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Arte senese torna a casa IL SAN GIORGIO VITTORIOSO DI SEBASTIANO CONCA
San Giorgio sconfigge il drago, prima del restauro
San Giorgio sconfigge il drago, dopo il restauro
All'inizio del Settecento le sorti della scuola pittorica senese erano ormai segnate da un inevitabile declino. Soltanto Giuseppe Nicola Nasini (Casteldelpiano, 1657 - Siena, 1736), in forza della sua lunga esperienza di veloce frescante, poteva continuare a far fronte a numerose commissioni cittadine, ma la sua maniera doveva essere giudicata vecchia e insoddisfacente nel 1729, quando distribuì sulla volta e sulle pareti della cappella della Madonna nell'Ospedale di Santa Maria della Scala le sue tristi e complesse figurazioni ancora troppo legate ai convulsi formulari barocchi appresi in gioventù da Ciro Ferri. Non a caso il rettore Antonio Ugolini († 1730), lasciando una cospicua somma per il rinnovo decorativo della parte presbiterale della chiesa dell'Annunziata, indicò nel suo testamento che tali lavori dovevano essere affidati ad artisti romani.1
L'Ugolini si allineava così alle scelte illuminate di alcuni importanti committenti, che fra fine Seicento e inizi del nuovo secolo avevano fatto arrivare a Siena opere dei più importanti pittori attivi nella città papale o avevano chiamato gli artisti stessi ad affrescare in prestigiosi palazzi.2
Rispettoso delle ultime volontà dell'Ugolini, Galgano Lucarini de' Saracini, nuovo rettore dell'Ospedale, dovendo far dipingere l'enorme abside della chiesa, ascoltò il suggerimento dello zio cugino cardinal Flavio Chigi, che gli aveva fatto conoscere il valore e la maniera di Sebastiano Conca (Gaeta, 1680 - 1764), inviandogli in dono una tela, dove il pittore gaetano aveva dipinto la Sibilla Cumana3. Fu sicuramente la soluzione migliore; il celebre artista era all'apice delle sue possibilità espressive e del successo, come attestano le importanti opere già piazzate nelle chiese romane e alla corte sabauda, la protezione del cardinal Pietro Ottoboni, il favore di papa Benedetto XIII Orsini e la carica di principe dell'Accademia di San Luca, tenuta dal 1729 al 1731.4 Presente a Siena nell'ottobre del 1731, nell'arco di soli sei mesi il Conca portò a termine il lavoro, che fu inaugurato il 12 aprile del 1732, con generale soddisfazione.5 Quell'estesa pittura murale desta ancor oggi meraviglia e non solo per la straordinaria impalcatura scenografica, che risolve con magistrale perizia il problema dell'aberrazione prospettica nella rappresentazione delle architetture sulla parete fortemente concava, tenendo conto delle soluzioni illusionistiche di padre Andrea Pozzo.6 Stupisce ancor più l'abilità di concepire una scena che condensa mirabilmente i momenti dell'episodio narrato (la guarigione del paralitico alla piscina di Betesdà), immaginando una composizione centrifuga, nella quale sono messi pariteticamente in risalto i gruppi dei malati, la figura di Cristo seguito dagli apostoli, l'angelo che arriva in picchiata per smuovere le acque della piscina, la vaporosa gloria d'angeli col Dio Padre, il paesaggio d'Arcadia animato da pastori e armenti. Come ha ben evidenziato la moderna storiografia artistica,7 vi si legge l'abilità di attenersi al senso teatrale di Francesco Solimena e al vedutismo di Giovanni Paolo Pannini, la comprensione per i barocchi moti aerei del Baciccio, l'ammirazione per le monumentali e magniloquenti figure di Carlo Maratta e persino il recupero del senso panoramico del paesaggio, che era proprio di Pietro da Cortona. Il risultato di grande spettacolarità ed eleganza costituisce l'essenza dello stile rococò romano.
