FILODIRETTO7 - n. 14 del 27/10/2006
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LUCARELLI, 10 ANNI DI SERIE A E UN MONTE DI GOAL


Classe 1975, professione "centravanti di sfondamento", è Cristiano Lucarelli il "cliente più" di questa settimana. Livornese, gioca nella squadra della sua città ed è cliente dell'agenzia 4 della Banca Monte dei Paschi di Siena a Livorno. Nella sua carriera ha segnato 152 reti in 366 gare ufficiali. L'esordio in Serie A, con l'Atalanta, il 31 agosto 1997 (Atalanta - Bologna, 4-2). Quello in Nazionale l' 8 giugno 2005 per Italia - Serbia (1-1).
Toscano e cliente di un grande Istituto toscano. A quando risale la scelta del Monte dei Paschi?
Venendo a giocare a Livorno ero cliente decennale di un'altra banca, però sinceramente non riuscivo mai a trovare quel lato affettivo che secondo me ognuno deve avere con la propria banca. Un rapporto che non deve essere un freddo calcolo matematico. Nel momento in cui ho scelto di interrompere il legame con la mia vecchia banca, mi sono guardato intorno e, tra i vari istituti che ho girato, quello che mi ha dato la sensazione di capire le esigenze delle persone, che mi ha dato più sicurezza, che mi ha dato più la sensazione di forza bancaria, di avere le spalle larghe, è stato il Monte dei Paschi. Ho capito la personalità della Banca, una personalità forte. La rottura del mio vecchio rapporto è stata quindi l'occasione di venire al Monte e di iniziare un legame che spero sia lungo e duraturo e soprattutto che continui ad essere sereno e complice come lo è stato fino ad ora.

Hai esordito nel mondo dello sport a 15 anni, partecipando ad alcuni tornei locali. Poi il Cuoiopelli nel 1992, fino ad arrivare in C1, con il Perugia, nel 1993. Quando hai capito che potevi diventare un campione?
Sinceramente all'inizio non avevo la consapevolezza di poter sfondare. Avevo tantissima voglia di giocare a pallone e sono andato avanti più per passione che per altro. Ho fatto delle tappe, sono partito dalla Promozione, l'Eccellenza, l'Interregionale, e sono ormai dieci anni che gioco in Serie A. Guardandomi indietro, posso dire che è stata la mia grande passione che mi ha portato ogni volta a raggiungere gli obiettivi. La consapevolezza l'ho trovata strada facendo, superando i vari ostacoli.
Fino al termine della scorsa stagione hai disputato 366 gare di vari campionati professionistici, segnando 152 reti. Quale il tuo ricordo più bello?
Considerando che ho sempre lottato per non retrocedere, e l'unica soddisfazione di aver vinto il campionato me la sono levata l'anno della B, la promozione in serie A con il Livorno è stato sicuramente il momento più bello. Anche perché ho sempre giocato per il pane e mai per il filetto. Ma quella volta abbiamo giocato per il filetto.
Esordio con gol in nazionale nell'amichevole contro la Serbia. Cosa ricordi di quella partita?
Di quella partita ricordo praticamente tutto. Sono sensazioni che non si cancellano. Tra l'altro io con gli esordi sono stato sempre fortunato, perché anche quando ho esordito in Serie A ho fatto gol, in Atalanta-Bologna. A 30 anni non speravo più di arrivare in nazionale, invece ce l'ho fatta e ho arricchito la carriera, ma soprattutto, anche se a 30 anni, sono riuscito a realizzare il sogno di ogni bambino che gioca a pallone, quello di giocare in Nazionale.
E il futuro? Resterai nel mondo del calcio, magari come allenatore, oppure cambierai attività?
Quello che mi piacerebbe sarebbe insegnare calcio ai bambini, dando la possibilità di giocare anche a quelli che non hanno le possibilità economiche che oggi servono per iscriversi ad una scuola calcio. La mia idea sarebbe quella di usare il calcio per fare del sociale, per fare delle attività che tolgano i bambini da strada e permettano di trasmettere quei valori che secondo me non sono importanti solo nello sport ma anche nella vita.
