FILODIRETTO7 - n. 23 del 29/12/2006
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SE FOSSI GIOVANE RINASCEREI… BANCARIO!
Intervista a Gabriele Lavia

Regista e attore teatrale e cinematografico, nasce a Milano nel 1942 e da molti anni è cliente dell'Agenzia Sede di Banca Toscana a Massa. Nella sua carriera ha curato la regia di numerose opere teatrali ed al momento è in tour con "Memorie dal sottosuolo" di Dostoevskij. La sua esperienza cinematografica è da vero eclettico: come attore ha esordito in "I Nicotera" (1972) , fino ad arrivare, passando per film come "Profondo rosso" (1975) o "La leggenda del pianista sull'oceano" (1998), al recente "Salvatore - Questa è la vita" (2006). Ha inoltre scritto e diretto "Il principe di Homburg" (1983), "Scandalosa Gilda" (1985), "Sensi" (1986) e "La lupa" (1996).

Come è nato il suo rapporto con Banca Toscana?
La sorella del mio socio lavora in Banca Toscana e quindi, conoscendo bene la persona, mi sono subito rivolto a lei apprezzandone soprattutto la chiarezza nelle spiegazioni. Le banche tendono in genere ad usare un gergo incomprensibile. Personalmente infatti non capisco assolutamente nulla del gergo bancario, come ad esempio "dare" e "avere". Se io lavorassi in banca semplificherei molto e renderei comprensibili le comunicazioni con i clienti: è un'esigenza avvertita da molti, soprattutto da chi, come me, non ha molte conoscenze in campo economico. Per questo mi sono rivolto a persone che sanno illustrarmi le cose in un linguaggio più chiaro.

Lei è stato definito milanese per sbaglio, siciliano di fatto, romano d'adozione. Quale posto manca in questa descrizione, ma che sente suo?
Non c'è nessun luogo tra quelli che mi sono stati assegnati, che mi rispecchia realmente. Ho sempre cercato di attingere il meglio dall'anima di una città, di una regione, ma senza mai legarmi in profondità ad essa. Credo, infatti, che un ottimo esercizio per un attore, ma non solo, sia quello di non sentirsi mai a casa propria, ma di sentirsi sempre in viaggio. Alle definizioni di questo tipo, che spesso mi vengono assegnate, non aggiungerei nulla, ma anzi toglierei tutto.

Non solo teatro, ma anche cinema. Cosa della sua esperienza teatrale ha cercato di portare nel cinema? E cosa del cinema nel teatro?
È difficile dare una risposta a questa domanda. Di sicuro ho portato qualcosa della mia esperienza teatrale nel cinema e viceversa, ma non saprei descrivere esattamente cosa. Quando lavoro porto sempre me stesso in ogni opera ed in ogni personaggio. In ogni avventura artistica che intraprendo cerco sempre di mettere a frutto le mie esperienze passate e, nel contempo, di prendere da esse spunti utili per le mie avventure future.

A febbraio sarà a Siena con Memorie dal sottosuolo. Cosa l'ha affascinata di quest'opera?
È un'opera meravigliosa di Dostojevskij, che esprime il problema del sottosuolo di un uomo, del sottosuolo dell'anima, della condizione di un uomo solo con se stesso che si pone delle domande fondamentali per l'esistenza.

A proposito di "domande fondamentali" per l'uomo, in una recente intervista ad un settimanale nazionale, lei ha detto "Sono ateo, e come ogni ateo ho il problema centrale di Dio: nessun teista penserà a Dio quando ci pensa un'ateista". Ma cosa pensa un ateo di Dio?
Il pensiero su Dio non è un cosa o un come, ma, in questo caso, il pensiero è un "perché". È solo per la nostra estrazione culturale che crediamo che un problema debba essere risolto e che nel momento in cui noi lo "ri-solviamo", cioè lo "ri-sciogliamo", tale problema non esista più. Invece, un ateo non tenta di risolvere ma accetta l'esistenza di questo "perché". Un credente avendo la soluzione non si pone l'interrogativo. Io, invece, ho scelto di non avere soluzioni, ma di pensare al problema in sé e di accettarlo come tale.

Ritornando al teatro, c'è una rappresentazione che ancora non è riuscito a mettere in scena ma che vorrebbe fare?
Tutto vorrei fare, ma non avrò più tempo per farlo perché ormai ho una certa età e potrò fare solo pochissime cose. Se avessi il tempo, vorrei rifare tutte le cose che ho fatto per rifarle meglio. Per quanto riguarda la scelta di un'opera penso che sia molto saggio tirare una monetina. Lasciar scegliere al caso. È un buon metodo, almeno il più profondo che io conosca. Tutto il resto vuol dire che cominciamo a ragionarci su, e la ragione guarda perché sa solo quello che si ha avuto il tempo di imparare, quindi pochissimo.

Che cosa consiglierebbe ad un giovane che vuole intraprendere questa carriera? Cosa ha consigliato a suo figlio?
Al giorno d'oggi, ad un giovane che vuole avvicinarsi al mondo del teatro, consiglio innanzitutto di trovarsi un buon lavoro, come lavorare in una banca del Gruppo Monte dei Paschi, ed iniziare facendolo per hobby e poi vedere se quella del teatro sia veramente la propria strada.