Anche per quanto riguarda l'esecuzione pittorica, il grande murale del Conca mostra di discendere dai grandi esempi di pittoricismo di matrice veneziana, partendo dalle recenti prove di Luca Giordano. È con questo modo che il Conca ottenne l'atmosfera impalpabile dei cieli e delle nuvole, i bagliori elettrici della luce divina, le diverse intonazioni degli incarnati ora gentili e rosati, ora lattei e cianotici, ora arrossati o abbronzati, a seconda della varia umanità raffigurata.
Con la leggera pulitura eseguita durante il recente restauro,8 questi aspetti si sono esaltati; ed era un vero piacere osservare da vicino sui ponteggi la varietà d'impasti cromatici densi o tenerissimi, le stesure di corposa materia o di trasparente velatura, le pennellate larghe e coprenti o quelle a tratteggio e a puntinatura per ottenere l'effetto del chiaroscuro. Si poteva constatare, insomma, come le vaste campiture di pittura così ottenuta, prima di far percepire le forme che andavano a circoscrivere, acquistassero un loro grado di finitura, un intrinseco valore estetico, che è oggi facile da apprezzare, grazie alle esperienze novecentesche dell'astrattismo e dell'informale.
Molte di queste caratteristiche che contraddistinguono il Miracolo del paralitico davanti alla piscina si ritrovano, seppur in misura meno avvertibile, anche nei grandi dipinti a olio, che il Conca dipinse nel lungo arco della sua carriera. A Siena è possibile verificarlo nelle tre pale d'altare del pittore, che si conservano nell'oratorio cateriniano del Crocifisso, nella chiesa di Sant'Agostino e in quella di San Giorgio. Rispetto alle prime due, che sono rispettivamente opere della tarda maturità (1752)9 e della vecchiaia (1763),10 è la tela con San Giorgio vittorioso sul drago a dimostrare la maggiore consonanza con il grande dipinto murale. Nonostante ciò, è il dipinto più trascurato fra quelli rimasti a Siena, del quale è sopravvissuto il ricordo solo grazie alle rapide indicazioni di una fonte contemporanea e della locale letteratura periegetica settecentesca.11 Il livello altissimo dell'invenzione e le qualità della pittura sono ora apprezzabili grazie all'accorta pulitura, che ha eliminato l'appiattimento dovuto all'ossidazione della vernice, restituendo il corretto rapporto fra le diverse parti della figurazione. È, infatti, ben leggibile la profondità del paesaggio e il senso di ciò che sta avanti e di ciò che sta dietro, com'è verificabile per lo scorcio della gamba destra del Santo o per la figura della principessa relegata nella penombra.12
Questo San Giorgio vittorioso, che rivolge lo sguardo al Cristo risorto apparso nel cielo, è un magistrale esempio dell'intelligente sintesi culturale di cui fu capace il pittore. La composizione in diagonale dei due punti fondamentali della figurazione ripropone un antico schema di Tiziano, al quale i Carracci e tutta la scuola classicistica bolognese e romana del Seicento avevano dato un valore cardinale. L'apparizione celeste è, invece, risolta con modi più pertinenti alla pittura barocca.
Con la mentalità di un uomo del primo Settecento, il Conca esprime tutto questo con la misura, il garbo e la galanteria del melodramma, tanto che il protagonista della rappresentazione si direbbe un cantante impegnato a tenere una nota, mentre intona un'aria di ringraziamento e d'esultanza per la vittoria ottenuta sul drago.
Niente risulta eccessivo o crudamente realistico e nel processo di elaborazione compositiva tutto trova infine la soluzione più corretta e adeguata, come succede per il drago, che nel modelletto ora riscoperto ha l'aspetto inquietante di un mostro a metà strada fra uno squamoso coccodrillo e un uccello rapace, mentre nella versione sulla pala si trasforma in un tenero cagnolone di pelouche, che non può aver mai terrorizzato nessuno. Altrettanto si rileva per la principessa, che nello studio è colta in un generico atto di rendimento di grazie, ma poi assume la più significante posa della vittima, che è ancora legata all'albero, dove aspettava di essere divorata dal drago.
