ventisette anni!".
Siena,"Il Sasso" all'Arco dei Rossi in via Cavour, oggi Banchi di Sopra.
Le due banche esplicitamente citate sono Monte dei Paschi e Banco di Roma. L'onomastica tozziana deforma o sostituisce gli originali. Per le persone attinge agli usi più in voga nelle campagne. Per le mappe urbane conserva perlopiù le targhe effettive. Ma la trattoria paterna, "una delle migliori della città", s'ingentilisce in "Il Pesce Azzurro" da "Il Sasso" che era per gli avventori. Nel caso delle banche Tozzi non adotta schermature. Il Banco di Roma aveva la sua sede nella via parallela al Corso, a due passi dalla Libreria dei Torrini. Il Monte dei Paschi era la banca per antonomasia e la denominazione serbava un sentore antico, che non doveva dispiacere al gusto arcaizzante di un lessico sottratto alla banalità.
L'attacco di Con gli occhi chiusi mette in scena il padre Ghigo (ribattezzato Domenico Rosi) che fa i conti dei guadagni d'una giornata: "Gli si strinsero le dita toccando due biglietti da cinquanta lire; e, prima di metterli nel portafogli di cuoio giallo, li guardò un'altra volta, piegati; e soffiò su la fiammella avvicinandocisi con la bocca". Questa verifica tattile dei biglietti traduce in sensazione i risultati contabili. La gestualità del babbo-padrone è affine a quella dei cassieri di banca e tornerà in mente a Tozzi in una famosa osservazione di critica letteraria: un periodo congegnato male da un cattivo scrittore è facilmente distinguibile da un periodo scritto male da un buon scrittore dal momento che suona come una carta moneta falsificata: "Non è possibile ingannarsi, quando ci s'ha un poco di pratica! Come il cassiere di banca, che sente subitamente se un biglietto è falso o è buono".
Federigo Tozzi al tempo di Novale.
Per il sostentamento proprio e della sua famiglia, Federigo Tozzi dovette far affidamento sul magro affitto del podere Castagneto e, soprattutto, sui pagamenti che riusciva a ottenere dagli editori e dalle riviste. È probabile che abbia anche fatto ricorso a qualche ipoteca: in una sua lettera da Roma - del 24 agosto 1917 - alla moglie, che si trovava a Siena, Federigo parla della difficoltà nell'inviarle almeno parte della "mesata", perché non poteva "maltrattare" gli editori esigendo subito da loro il dovuto, e alla fine le raccomanda di ritirare presso il notaio Del Puglia la ricevuta di un'ipoteca. Si sa che ipoteche e cambiali sono state un suo tormento subito dopo la morte del padre, quando dovette svendere la fortunata trattoria e il podere di Pecorile per far fronte alle richieste dei debitori. La crisi dell'immediato dopoguerra la visse sulla sua pelle. E, a suo modo, percepì che avrebbe condotto a sbocchi imprevedibili, e che faceva tutt'uno con la crisi della politica e il rinnovamento al quale erano chiamate le arti: "I vasti problemi economici - scrisse su "Il Messaggero della Domenica" del 19 gennaio 1919 - , che non erano negli abbachi degli uomini di governo, hanno ripercussioni d'ogni specie, e obbligano gli uomini ad avere pensieri insoliti e nuovi. In questo caso come il nostro, i movimenti rivoluzionari, anche se fatti con altri scopi, compiono una parte che è molto simpatica, perché i loro effetti, oltrepassando le spinte iniziali, ci porteranno a spiegazioni profonde e benefiche; a chiarificazioni sociali da cui dipenderanno anche le leggi di una probabile arte nuova; perché concepita con altri desideri e altre esperienze".
Federigo Tozzi al tempo di Novale.
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