FILODIRETTO7 - n. 1 del 28/7/2006
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LO SVILUPPO DELLA FINANZA ISLAMICA E L’ISLAMIC BANKING

IMPLEMENTAZIONE DEI PRINCIPI ISLAMICI NELL’AMBITO DELLA FINANZA: EVOLUZIONE, VOLUMI, PRODOTTI, NORMATIVE
Quando si parla di finanza islamica s’intende un sistema di relazioni di tipo economico tra le persone (Muamalat) che trae i suoi principi informatori dalla legge islamica (Shariah).
Elemento specifico e di contrasto con la pratica finanziaria occidentale è il divieto di pagamento degli interessi equiparati all’usura (Riba). La proibizione della Riba si fonda sul credo secondo il quale non ci può essere guadagno senza l’assunzione di rischi: il profitto, in una visione islamica, sarebbe dunque legittimato solo dal rischio.
Oltre alla Riba sono espressamente vietate pratiche economiche che implicano i concetti Gharar (“irragionevole incertezza”, ambiguità), Maisir (speculazione) ed Haram (ciò che è esplicitamente proibito dal Corano, ossia attività economiche connesse alla distribuzione/produzione di alcol, tabacco, armi, carne suina, pornografi a, gioco d’azzardo etc). Benché la Shariah abbia rappresentato da oltre un millennio la cornice di riferimento etica dell’attività commerciale islamica, il fenomeno di finanza islamica è praticamente contemporaneo.

PROCESSO EVOLUTIVO E GEOPOLITICO
La finanza islamica nel suo complesso gestisce al momento assets stimati in ca. Usd 500 mld con tassi di crescita medi del 15% all’anno.
Essa trova crescente applicazione sia nel campo dell’islamic banking (che ne rappresenta la componente più strutturata e di rilievo in termini di volumi), sia nel mercato assicurativo e dei capitali internazionali (attraverso titoli di debito e fondi azionari). Questi ultimi, di entità esigua fino a qualche anno fa, stanno mostrando un rapido processo di crescita ed innovazione.
Tra i fattori determinanti della diffusione della finanza islamica vi è stata in origine l’esigenza di investire in attività coerenti con la Shariah parte degli incrementati introiti derivanti dal petrolio (effetto del doppio shock degli anni ’70) nonché la rivoluzione in Iran del 1979 che portò alla completa islamizzazione del sistema finanziario in quel paese. Da allora l’atteggiamento dei governi dell’area MENA (Nord-Africa e Medio-Oriente) verso lo sviluppo del fenomeno non è stato sempre univoco: favorito in paesi quali, ad esempio, Giordania e Sudan ha trovato, invece, ostacoli in altri quali Algeria, Iraq, Libia, Siria.
Lo sviluppo del fenomeno ha registrato una relativa battuta d’arresto nel corso degli anni ’90 per diversi fattori tra i quali: riduzione degli introiti petroliferi, frenata nella crescita del commercio mondiale, instabilità geo-politica, crisi finanziaria nel Sud- Est Asiatico, scandalo della BCCI in Bahrain (che coinvolse molte banche islamiche).
Tuttavia gli avvenimenti dell’11 Settembre del 2001 e la conseguente congiuntura petrolifera, caratterizzata da prezzi crescenti, hanno rinvigorito il fenomeno. Inoltre, molte ricche famiglie del Medio-Oriente hanno iniziato il rimpatrio dei propri risparmi detenuti in dollari ed in altre valute straniere per timori di “congelamento” e li hanno dirottati verso banche e/o altre istituzioni finanziarie islamiche. Permangono, tuttavia, incertezze di natura geo-politica che, certamente, pongono freni al fenomeno. Si stima che le attività in valuta estera detenute dagli abitanti (individui, governi, corporate) dei paesi del Medio-Oriente e del Golfo si attestino su valori intorno ai Usd 1.500 mld., destinati a crescere posta l’attuale dinamica dei prezzi petroliferi.
L’evoluzione che la finanza islamica e in particolare l’islamic banking hanno avuto sinora consente di distinguere cinque aree (Medio Oriente, Sud-Est Asiatico, Sub-Continente Indiano, Africa, Altri – tra cui Turchia e Regno Unito) che presentano caratteristiche particolari a seconda del grado di diffusione ed applicazione della legge coranica.
Tale attività presenta, comunque, la sua massima concentrazione nella regione mediorientale (oltre il 90%), con la quota maggiore in Iran (60%) seguita dall’Arabia Saudita (13,5%), Kuwait (8,4%) ed EAU (6,4%).
In generale si va da situazioni dove il sistema, fra l’altro di natura pubblica, è interamente islamizzato (vedi Iran, Pakistan e Sudan) a situazioni intermedie di banche islamiche che coesistono con banche ordinarie (a capitale arabo ed occidentali), con un peso intorno al 15% dei valori di sistema ed in crescita.