Ai principi così ben esposti in questa figurazione corrispondono gli "ammonimenti" che il Conca stenderà, si direbbe per uso didattico, durante il suo secondo mandato di principe dell'Accademia di San Luca (1739-1741),13 e in special modo quello sulla manifestazione degli affetti e dei moti: "L'esagerazione nelle passioni, e ne' movimenti darà sempre segno d'animo incomposto poiché è fuori di quella giusta misura ove sta il bello; il qual bello è riposo e pace. Questo precetto [è] metafisico, ma il più importante di tutti."14
Il soggetto della pala e la sua ubicazione sull'altar maggiore della chiesa di San Giorgio, già esplicitamente attestata nella guida di Siena di Giovanni Antonio Pecci edita nel 1752,15 fanno pensare che l'opera sia stata eseguita durante i lavori di riedificazione dell'edificio. Dovendo diventare la chiesa annessa alla nuova sede del Seminario diocesano, l'antica costruzione fu sostanzialmente ricostruita su disegno dell'architetto Pietro Cremoni (Arosio in Val di Lugano, attivo a Siena nel primo Settecento), grazie ai finanziamenti del cardinale Anton Felice Zondadari (1665 - 1737) e del fratello Alessandro (1671 - 1746), che dal 1715 fu arcivescovo di Siena. Con lo scrupolo di un attento cronista, il Pecci annota nel suo Giornale senese che il 17 gennaio 1729 si dette inizio alla demolizione del vecchio altare, "ad effetto di rifabbricarlo con stucchi, secondo la più moderna architettura"; che il 9 settembre 1731 l'arcivescovo consacrò la chiesa; che il 27 luglio 1735 si incominciarono a scavare le fondamenta per la facciata, la cui elevazione era all'altezza dei capitelli nel luglio dell'anno successivo; che nel maggio 1738 quest'opera in travertino era conclusa; che il 19 novembre 1741 "fu dato principio a rioffiziare la chiesa", "terminata la fabbrica e nuovamente ornata con volta, stucchi e pitture a tutte spese dell'eredità del cardinale Anton Felice Zondadari".16 Tali tappe trovano corrispondenza anche nella fitta documentazione del tempo, che contiene delibere, pagamenti alle varie maestranze impiegate nell'impresa e alcune indicazioni sui lavori di costruzione dell'altar maggiore, che si protrassero fino all'ottobre del 1741,17 confermando che questa costruzione di muratura e stucchi fu eseguita per conto dell'arcivescovo, come indicava Giovacchino Faluschi.18 Mancano all'appello documenti specifici sulla tela del Conca, che sull'altare di moderna architettura rococò non s'inserisce in un preciso vano, ma sta come un quadro appeso sulla parete di una stanza, al quale manca, tuttavia, un adeguato ornamento, vale a dire una vera e propria cornice lignea dorata di rifinitura. Com'è nella consuetudine del tempo, e in particolare per le pale di formato rettangolare a centina più stretta, il sottile listello dorato, che corre lungo i bordi ma non copre gli spessori, è da considerare quale semplice elemento di raccordo fra la tela e l'incorniciatura architettonica che doveva contenerla.
Questa sistemazione di ripiego per la pala lascia perplessi, non capendo come il progettista e i costruttori dell'altare non abbiano tenuto conto della sagoma e delle dimensioni della tela, che doveva preesistere da tempo. È, infatti, possibile sostenere che il Conca avesse dipinto questo San Giorgio vittorioso durante il periodo di soggiorno a Siena, fra l'ottobre 1731 e l'aprile 1732. Ce ne danno conferma lo stile dell'opera e un elemento inerente alla manifattura del supporto, che si è scoperto durante il restauro.
