FILODIRETTO7 - n. 20 del 7/12/2006
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SVILUPPO SOSTENIBILE
Quale responsabilità per le banche?

In questi ultimi anni si è assistito ad una forte accentuazione della sensibilità di tutti i soggetti economici (famiglie, lavoratori, imprese, istituzioni, ecc.) verso i temi dell'ambiente e dell'equità sociale, con la diffusione di comportamenti e modelli produttivi sostenibili, cioè in grado di soddisfare obiettivi di utilità primaria (il profitto d'impresa, il rapporto qualità/prezzo dei consumi, ecc.) senza fare venire meno i doveri di cittadinanza responsabile e solidale.
In questo contesto, le banche hanno assunto un peso propositivo crescente nell'attuazione di scelte attente ai bisogni e alle aspettative della società.
Per le banche esiste, infatti, "una responsabilità sociale al quadrato": come imprese e come imprese che, attraverso la tutela del risparmio e la sua trasformazione in investimento, svolgono una specifica funzione di grande impatto sulla società, rivestendo pertanto un ruolo cruciale per il suo sviluppo sostenibile.
Va da se, quindi, che le banche, come qualsiasi altra impresa, debbano considerare i tanti temi della Csr (Corporate social responsibility), dalle pari opportunità, alla qualità dei prodotti, al risparmio energetico, al supporto alle comunità locali.
Ma ciò che più rileva è che le banche hanno un forte radicamento sul territorio e sono da sempre abituate a fare i conti con i bisogni delle famiglie e delle imprese. Il che le spinge a considerare tra i propri obiettivi anche fattori come la qualità delle relazioni con i clienti e la collettività, e la correttezza sotto il profilo etico degli investimenti, dei beneficiari e delle finalità del credito.
Per questi motivi, le banche, tra le varie categorie di aziende, sono state tra le prime ad attivarsi sul fronte della responsabilità sociale: in tempi antichi, attraverso la lotta all'usura ed il credito ai meno abbienti, e in anni recenti con l'istituzione di fondi etici, il blocco dei finanziamenti alle armi, la rendicontazione sociale.
Ma sono anche quelle maggiormente messe in discussione per responsabilità in negativo: ad esempio nel coinvolgimento nelle "crisi aziendali" e nei rapporti poco trasparenti ed etici con i risparmiatori (le vicende del cosiddetto "risparmio tradito"). Eventi che hanno accresciuto la diffidenza dell'opinione pubblica nei confronti delle banche, per i loro valori, più ostentati che praticati.
L'orientamento alla Csr, messa in atto come fattore strategico e competitivo della gestione aziendale integrata e non quale "corollario buono" dell'attività, è pertanto diventata un'esigenza per le banche, per recuperare la fiducia nelle relazioni con il mercato e la società.

Ma quali tendenze promettono un cambiamento di rotta ?

Innanzitutto, spinte forse più dalla volontà di ricostruire una reputazione positiva che dal riconoscimento di un'effettiva utilità funzionale, molte banche hanno dato vita ad "operazioni trasparenza", attivando modalità collaborative di dialogo con i consumatori e con altre parti sociali. Iniziative che hanno avuto anche l'effetto di avvicinare maggiormente i processi di produzione dell'offerta commerciale alle esigenze delle varie componenti della società.
Sono stati fatti prodotti ad hoc per fasce di clientela emergenti, finora considerate marginali (gli immigrati, i lavoratori precari, le microimprese, il terzo settore, ecc.), sviluppando, anche sulla scia dell'assegnazione del premio Nobel a Muhammad Yunus (il "padre" del microcredito), il filone di un vero e proprio "social banking" indirizzato alle persone con difficoltà ad accedere ai servizi bancari più elementari.
A quest'ultimo proposito, sono ad oggi 69 le iniziative di microcredito operative in Italia, con più di 13 mila prestiti erogati del valore complessivo di 138 milioni.
Altro tema che segna una crescita dell'attenzione da parte del mondo finanziario alla Csr è quello degli investimenti socialmente responsabili. I fondi etici, seppure in costante ascesa, restano un'eccellenza di nicchia (sono 338 in Europa, con un peso dello 0,62% sul totale degli asset gestiti dai fondi comuni). Rileva invece il fatto che sono sempre di più gli investitori "mainstream" (ovvero tradizionali), tra cui anche le maggiori banche d'affari internazionali, ad usare tra i propri criteri di scelta fattori di rischio/opportunità socio-ambientali. Una stima dei volumi in questione indica, a livello mondiale, un ordine di grandezza di ben 1 milione di miliardi di euro.

Dei numerosi segnali che evidenziano come le banche stiano affrontando i problemi dello sviluppo sostenibile viene offerta un'interessante panoramica nello speciale di novembre della rivista inglese Ethical Corporation, dal titolo "Financial sector responsibility - the state of the art".