ISLAMIC BANKING: CONTESTO OPERATIVO E PROSPETTIVE
Sul piano operativo è bene distinguere tra “banche islamiche pure” (di natura commerciale e/o di investimento) e “finestre islamiche” e/o sussidiarie specializzate presso le banche convenzionali, che prevedono l’offerta di servizi di islamic banking per la clientela che ne fa richiesta.
Secondo stime non ufficiali, le istituzioni finanziarie islamiche operanti nel mondo ammonterebbero a ca. 270. Esse vanterebbero assets compresi tra Usd 250-300 mld e gestirebbero investimenti finanziari per ca. Usd 400 mld e depositi intorno agli Usd 200 mld.
Valori ancora molto modesti rispetto al totale dei fondi intermediati dalle banche commerciali a livello globale ma, comunque, caratterizzati da sostenuti tassi di crescita (media annua del 10-15% nel corso degli ultimi 10 anni con valori anche superiori nell’ultimo triennio).
L’effetto è quello della formazione di nuove banche islamiche (vedi Kuwait, Bahrain), della conversione di diverse banche convenzionali arabe (si veda la National Commercial Bank in Arabia Saudita) nonché della creazione da parte di molte banche (anche occidentali), già operanti nella regione, di filiali locali/sussidiarie che effettuano finanziamenti e accettano depositi conformi alla Shariah.
Lo hanno già fatto, ad esempio, Citigroup, HSBC, Deutsche Bank, Standard Chartered, UBS, ABN Ambro, BNP Paribas e ormai quasi tutti i maggiori gruppi bancari occidentali vantano almeno uno staff specializzato nella finanza islamica.
Dove la presenza di immigrati di religione islamica è più rilevante le banche occidentali si stanno attrezzando per raggiungere direttamente la clientela musulmana, eliminando il passaggio attraverso intermediari bancari islamici nei paesi musulmani.
Questo fenomeno è assai rilevante nel Regno Unito, dove molto attiva risulta la HSBC che offre, ad esempio, mutui ipotecari islamici, che funzionano come una sorta di leasing, ma anche la Lloyds TSB . Di grande interesse risulta l’esperimento della Islamic Bank of Britain che ha ricevuto la licenza nel corso del 2004 da parte della FSA. Fonti non ufficiali indicherebbero ulteriori start-up a breve termine.
Secondo diversi osservatori ed analisti, la finanza islamica si appresta nel prossimo quinquennio ad operare anche in Francia e Germania, che hanno grosse comunità di musulmani residenti, ed in seguito anche in Italia.
Del resto oggi risiedono in Europa oltre 50 mil di musulmani una percentuale inferiore solo all’Asia e all’Africa. Inoltre c’è chi ritiene che la finanza islamica non riguardi solo i musulmani come dimostra il caso della Malesia dove è molto diffusa presso la comunità indiana e cinese e non è detto che essa non possa attirare anche una parte di quei risparmiatori europei orientati alla finanza etica.

I PRODOTTI BANCARI: STRUMENTI DI RACCOLTA E DI IMPIEGO
Il concetto di islamic banking cambia sostanzialmente il rapporto di intermediazione tra cliente/depositante e istituzione fi nanziaria che si basa sulla compartecipazione al rischio di impresa e non come tra prestatore e prestatario.
Secondo l’interpretazione più rigida della dottrina, l’istituzione finanziaria agisce come una sorta di agente d’investimento, che può comunque investire i propri capitali insieme a quelli dei clienti/depositanti in attività regolate secondo varie metodologie di finanziamento (cfr. tabella 2).
Dal lato della raccolta le banche islamiche offrono fondamentalmente due tipi di conti, che presentano caratteristiche differenti rispetto ai contratti di deposito offerti dalle banche convenzionali:
Non-profi t account (depositi a vista): generalmente di natura retail, prelevabili in ogni momento senza preavviso; su di essi non è previsto il pagamento di interessi o altra forma di remunerazione ed hanno il capitale garantito
Profit-sharing deposit account (o investment accounts): prevedono una soglia minima di ingresso e i prelievi possono essere fatti solo periodicamente con preavviso alla banca. La proprietà dei fondi si trasferisce alla banca e il depositante partecipa agli utili/ perdite secondo una percentuale prefissata nel contratto.
Gli impieghi si dividono in due grandi famiglie a seconda del grado di partecipazione al rischio:
Profit-loss sharing (PLS): si tratta di modalità di finanziamento, aventi diverse strutture (vedi tabella 2), accomunate dal fatto che la società finanziaria e il prenditore di fondi condividono il rischio dell’investimento.
Non è generalmente previsto l’utilizzo di collaterali, che è ammesso solamente come deterrente contro comportamenti opportunistici del prenditore e non come garanzia della banca;
Non PLS: contrariamente alle tecniche PLS, queste forme di finanziamento presentano un rendimento predeterminato (che almeno formalmente non può essere un tasso di interesse) e sono associate a forme di garanzia, come ad esempio la proprietà del bene sottostante. Benché non condividano il principio di PLS, vengono generalmente considerati aderenti ai principi islamici perché il ritorno dell’investimento non è legato alla dimensione temporale ma alla prestazione di un servizio.
All’interno di ciascuna banca islamica è prevista la presenza di uno Shariah Board che è responsabile di certificare la coerenza dell’operatività della banca e dei prodotti offerti con i principi islamici. Di norma esso è costituito da accademici islamici ed ha un ruolo determinante per le attività e la governance dell’istituzione finanziaria.