Uno sguardo alla produzione del Conca negli anni trenta permette di notare come il San Giorgio indossi gli stessi abiti da antico soldato romano con cui il pittore caratterizza la figura di Enea nella Discesa ai Campi Elisi (Sarasota, Ringling Museum of Art),19 e quella di Alessandro nell'Entrata nel Tempio di Gerusalemme (Madrid, Museo del Prado), che risale al 1735.20 Per la posa ferma e monumentale, per il tipo fisico e per il sovrabbondante panneggio si può riscontrare ancor più stretta somiglianza d'impostazione con il Cristo e con altre figure stanti nella Piscina probatica della chiesa dell'Ospedale senese. Passando dalla tela col San Giorgio vittorioso al suo modelletto preparatorio, il paragone con quelli che definiscono le invenzioni compositive per la Piscina probatica, presenti nella collezione Chigi Saracini,21 permette addirittura di constatare la perfetta identità nell'abbreviata stesura pittorica, nelle scelte cromatiche, nel modo di segnare le luci e nell'uso della mestica di color rosso mattone, che resta a vista oltre i confini delle figurazioni. La testa del giovane scudiero, che frena il cavallo del Santo e tiene il suo elmo, potrebbe benissimo essere confusa con quelle dei ragazzi dipinti nei quattro bozzetti chigiani, che mettono a punto alcune soluzioni per gli angeli del murale senese.
Si ricava, pertanto, la convinzione che il Conca abbia dipinto il San Giorgio vittorioso nei ritagli di tempo dall'impegno maggiore per la Piscina probatica, ma riservando all'opera un impegno diretto. La stesura pittorica appare, infatti, molto curata, quanto nel ricercare la vivacità dei colori e le sfumature cangianti, la profondità del cielo e la leggerezza delle nubi, tanto nel compiacersi per la stesura grassa e variopinta, che restituisce il senso della soffice pelliccia del drago.
Anche le scelte formali sono attentamente studiate e scrupolosamente emendate quando necessario, come rivelano alcuni pentimenti d'autore per la posizione del costato del Cristo, per la lunghezza della croce e della spada, per la grandezza del pollice e del piede destri di San Giorgio.
A conferma delle informazioni offerte dalla lettura dello stile, sta la scoperta del modo costruttivo del supporto che regge il dipinto. La tela non è tirata in tensione su un semplice telaio perimetrale, ma poggia su un tavolato, che ne sostiene l'intera superficie. Si tratta di un procedimento utilizzato comunemente a Siena, grazie al quale le tele dipinte si conservano meglio, contenendo la formazione della fastidiosa screpolatura della mestica e dei colori.22 Il manufatto che qui interessa, confezionato in tal maniera, acquistò una notevole pesantezza e una scarsa possibilità di essere trasferito agevolmente, tanto da poter escludere che possa esser stato inviato a Siena da altrove. Se il Conca avesse dipinto questa la tela nel suo studio a Roma, l'avrebbe spedita arrotolata, lasciando che un suo corriere di fiducia (o un esperto del posto) provvedesse al montaggio sul telaio. Il pittore, invece, dovette sorvegliare la fabbricazione del supporto a Siena, passando direttamente a stendere sulla tela la mestica del tipico colore rosso spento, simile al tono dei mattoni, prima di iniziare a dipingere con i vari colori la sua figurazione.
Che sia accaduto proprio così, lo rivela un dettaglio apparentemente insignificante ma risolutivo. Smontando il listello dorato, posto a contorno della pala, si è constatato che alcuni chiodi ribattuti sopra la tela sono coperti dal colore della mestica.23 Furono, dunque, applicati da un maestro falegname o da un aiuto del Conca, prima che quest'ultimo iniziasse il suo intervento pittorico.
È evidente che il committente di questo San Giorgio vittorioso volle cogliere l'occasione della presenza Siena del maggior protagonista dell'ambiente artistico romano, per affidargli l'incarico di dipingere una pala, dove fosse raffigurato il Santo titolare della chiesa, che si era già iniziato a rinnovare radicalmente. Una persona così accorta non può essere stata che l'arcivescovo Alessandro Zondadari o più probabilmente il fratello cardinale Anton Felice, che fu il principale finanziatore dei lavori per San Giorgio, e che aveva già avuto modo di servirsi del Conca nel 1723, quando gli aveva commissionato due tele di un ciclo, nel quale erano narrati i fatti rilevanti della carriera diplomatica dell'eminente prelato e della vita di alcuni suoi illustri parenti.24
Si può, dunque, concludere che nel semestre a cavallo fra 1731 e 1732 Siena ebbe la fortuna di veder nascere per la mano del Principe dell'Accademia di San Luca e Cavaliere dello Speron d'oro Sebastiano Conca la straordinaria Piscina probatica, vero capolavoro della pittura italiana del primo Settecento, e anche il San Giorgio vittorioso, che del grande murale non è certo da meno.
