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IL MONTE "FA SCUOLA" ALLA BOCCONI Banca Mps, per prima in Italia, applica il trust al fallimento e viene chiamata ad illustrare il caso presso la prestigiosa università milanese
Il trust è un istituto tipico del diritto inglese e dei paesi di common law in generale, cui è possibile far ricorso a seguito della ratifica, da parte dell'Italia della convenzione dell'Aja del 1985.
Con il trust si dà vita a una situazione in cui un soggetto (disponente) si spoglia della proprietà di certi beni a favore di un altro soggetto (il trustee), che diventa formalmente proprietario dei beni stessi, ma che è tenuto a amministrarli e gestirli secondo le indicazioni - fornite dal disponente - che risultano dall'atto di trust. Al termine della durata del trust il trustee dovrà distribuire i beni, che gli erano stati trasferiti, a favore di altri soggetti, i beneficiari, sempre nel rispetto delle indicazioni ricevute.
Anche l’ambiente accademico italiano, dopo la stampa nazionale, si accorge della soluzione adottata dall’Area Legale Mps, mai effettuata prima in Itali. Ma la grande attenzione è soprattutto da parte degli addetti ai lavori.
Il caso che ha dato origine alla vicenda è una nuova e singolare applicazione del trust al fallimento, messa a punto dall'Area legale della Banca: un trust per "blindare" in via temporanea le somme da versare ad un curatore fallimentare. L'originale operazione è stata segnalata dall'Area comunicazione alla redazione di Plus, settimanale de Il Sole 24 Ore, che il 21 ottobre ha pubblicato un dettagliato articolo sull'iniziativa. In seguito all'uscita sul giornale la Banca è stata invitata dalla Sda Bocconi di Milano a tenere una specifica lezione sul tema all'interno di un corso di diritto fallimentare.
I fatti. In seguito ad un'azione revocatoria promossa da un curatore fallimentare del Tribunale di Prato la banca è condannata in primo grado a pagare alla curatela circa 600.000,00 euro.
Il trust risale al medioevo, ai tempi delle Crociate. Prima di partire per la Terra Santa i cavalieri usavano lo "scudo" del trust per tutelare i loro possedimenti durante la lunga assenza.
La banca decide naturalmente di ricorrere in appello. Non vuole corrispondere alla curatela la somma revocata sia perché è fiduciosa di poter vedere ridimensionata la condanna nel giudizio di secondo grado, sia perché, dato che si tratta di un fallimento che si trascina ormai da molti anni, teme che il curatore possa predisporre un piano di riparto sfavorevole. In questo contesto si fa strada l'idea di ricorrere all'istituto del trust creando "una scatola giuridica" in cui convogliare i soldi da dare alla curatela fallimentare. La banca dunque propone al curatore una soluzione di questo tipo: essa si rende disponibile a corrispondere le somme che è stata condannata a riconoscere alla curatela a un trust con facoltà per il trustee di investire tali somme in modo remunerativo anche se non rischioso. Una soluzione originale che è stata accettata prima dal curatore e successivamente ratificata dal tribunale e che ha consentito alle parti di ottenere non pochi vantaggi.
Oltre a creare un clima favorevole ad un'eventuale transazione, la somma confluita nel trust è stata investita in modo più remunerativo rispetto al libretto di deposito. La Banca ha inoltre evitato le spese di esecuzione ed ha maggiore certezze sulla destinazione della somma.
Alla fine del trust, che coinciderà o con la sentenza di secondo grado o con una transazione eventualmente intervenuta fra le parti, il capitale e gli interessi nel frattempo maturati saranno distribuiti, sulla base delle statuizioni della sentenza o dell'accordo transattivo eventualmente intervenuto, a favore della curatela o anche della banca nel caso in cui gli argomenti da questa addotti trovino riconoscimento nel giudizio di appello.
» Leggi l'articolo uscito su Plus 24 del 21 ottobre 2006
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