PRINCIPALI PRODOTTI FINANZIARI NON BANCARI: RECENTI INNOVAZIONI
Oltre ai prodotti di natura più strettamente bancaria la finanza islamica è presente nel comparto assicurativo (Tafakul Companies) ed in quello mobiliare ed immobiliare attraverso compagnie specializzate in assets management, fondi azionari, istituzioni fi nanziarie off-shore.
Tenendo conto dei volumi e del grado di evoluzione/innovazione si possono distinguere i seguenti prodotti:
Titoli obbligazionari (bond): L’emissioni di obbligazioni, prima vietate perché a reddito fisso, stanno trovando sempre più applicazione grazie all’introduzione del concetto di separazione. Mentre, ad esempio, è tassativamente vietato prestare 100 oggi per riavere 105 domani è invece accettato (anche se non da tutti) che la stessa transazione avvenga mediante il passaggio di un asset reale, ossia, in maniera semplicistica: A vende una merce in contanti a B per 100 che a sua volta la vende ad A per 105 con regolamento a scadenza. Livelli di separazione aggiuntivi sembrano trovare una più ampia accettazione da parte dei giuristi islamici e degli Shariah Boards, sebbene essi comportino costi di transazione e rischi operativi superiori. Un esempio tipico di separazione è rappresentato dal Sukuk. L’AAOIFI (cfr. sotto) ne ha standardizzati 15 tipologie sebbenela principale sia rappresentata dalla Ijara Sukuk che ha caratteristiche simili alle obbligazioni tradizionali (prevede cedole, data di scadenza, rendimento, quotazioni, negoziabilità), ma presenta come sottostante un contratto di leasing immobiliare.
A fine 2004 l’ammontare di tali bond presenti sul mercato si attestava ad oltre Usd 30 mld. con la Malesia in qualità di capofila. Nel corso del 2004 vi è stata anche la prima emissione di Sukuk europeo ad opera del Land tedesco della Sassonia-Anhalt.
I primi sei mesi del 2005 hanno registrato valori di crescita ancora più elevati del 2004 (ca. Usd 8 mld di nuove emissioni) con una incrementata domanda da parte degli investitori, anche occidentali.
I fondi azionari: Fino agli inizi degli anni ’90 le alternative di investimento dei fondi azionari islamici ( principalmente del tipo “ chiuso”) erano limitate. UBS, Kleinwort Benson, Citibank, attraverso le proprie unità di private banking, erano le più attive in tale operatività, benché con scarsa uniformità di approccio alle “regole islamiche”.
Al contrario le banche islamiche avevano adottato una linea totalmente rigida considerando intrinsechi nell’investimento in mercati di borsa, elementi di Gharar (“irragionevole incertezza”) e di Maisir (speculazione), oltre al fatto che la maggior parte delle azioni quotate in borsa erano “non islamicamente accettabili” in quanto rappresentative, per lo più, di quote di partecipazioni in società impegnate in attività regolate dall’interesse. Tuttavia, grazie ad una serie di compromessi (a volte contraddittori) raggiunti dagli accademici islamici, si è assistito negli ultimi anni ad una svolta con oltre 100 Fondi Azionari islamici censiti (si veda www.failaka.com che rappresenta allo stato attuale la fonte più accreditata per il monitoraggio dei fondi azionari islamici). Il valore complessivo è attualmente stimato in ca. Usd 15 mld su base globale. I settori di riferimento di tali fondi risultano diversificati (all’interno di quelli ammissibili) con una certa enfasi a quello immobiliare.
Prodotti assicurativi (Takaful): A differenza del concetto convenzionale di assicurazione il titolare della polizza e la società di assicurazione si accordano preventivamente sull’ammontare del risarcimento ed è anche possibile la condivisione dei profitti.
Le polizze devono essere strutturate in forma mutualistica all’interno di un gruppo di persone a fronte di rischi legati sia alla vita che alle proprietà o ad altri beni di una persona.
Derivati e operazioni strutturate (cartolarizzazioni): anche sui derivati finanziari che, in teoria, sarebbero vietati per via della Gharar (derivante dalla vendita allo scoperto), si sta assistendo ad un processo di adeguamento. I dipartimenti islamici delle principali 10 banche occidentali stanno, infatti, cercando di strutturare prodotti compatibili.
Maggiore consenso sembra invece esserci sul tema delle cartolarizzazioni con benefici sia per gli operatori finanziari (monetizzazione delle operazioni di leasing/mutui ipotecari) che corporate (in part. quelle erogate nel leasing/affitto di autoveicoli).
Carte di credito: Negli ultimi anni diverse banche islamiche hanno sviluppato tale tipologia di fi nanziamento in maniera coerente alla Shariah. Anche in questo caso non vi è uniformità di approccio tra le diverse banche e le diverse aree con differenze tra i modi adottati in Malesia e nell’area del Golfo.