1 Questi fatti sono ripercorsi da Anna Maria Guiducci, in Mostra di opere restaurate nelle province di Siena e Grosseto. II-1981, catalogo, Genova 1981, pp. 254258; e da Daniela Gallavotti Cavallero, Lo Spedale di Santa Maria della Scala in Siena. Vicenda di una committenza artistica, Pisa 1985, pp. 352-354.
2 Si vedano i casi di fine Seicento illustrati nel catalogo della mostra Alessandro VII Chigi (1599-1667) il papa senese di Roma moderna, Siena 2000, pp. 484-498; e per l'inizio del secolo successivo: Steffi Roettgen, Tre pittori romani del Settecento a Siena: Marco Benefial, Placido Costanzi e Giovanni Odazzi a Palazzo Chigi-Zondadari, in Studi di Storia dell'Arte in onore di Mina Gregori, 1994, pp. 341-347.
3 [Giovacchino Faluschi], Relazione in compendio delle cose più notabili nel Palazzo e Galleria Saracini di Siena, Siena 1819, p. 45, nota 3.
4 Si vedano il regesto documentario e le notizie biografiche sul del Conca di Olivier Michel in, Sebastiano Conca catalogo della mostra, Gaeta 1981, pp. 25-46.
5 Si veda Giovanni Antonio e Pietro Pecci, Giornale Sanese (1715 - 1794), a cura di Elena Innocenti e Giovanni Mazzoni, Siena 2000, p. 91.
6 Si veda l'intervento specifico di Werner Oechslin, Sebastiano Concas Gemaltes "Teatro Sacro": die "Piscina probatica" in der Tribuna der Chiesa della SS. Annunziata des Ospedale S. Maria della Scala in Siena (1732), in Scritti di storia dell'arte in onore di Federico Zeri, Milano 1984, II, pp. 804-819.
7 Anthony M. Clark, Sebastiano Conca and The Roman Rococo, in 'Apollo', CXXXV, n. 63, May 1967, pp. 238-335. Giancarlo Sestieri, Contributi a Sebastiano Conca, in 'Commentari', XX, 1969, pp. 317-341, XXI, 1970, pp. 122-138. Autori vari, in Sebastiano Conca (1680-1764), catalogo della mostra, Gaeta 1981.
8 Eseguito da Fabrizio Jacopini e Paolo Pecorelli nel 2005.
9 Si veda la scheda di Julia Shade in Die Kirchen von Siena, herausgegeben von Peter Anselm Riedl und Max Seidel, band 2.1.1, München 1992, pp. 248-249.
10 Si veda la scheda di Martina Ingendaay e P.A. Riedl, Die Kirchen von Siena, herausgegeben von P.A. Riedl und M. Seidel, band 1.1, München 1985, p. 90.
11 In un profilo dedicalo al Conca, F*** Moüche (Museo fiorentino che contiene i ritratti de' pittori…, Firenze 1762, IV, pp. 247-257: riedito nel catalogo della mostra Sebastiano Conca cit., pp. 403-407: 406) ricorda sommariamente che "anche nelle chiese di San Giorgio, e nel moderno oratorio del santissimo Crocifisso di Santa Caterina, si conserva di sua mano una tavola per ciaschedun luogo". Si vedano inoltre: G.A. Pecci, Relazione delle cose più notabili della città di Siena, Siena 1752, p. 103 ("La tela dell'altar maggiore è del Cav. Sebastiano Conca di Gaeta, stabilito in Roma"); Giovacchino Faluschi, Breve relazione delle cose notabili della città di Siena, Siena 1784, p. 147 ("Nell'altar maggiore si osserva un S. Giorgio dipinto dal celebre Cav. Sebastiano Conca di Gaeta che si stabilì in Roma").