Il tuo procuratore, Carlo Pallavicino, ha scritto il libro "Tenetevi il miliardo", sulla tua decisione di non abbandonare il Livorno anche a costo di dimezzarti lo stipendio. Il testo si chiude con queste parole "Livorno, che non è solo una squadra o una città, ma anche una delle forze che salveranno il calcio". A proposito delle ultime vicende che hanno coinvolto il mondo del pallone, quali sono secondo te le cose che vanno cambiate nel sistema calcio?
Io cambierei tutto. Dalla "A". Alla "Z". Soprattutto perché vedo che cambiano i presidenti e i dirigenti, ma in fin dei conti sono sempre gli stessi. Gente che ritorna in auge magari dopo una decina d'anni di purgatorio. Cambierei soprattutto le persone che ormai da anni governano il calcio e farei dirigere gente che ha giocato come Mazzola e Rivera. Le regole vanno riscritte, ma vanno riscritte da persone che hanno giocato a calcio e non dalle televisioni. Andare a giocare a Gennaio a Torino, di sera, a meno dieci gradi, penso che vada a discapito del calcio. Inoltre proverei a rinnovare gli stadi. Li renderei più accoglienti sul modello inglese. Dove le famiglie arrivano tre ore prima della partita però hanno la possibilità di pranzare di comprare i giochi per i propri figli di comprare gadget della propria squadra del cuore. Farei diventare lo stadio un centro multi-funzione, all'interno del quale si gioca anche una partita di calcio. Aumenterei anche l'accoglienza degli stadi: andare allo stadio e prendersi l'acqua addosso perché piove non mi sembra giusto, anche tenendo conto di quanto costano i biglietti oggi. Si spiega anche così il calo delle presenze allo stadio.
Eri in vacanza alle Maldive quando c'è stato lo tsunami che ha distrutto il Sud Est asiatico. Cosa ricordi di quei momenti?
Di quella esperienza mi ricordo che presi i miei figli e cercai di raggiungere il punto più alto dell'isola. Che però non esisteva. Perché alle Maldive le isole sono tutte in piano. Non c'è riparo, non c'è niente. E' stata davvero una situazione brutta. Anche se lì per lì non ci siamo resi conto della portata dell'evento, perché alle Maldive è arrivata solo la parte finale dello tsunami. Poi quando siamo arrivati a casa ci siamo resi conto della gravità di quanto era successo, ci siamo sentiti davvero dei miracolati.
Sposato con Suzy, hai due figli: Mattia e Alisia. Anche loro avviati alla pratica sportiva?
Mattia gioca già al calcio. Anche lui con buoni risultati, anche se non posso seguirlo molto. Sono andato un paio di volte a vederlo ma cerco di evitare perché penso che la presenza dei genitori durante la partita carichi troppo di ansia i figli. Alisia fa equitazione e danza. Credo che lo sport sia un modo per responsabilizzare i bambini: in questo modo prendono un impegno e cercano di portarlo avanti. Prendere un impegno vuol dire maturare abbastanza in fretta. Al di là dello sport che si sceglie, fare sport vuol dire fare una vita sana, eliminando gli eccessi: un atleta non va a letto tardi, mangia sano e ha una disciplina da rispettare.
Cosa consigli ad un giovane che vuole sfondare nel mondo del calcio?
Di crederci, anche se è difficile sfondare. Ma un giovane non deve dimenticare che non esiste solo la Serie A, ci sono tante categorie ed ogni categoria può regalare bellissime soddisfazioni. Io tante soddisfazioni me le sono tolte quando giocavo in Serie C o in Eccellenza. L'importante è cercare di fare sempre il massimo in base alle proprie capacità. Se uno può fare 7 deve fare 7 e non sei e mezzo.