ASPETTI DI REGOLAMENTAZIONE E DI MERCATO
Le banche islamiche, anche per il ruolo di “nicchia” svolto finora, sono state storicamente sottoposte ad un regime regolamentare diverso e/o meno vincolante rispetto ai loro competitors convenzionali, eccetto in Malesia dove già da tempo viene adottato un regime di vigilanza simile per entrambi i sistemi. Ciò si è riflesso in un livello di disclosure spesso non adeguato. Anche da un punto di vista meramente contabile si registrano, spesso, delle incongruenze derivanti dal fatto che i principi contabili nazionali e/o internazionali (IAS) non sono adatti a carpire le specificità operative del modello islamico. Inoltre le regole emanate dagli Shariah Board non sono sempre omogenee tra loro (esistono diverse scuole di pensiero al riguardo) con riflessi anche in termini di standardizzazione dei prodotti offerti dai vari operatori.
Al fine di colmare questi gap sono state avviate, sotto l’impulso di diversi paesi ed istituzioni islamiche (vedi Islamic Development Bank) nonché dello stesso FMI, numerose iniziative che hanno portato alla costituzione di diversi organismi multilaterali aventi sede, in particolare, in paesi come Bahrain e Malesia che godono di riconosciuta reputazione in termini di adeguatezza e trasparenza della normativa bancaria.

Tra le principali iniziative rileviamo:
AAOIFI (Accounting & Auditing Organization for Islamic Institutions; 1991 sede Bahrain): ha come obiettivo principale lo sviluppo ed il monitoraggio di una struttura di regole contabili e di governance compatibili con l’operatività di islamic banking. Importante compito dell’AAOIFI è anche la creazione di un benchmark di riferimento per tutti gli Shariah Boards;
IFSB (Islamic Financial Services Board; 2002 sede Malesia): si pone sostanzialmente gli stessi obiettivi del Comitato di Basilea per il sistema bancario convenzionale;
LMC (Liquidity Management Centre; 2002 sede Bahrain): ha il compito di sostenere la creazione di un mercato interbancario di money market, dove gli operatori islamici possano investire la liquidità in surplus;
IIFM (International Islamic Financial Markets; 2002 sede Bahrain): ha come scopo la creazione e la standardizzazione di strumenti finanziari negoziabili e trasferibili (vedi Sukuk) e la promozione del relativo mercato secondario.

Infine vi è la questione della trasparenza e del rispetto delle normative internazionali antiriciclaggio che risulta un punto chiave, in particolare per l’area MENA, dopo gli eventi dell’11 Settembre in USA. Anche a tal riguardo il Bahrain si pone come paese benchmark nell’area. A Ottobre 2001 ha, difatti, emanato una regolamentazione al riguardo, in linea con le raccomandazioni della International Financial Action Task Force (IFATF), che è stata ulteriormente rafforzata da un updating entrato in vigore ad Aprile 2005.
Benché si stia registrando un notevole impulso in tali iniziative, l’adozione di un quadro regolamentare comune e quindi di uno sviluppo armonico del settore avrà bisogno di tempo per implementarsi per i seguenti motivi:

● disomogeneità normative all’interno dei vari mercati nazionali: si passa da un sistema duale tipo quello Malese ad una situazione di non regolamentazione come in Arabia Saudita;
● divergenze nell’approccio alla finanza islamica;
● mancanza di una adeguata regolamentazione dei mercati dei capitali (come evidenziato dallo IOSCO; Luglio 2004) che garantisca certezze legali e di conseguenza anche liquidità agli strumenti finanziari attualmente in circolazione (sia fondi che bond).