12 Il dipinto, nel raffigurare il Santo titolare della chiesa e il Cristo risorto che gli appare, fa allusione alla leggenda del pestifero drago, che viveva in un lago presso la città di Silena in Libia. Per placare le sue furie il re del luogo è costretto a offrire la figlia in pasto. Giorgio uccide la bestia e libera la principessa: si veda il racconto di Jacopo da Varazze, Legenda aurea, a cura di Alessandro e Lucetta Vitale Brovarone, Torino 1995, pp. 325-327.
13 G. Scavizzi, Sebastiano Conca, in Dizionario Biografico degli Italiani, 27, Roma 1982, pp. 699-703: 700.
14 S. Conca, Ammonimenti, in M. Missirini, Memorie per servire alla storia della Romana Accademia di S. Luca, Roma 1823, pp. 214-219, riedito nel catalogo Sebastiano Conca cit., pp. 396-399: 397.
15 G.A. Pecci, Relazione cit., p. 103.
16 G.A. e Pietro Pecci, Giornale Sanese cit., pp. 74, 85, 108, 112, 119, 138.
17 Mi riferisco in particolare ai fascicoli contenuti nella filza Fabbrica della chiesa di San Giorgio (1735-1741) dell'Archivio del Pontificio Seminario Regionale Pio XII di Siena, n. 1.3.9.
Il 30 settembre 1735 in San Quirico d'Orcia, in una sorta di contratto fra l'arcivescovo e il Cremoni si pattuiscono i termini del progetto per il "corpo della chiesa" e per la facciata e si stabilisce di proteggere l'altar maggiore: "che il castello dell'altar maggiore si può fare nel mese di marzo; ma intanto per difenderlo dalla polvere de i fondamenti si potrebbero alzare i travi, e valersi del benefizio delle tele" (n. 4, filza I, n. 2). Più avanti, l'11 ottobre 1741 si pagano le maestranze "per fare il ponte all'altar maggiore"; e il 24 ottobre 1741 sono di nuovo pagate le maestranze che hanno provveduto a "guastare gli ponti dell'altar maggiore" (ibidem, n. 14). Fra queste carte si conserva anche un bel disegno con la pianta della chiesa, nella quale non è delineato l'altare (ibidem, n. 5). Le date indicate sono riportate allo stile moderno.
18 G. Faluschi (Breve relazione delle cose notabili della città di Siena, Siena 1815, p. 126), potendo contare su una fonte oggi non conosciuta, poteva affermare che l'altare fu "fatto a spese di Mons. Zondadari".
19 Sebastiano Conca catalogo cit., p. 236, cat. n. 75b.
20 Ibidem, p. 216, cat. n. 66.
21 Ibidem, p. 188, cat. nn. 52a-b. Si vedano inoltre le recenti schede di Riccardo Spinelli, Oltre la scuola senese. Dipinti del Seicento e del Settecento nella collezione Chigi Saracini, catalogo della mostra di Siena, Firenze 2005, pp. 97-102, cat. nn. 47-49.
22 Si veda in questa sede la relazione tecnica del restauro, che è stato eseguito da Andrea Carella.
23 Questa inchiodatura della tela è stata fotografata durante il restauro, che non ha manomesso alcun elemento fabrile della costruzione del supporto.
24 I due quadri rappresentano l'Incontro del cardinale Zondadari con Filippo V di Spagna e la Consegna degli stendardi dei turchi al Gran Maestro dell'ordine di Malta Marcantonio Zondadari; sono stati esposti alla mostra dedicata al Conca: cfr. Sestieri, in Sebastiano Conca catalogo cit., pp. 174-176. Sul ciclo e la sua datazione si vedano: A.M. Clark, Introduction to Pietro Bianchi, in 'Paragone', 169, 1964, pp. 42-47; Idem, An introduction to Placido Costanzi, in 'Paragone', 219, 1968, pp. 39-54; S. Roettgen, Tre pittori romani del Settecento cit., pp. 341-342.
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